Bad Boys – Bad Photography

Bad Boys - © Efrem Raimondi

 

Bad Boys. Ma anche Bad Girls.
Insomma BAD PHOTOGRAPHY, cioè quella fotografia sospettata di connivenza col soggetto.
Perché l’archetipo funzioni occorre che il soggetto sia famoso e infame.
Dove: famoso è un fatto riconosciuto unanimemente; infame è invece una soggettiva, e ha a che fare con una valutazione morale urlata da una parte della cosiddetta opinione pubblica direttamente in faccia alla parte avversa.
Bene/male, buoni/cattivi, solita solfa.
Vietato astenersi: gladiatori virtuali… gladiatori felicemente abbonati in poltrona.
Poi ci sono casi limite dove l’infame è solo contro tutti: unanimemente infame a pulire la cattiva coscienza del mondo.
Infame dopo, magari. Come Lucifero. E chi l’avrebbe mai detto…
Soggetti fantastici. M’interessano anche di più. M’interessa andare a vedere nel dettaglio come li avevo ritratti quand’erano arcangeli, che magari…

Però ecco, quando fotografo di tutto ciò non me ne frega niente.
Nessuna barriera morale da erigere. Libero da pregiudizi e preconfezionamenti assortiti mi occupo della persona che ho davanti.
È la persona che mi interessa, che in un face-to-face rivela lati meno appariscenti, dettagli inaspettati.
E questo è il mio punto. Qui mi fermo tutto il tempo che occorre.
Prima di scattare. Poi scattando tutto si definisce abbastanza velocemente.
A volte con chiarezza, a volte meno. Ma in un percorso così c’è da preventivarlo: nulla è scontato. Nulla è predefinito.
Se poi ti basta il mezzo busto con dietro la bella libreria a descrivere le gesta intellettuali del grande statista, piuttosto che la poltrona preferita e la tappezzeria a ramages che fa ambiente, tranquilla che te le porto a casa.
Ti accontenti di poco però.
L’errore in cui OGGI spesso si incappa, è di pretendere una fotografia senza fotografo.
E si vede.
Perché fotografo definisce una persona che ha un’idea di fotografia. Non uno che fa fotografie. E più l’idea, l’architettura, è precisa più lo riguarda. E lo identifica.
E anche questo si vede.
Annunciazione! Tutto pensato a tavolino, allineato a un diktat e appiattito al compitino da svolgere, col ritratto non funziona. Eh già…
A meno di accontentarsi di un’illustrazione. Che appunto non è fotografia.
Dite di no? Dite che è polemica sterile? Ok, chiedo scusa, non mi soffermo… il mio intento è un altro. Ciao.

Occuparsi della persona, e non del giudizio, non significa non avere un’opinione.
Ma se proprio, mi rivolgo all’etica e non alla morale contingente.
Insomma… la fotografia didascalica non fa per me.
Forse è proprio così: me ne frego della Storia.
E la fotografia non emette giudizi. Non la mia almeno.
Eppure è successo. Di essere stato redarguito per aver ritratto Tizio e Caio.
Addirittura Sempronio!
Il fatto in sé costituiva la colpa. Perché certificava la mia accondiscendenza ai valori/disvalori attribuiti all’innominabile.
Intercettato in rete:
”Ma hai visto i suoi ritratti?”
”Sì sì, c’è proprio un sacco di bella gente: Berlusconi e anche Andreotti. Una fotografia asservita. Punto e basta”.

