OPEN EDITION GALLERY – Perimetro

OPEN EDITION GALLERY è una iniziativa dell’associazione Perimetro.
Alla quale ho aderito pensandoci bene.
Ed è una scelta politica… una serie di immagini a un prezzo fuori mercato: 120 euro nel mio caso, perché ho scelto il solo formato 25/25 cm dei tre disponibili.

Il cui 45% va all’autore, un altro 45% all’asociazione Perimetro e il 10% a un progetto charity amministrato dalla Onlus Live in Slums che realizza progetti umanitari e di cooperazione sociale.

Non sono edizioni e non hanno tiratura. Non hanno neanche la firma.
Ma hai una stampa fine art certificata OEG Perimetro.
Di solito non è così per ciò che mi riguarda: faccio edizioni con tiratura di nove esemplari. Ma il prezzo è altro. E un destino diverso.

Qui non si finisce in galleria, ma nelle case di chiunque ami una certa fotografia.

Parlo per me: non si tratta di una selezione di secondo livello.
Non sono scarti per parlar chiaro: queste immagini mi appartengono totalmente.
Semplicemente sono stampe fuori edizione acquistabili solo con questa formula.

Ho iniziato la mia gallery con quattro immagini della serie RANDOM DOUBLE SNAPSHOT.
Random… Che però non tradurrei con casuale. Più una questione di suono: randa in milanese… randagio.
Perché in effetti di casuale non c’è niente: mi trovavo in quei luoghi perché lì, proprio lì, stavo lavorando.
Double Snapshot… cioè il prodotto di due fotogrammi distinti. Poi assemblati senza un obbligo di continuità geometrica – qui sul mio blog ne ho già parlato.

La mia selezione adesso.
A disposizione di che ne ha piacere per ancora cinquantasei giorni.
Adesso. Poi si vedrà.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Condividi/Share

Troppe tette: cambia paesaggio!

Amo il paesaggio, i belvedere e i tramonti.
Foto o non foto. Cos’è che non va?
Anche le tette. Ma troppe, in foto, sembra facciano male. Per cui non ne parlo. Al momento almeno.
La fotografia è linguaggio. Uno solo. Che moduli con ciò che vedi e che intendi restituire.
E che altri non vedono. O vedono diversamente.
Non esiste un genere che sfrutti il linguaggio in modo più nobile di altri. Esisti solo tu e come vuoi raccontarti.
Il termine genere altro non è che la versione intellettuale e critica del termine specializzazione, tamarra e merceologica, per cui caduta un po’ in disgrazia come espressione. Un po’ tirata, ma è come spazzino che diventa operatore ecologico… l’escamotage di un sistema di potere che attraverso la raffinazione della parola tende a svuotarla di contenuto.
Ma rappresentano la stessa cosa, lo stesso concetto. E cioè una fotografia che si deve riconoscere nell’immediatezza della fruizione. E della divulgazione.
Una semplificazione necessaria.
La fotografia alla quale penso non è necessaria.
Non nella misura attribuita dalla cultura massmediatica contemporanea. Che arranca ma non si arrende, perché utile al mantenimento di condizioni vergognosamente privilegiate.
Tutta roba vecchia e aggrappata, anche se con sembianze giovanili.
Le immagini che eludono i confini del genere sono quelle che in sé concentrano gli elementi  di universalità che sono propri del linguaggio puro e cioè non viziato dall’armamentario di genere.
E che paradossalmente hanno maggiore riscontro tra i non addetti ai lavori. Cioè chi le immagini non le manipola per campare o per assicurarsi una posizione mediatica.
Se vedo un’immagine che mi esalta, certamente non è un’immagine di moda, non è un ritratto, non è design, non è street photography: è una fotografia. Solo una fotografia. In sé compiuta.
E non mi frega niente di dove viene collocata dal dizionario.
A maggior ragione per il paesaggio. Landscape…
Che collocazione più derisa non c’è.
Ed è strano… perché c’è molta più dignità nel fotografare una collina nell’Alessandrino che con una mano scattare una snap, mentre con l’altra ti gratti il culo a New York.
E visto che ho fatto entrambe le cose, so di che parlo.
Perché il paesaggio prevede la sua incondizionata accettazione.
Che ha direttamente a che fare con la sua contemplazione, ancor prima che con la pratica fotografica.
Quindi, prima di poter restituire qualcosa, intanto scompari.
E solo se scompari, solo se accetti la misura più prossima allo zero, e della quale non hai abitudine, allora dimensioni e qualcosa di profondamente tuo trova forma e emerge.
Non è pratica da supermarket…
Il paesaggio non ha alcuna urgenza. E non è subordinato ad alcuna storia da raccontare. Lui sta lì, che tu ci sia o meno è indifferente.
E forse è questa sua indifferenza che ci urta, e che costringe alcuni, molti, a sforzi abbellenti. Una pretesa che si riduce in caricatura.
In una rappresentazione stucchevole, dove i singoli elementi che compongono l’insieme non hanno più relazione: ognuno, disinvoltamente sovraphotoshoppato, si specchia in un plastico natalizio. Uguale per tutti.
Che se non basta si può ricorrere al bianco e nero, ultimo salvagente.
Terribilmente all’inseguimento dello stupore.
Che poi, alla quinta che vedi vorresti tornare alle tette.
Ma è così difficile fermarsi di fronte al paesaggio?
È così difficile ascoltare ciò che ha da dire?
È così intellettualmente disonorevole affacciarsi da un belvedere?
È così cheap bearsi di un tramonto e volerlo condividere?
Il tema della beatitudine si confronta, oggi ma da un po’, con un paesaggio che non è immacolato. Non fosse altro che per la nostra presenza di per sé inquinante.
E a dispetto di ciò che vorremmo, e della nostra intransigenza ecologista, ne possiamo godere solo attraverso questa perdita.
Non è l’apologia della cementificazione, è una constatazione.
Qualsiasi paesaggio è raggiungibile.
Oltre la nostra inadeguatezza.
È con questo paesaggio che ci misuriamo.
E proprio per questo di fronte alla fotografia di un tramonto ho un moto di commozione nei confronti dell’autore, soprattutto se pressoché anonimo. Perché rappresenta il baluardo romantico attraverso il quale l’emozione, forse idiota, nega l’attualità, che idiota lo è certamente.
C’è una caparbietà spesso inconscia in questo. Non di meno rispettabile.
E allora, noi che abbiamo la presunzione di possedere il salvacondotto per le nostre immagini, che qualsiasi prurito sembra trovare dignità, se proprio non vogliamo misurarci con l’urlo figurativo proprio del paesaggio, il che è legittimo, almeno non accusiamo di eresia chi col paesaggio si cimenta fotografandolo.
Sempre la stessa menata in fondo: è il come che ci riguarda, non il cosa.
It’s only my opinion.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Le immagini pubblicate sono state realizzate tra il 2004 e oggi.

Fotocamere: Ricoh GR1s, Leica CM, Leica M7, Ricoh GR D e GR DII, iPhone 4S.
Film: Fuji NPS 160.

AGGIORNAMENTO 21 settembre 2013
Vilma Torselli per ARTONWEB