Quando ritrassi Piersilvio Berlusconi, preventivamente e cortesemente mi venne chiesto se me la sentivo. Non in maniera così diretta naturalmente, ma la sostanza ho dedotto fosse quella.
Ero stupito: sono un fotografo, ritraggo la gente e non emetto sentenze di alcun genere. Solo regolare fattura una volta consegnato il lavoro.
Con Andreotti poi… quando venne pubblicato il trittico mi arrivarono due mail di amici di quand’eravamo giovani, belli, intelligenti e sulle barricate insieme, che mi accusavano di complicità: non si fotografa certa gente. Ti sei reso complice. Punto.
Complice??? Ma io non vedevo l’ora di ritrarre Andreotti!
Ci sta tutto… la fotografia evoca diversamente e a ognuno la sua visione.
Sulla sponda dei buoni non so scegliere… i santi mi interessano meno: se questo è il parametro preferisco ritrarre i demoni.
A qualcuno potremmo anche far indossare uno zainetto Prada, che il marketing ci tiene.

Tutto ciò non accade se l’infame non è famoso. Anzi, se non è famoso non è neanche infame. E l’accezione bad boys si tinge di romantica commozione.
È la convenzione che si riserva al disagio.
Alla fotografia del disagio nello specifico. Che assume un’aura nobile, socialmente rilevante. E nessuno ti imputa niente.
Mentre è qui che più mi scandalizzo nel vedere stracciata ogni etica.
Per me cambia niente: m’interessano le persone.
E tutte hanno un nome e un cognome. Punto.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Bad Boys - Bad Photography

Piersilvio Berlusconi, 2006. Negativo 4,5/6 cm

Bad Boys - Bad Photography

Giulio Andreotti, 2006. Negativo 6/7 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Umberto Bossi, 1996. Negativo 10/12 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Mario Draghi, 1996. Negativo 6/7 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Massimo D’Alema, 1996. Negativo 10/12 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Alessandra Mussolini, 2006. Digitale APS

GIULIA LIGRESTI by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Giulia Ligresti, 2007. Digitale APS

NOEL GALLAGHER by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Noel Gallagher, 2005. Negativo 4,5/6 cm

ALEX SCHWAZER by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Alex Schwazer, 2011. Digitale medio formato

OSCAR PISTORIUS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Oscar Pistorius, 2011. Digitale medio formato

ZLATAN IBRAHIMOVIC by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Zlatan Ibrahimovic, 2008. Digitale medio formato

BAD BOYS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Periferia di Legnano, 1981. Negativo 35 mm

BAD BOYS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Periferia di Legnano, 1981. Negativo 35 mm

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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Phone Photography – Mostra

 

Phone Photography - Efrem Raimondi

Phone Photography è una mostra a cura di Giovanna Calvenzi e Claudio Pastrone organizzata dal Centro Italiano della Fotografia d’Autore, a Bibbiena.
20 autori. Dal 28 marzo al 2 giugno 2015.

Ognuno ha a disposizione una cella di 4 metri per poco più di due, finestra e ingresso inclusi. Ex carcere ottocentesco… adesso luogo suggestivo.
Espongo otto opere made in iPhone.
Già pubblicate in questo blog. E su Instagram. Ma anche Facebook.
Tranne due. No, tre.
Stampate al limite: quattro 80/60 cm e quattro 60/60 cm.
Non è la prima volta che stampo queste misure dall’iPhone.
Anche oltre in qualche caso.
Perché il limite, e soprattutto oltrepassarlo, mi affascina.

È un lavoro sull’allucinazione… sulla percezione distorta e equivoca.
Sull’incertezza. Sul dubbio.
Come facevo con la Polaroid a suo tempo.
E questo è il testo che accompagna:

Elaborare il lutto per la scomparsa della Polaroid – POLAROID! – è un tempo privato.
E può anche non risolversi.
Nel frattempo non ci penso. iPhone alla mano non penso… la mia condizione ideale.
Che corrisponde però a quando faccio qualsiasi fotografia. Uguale per le Polaroid di prima.
Quindi non è cambiato niente. E il mio lavoro sull’allucinazione e l’intangibilità può proseguire sereno. Quasi sereno…
Sempre col dubbio che macina, e che confeziona una realtà parallela a me intimamente più consona.
Che sia mossa o sfuocata cambia poco, è solo una condizione diversa della medesima domanda: boh…

Nota a margine.
Già che mi trovo con uno strumento sostanzialmente empirico, punto tutto sul limite.
E stampo grande. Quasi a stracciare il file.

Milano, 2 febbraio 2015.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Questa la presentazione di Giovanna Calvenzi

Questo il testo di Michele Smargiassi

Questo il Comunicato stampa

E queste le immagini…

Efrem Raimondi iPhonephotography. 2014

September 2014

Efrem Raimondi iPhonephotography. 2013

March 2013

Efrem Raimondi iPhonephotography. 2013

March 2013

Efrem Raimondi iPhonephotography. 2013

April 2013

Efrem Raimondi iPhonephotography. 2014

May 2014

Efrem Raimondi iPhonephotography. Fuorisalone, Milano 2013

April 2013

Efrem Raimondi iPhonephotography. 2013

December 2013

Efrem Raimondi iPhonephotography. 2013

November 2013

© Efrem Raimondi. All rights reserved

V I D E O    U P D A T E   April 11
Claudio Pastrone a 360° nella mia cella: grazie!

update

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Workshop. Mi fido di me… adesso.

Workshop - Efrem Raimondi

Workshop…
Fino a poco tempo fa non ne volevo fare.
In generale non li trovavo utili, soprattutto i miei.
Questo per iniziare… come una dichiarazione.

Più di due anni fa feci un post sul tema della didattica, maggio 2012.
Nel quale, tra l’altro, manifestavo la mia diffidenza per i workshop.
Come un fastidio. E pensavo ai miei, non a quelli di altri fotografi. Ai miei e a quei pochi che avevo tenuto.
Dal risultato inadeguato per ciò che ritengo uno standard buono.
Per questo trovavo sempre una scusa e declinavo gli inviti.
Perché costringere in due/tre giorni un percorso che fosse significativo sul ritratto, mi sembrava limitato. E per me limitante.
Ho bisogno di aria, di soffitti alti e che il tempo si fermi…
Il ritratto più di qualsiasi altra fotografia è un tempo sospeso. Quindi anche i relativi workshop si adeguino.
Questo per me.

Non avendo nulla da sommare, io sottraggo.
Ed è nella sottrazione che trovo la fotografia che mi riguarda.
Solo che fare questa fotografia è più semplice che dire come farla.
Perché non si tratta di fissare un binario e montarci sopra, e l’approccio non solo è molto importante, ma soprattutto non è univoco.
Questo era il vero limite, quello che riscontravo.
Aggiungevo però, a fine post, che ne stavo rodando uno.
Cioè un workshop dove il tempo fosse davvero sospeso.
E la sottrazione diventasse elemento visibile.
Dovevo trovare il modo per coniugare la struttura e l’idea che ho di fotografia con un percorso teorico-pratico realmente significativo sul ritratto, che per me ha delle peculiarità non declinabili.
Come l’assenza di effetti speciali dal sapore posticcio, per esempio.
O l’individuazione dell’elemento, magari marginale, che in realtà è l’architrave di tutto il rettangolo fotografico.
Un percorso che mantenga intatta la centralità del linguaggio e la sovranità dell’autore e che proprio nel fare, nel misurarsi praticamente con una situazione standard, sia in grado di rispondere alla domanda Dove ha sede il mio ritratto originario?
Perché si tratta di trovare la propria matrice, senza la quale produrremmo solo delle parodie.
Mi hanno aiutato molto una serie di conferenze che ho tenuto.
E anche la lettura di alcuni portfoli, prevalentemente di giovani autori, dove convivevano determinazione del gesto e una certa balbuzie espressiva. Cosa c’era che non quadrava?
A me era chiaro. A loro no. E proprio nel confronto ho trovato la chiave che mi riguarda. Che riguarda la serie di incontri in programma.

Adesso mi fido di me… adesso ho il workshop che mi mancava.
Bello secco. Modulabile sia in due che in tre giorni.
Non è la verità… in fotografia non esiste.
È solo il mio modo di fare ritratto.
Per cui l’unica condizione all’adesione, è che esista un’affinità.
E che ci sia la disponibilità a disintegrare i cliché.
Non ci sono effetti speciali, confermo.
Né fuochi d’artificio: c’è solo da andare dritti al punto.
Un face to face col soggetto, quello autentico. Cioè noi.
Perché è solo in noi che risiede l’origine del ritratto.
Se c’è, si trova. Se no amen.

Sottrazione è la parola d’ordine.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

C A L E N D A R I O
Comincio a maggio, presso la Fondazione Fotografia Modena.
Poi Venezia a giugno, presso CIVITA, Casa dei Tre Oci.
Il calendario si trova nel menù in alto WORKSHOP – ECCETERA, e sarà aggiornato di volta in volta.

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World Press Photo – The Best

Efrem Raimondi Blog


World Press Photo: il più importante premio fotogiornalistico del mondo!
A sentir loro, anche l’unico.
World Press Photo… scandito bene non so perché mi ricorda Palla di Lardo al minuto 1:47: Full… Metal… Jacket!

Full Metal Jacket  - Efrem raimondi Blog

Nato nel 1955… peccato!
Fosse nato nel ’36 l’avrebbe vinto Robert Capa. A mani basse con Morte di un Miliziano.
Poi glielo avrebbero ritirato a mani alte…
Non seguo con trepidazione l’evento, però pare che ultimamente siano più i premi dati e ritirati a far notizia.
A pirlare sul web in questi giorni c’è anche di che sorridere: mio cugino in camporella… la didascalia… ma io non ho letto… lo studio del pittore che non è qui ma è là… il borgomasstro di Charleroi… le orgie paesane…
A me spiace per Giovanni Troilo.
Senza sapere perché. Mi spiace e basta.
Come la crocefissione di Capa. Che è stato un precursore, altro che balle. E aveva visto lungo.

WPP sPhoto Contest…
Non me ne frega niente di schierarmi su faccenducce bigotte.
Dal sapore pretestuoso.
E non si tratta di riscrivere regole tamponanti il democratico flusso digitale – che si fotta!
La vera questione è un’altra.
E cioè che il reportage è morto.
Quel reportage lì, ficcato nella divina teca della verità informativa assoluta, è morto.
Rincorso prima e ampiamente superato adesso da un qualsiasi smartphone a Kabul.
Ne serve un altro.
Che esiste da sempre. E che non ha a che fare con la verità… che ce ne frega della verità? Scritta e imposta da chi? Questa roba dal sapore di Storia mi mette la nausea…
È di fotografia che stiamo parlando.
Del racconto di una vita. Quella dell’autore. Che incontra altre vite.
Nessuna di queste vite è lì per caso.
Dal suo sguardo non pretendo informazioni incontrovertibili, pretendo etica, cioè il rispetto per gli altri. E per se stessi.
Al netto di taroccamenti avulsi, che è solo un fatto di coscienza, cioè di identità con ciò che si sta vivendo. E che per un fotografo coincide con la fotografia che produce.
Cioè dialettica. Mica punti esclamativi!
Qui dentro, dentro questo argine, puoi raccontare tutto. Anche il dolore. Che è roba tua… gli altri davanti, in prestito.
Guarda che si vede quando speculi…

Mi sono fatto un bel giro sul sito WPP…
È come spaccato in due:
http://www.archive.worldpressphoto.org/years
Da una parte una fotografia che se anche non frequento, sento mia.
Perché mi riempie gli occhi di Terra.
E l’altra, recente, che mi è estranea, perché non vedo il fotografo.
http://www.worldpressphoto.org/awards/2015/general-news/pete-muller?gallery=2900401

Dulcis in fundo, tutta la miseria del mondo sparata full frame mi ha fatto rimpiangere le tranquille cartoline di provincia.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

 A G G I O R N A M E N T O   8 marzo: dichiarazione di Giovanni Troilo

TROILO SAID 

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