leggero

 

Leggero…
Si può fotografare una fanciulla di diciassette anni?
Anche se sei punk? – voce fuori campo.
No. Se sei punk solo brandelli di vita sderenata.
Oh! Sai quando hai l’impressione di essere inattuale…
Lo sai?
Ma quale impressione, è proprio così.

Solo che me la godo tutta questa divergenza.
E la ribadisco ogni volta.
Ma non c’è ostinazione, nessun artificio: non so fare che sempre la stessa fotografia.
Anche quando è mossa. Sempre la stessa.
Stai invecchiando: l’hai già detto – voce fuori campo.
A me tutte ‘ste voci fuori campo…

Ma se ho ancora tre anni!
Fa’ una roba: pensa al trend e lasciami crescere.
Che la strada è infinita.

 Maddalena by Efrem Raimondi

Maddalena by Efrem Raimondi

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Maddalena… mossa: assolutamente diciassette anni.
Milano, maggio 2016.

Make Up, Laura Stucchi
Tubino ”vecchio Armani di mamma”.

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Fotografia. No ritratto.

mio padre by Efrem Raimondi

 

Questo ritratto non è un ritratto.
È una fotografia.

mio padre, 1995.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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Carcere

Efrem Raimondi iPhonephotography.

                                                                                       Specchio a margine, 2015  © E.R.

 

Nulla succede per caso.
Ma per accorgersi che qualcosa sta succedendo, occorre essere curiosi e sapere ascoltare. Con tutti i sensi.
La fotografia, farla davvero, non impegna la sola vista.
E questo vale per tutti. Perché appunto, nulla è casuale.
Semmai causale.

Durante il mio workshop alla Fondazione Fotografia Modena, chiacchierando con Nicola Petrara, lì partecipe, viene fuori che ha fatto un lungo lavoro in un carcere di massima sicurezza.
Massima sicurezza… dove molti oggetti di uso quotidiano vengono negati.
Come lo specchio.
Non ci si pensa… ma se d’emblée ci venisse precluso, lo specchio intendo, che sarebbe della nostra faccia?
Quale la nostra identità?
Lavoreremmo sulla memoria?
Stai in carcere due, cinque, vent’anni… poi ne riparliamo.
Non c’entra con nessuna valutazione morale né con la pena che stai scontando: è l’idea insopportabile della propria immagine negata.
E di un riscontro impossibile: come avere la faccia da un’altra parte.

Per cui quando Nicola entrava in carcere era altro che ben accetto, di più!
Perché il monitor della sua digitale diventava il luogo di restituzione dell’identità. E il tempo finalmente tornava a coincidere.
Questa la molla che ha scaturito questo articolo – mi son rotto le balle di dire post… quelli, oggi, li fanno i newsmagazine.
E così ho coinvolto prima Giovanni Mereghetti, collega che conosco e stimo, e poi suo figlio Hermes.
Perché entrambi hanno fatto un lavoro sul carcere.

Questo è quanto. Buona visione.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

 

Giovanni Mereghetti
Casa di reclusione di Milano-Bollate. Ottobre 2012 – Febbraio 2015.

Da sempre mi occupo di problematiche sociali e soprattutto della gente di “serie B”. Fotografare in un carcere significa andare oltre i margini del vivere comune. Entrare in contatto con persone che siamo abituati a vedere in modo diverso. Conoscere le loro storie, cercare di capire le loro vite. E poi fotografarle senza “rubare nulla”. Alla fine una stretta di mano. E un sorriso.

© Giovanni Mereghetti. All Rights Reserved

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N O T E


Hermes Mereghetti
Casa di reclusione di Milano-Bollate. Marzo – Luglio 2015.

Sulla scorta del mio precedente lavoro fatto in studio su persone amiche e conoscenti, ho voluto approfondire la mia ricerca interiore dell’individuo attraverso la particolarità dei detenuti di un carcere. E’ stato importante lavorare in simbiosi con i soggetti, i quali, oltre che posare, hanno suggerito loro stessi un aggettivo che in qualche modo li rappresentasse.

© Hermes Mereghetti. All Rights Reservedv e n d i c a t i v o

 

© Hermes Mereghetti. All Rights Reserveds c h i e t t o

 

© Hermes Mereghetti. All Rights Reserved

p e r m a l o s o

 

© Hermes Mereghetti. All Rights Reserved

f i d u c i o s o

 

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s i m p a t i c o

 

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g e n e r o s o

 

© Hermes Mereghetti. All Rights Reservedo n e s t o

 

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c a l c o l a t o r e

 

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d i f f i d e n t e

 

© Hermes Mereghetti. All Rights Reserved
t i m i d o

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N O T E


Nicola Petrara
Casa Circondariale di Trani (Bari). Reparto Massima Sicurezza.
Istituto Penitenziario Spinazzola (Bari). Detenuti Sex Offenders  – chiuso nel 2011.


Le immagini sono state realizzate durante due progetti distinti, nel 2008 e poi nel 2009.

La spinta iniziale è arrivata dalla curiosità di entrare in contatto con un mondo a me sconosciuto. La fotografia spesso ha questa funzione di “chiave”.
Ho accettato volentieri l’invito di due miei amici a documentare il loro progetto su base teatrale.

© Nicola Petrara. All Rights Reserved

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N O T E

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Polaroid VS iPhone: BLA BLA… PRRRR!

© Efrem Raimondi - All Rights reserved


Ah… dkhjoirfv dfjcnjpsam, djojqg. Che poi kchikeepmlladfgheyfff deherioss hdgskoiof! Ah… jfklwkdf djhk1ki 16 fjkwfmk djquiodpcmnb cgietcfddfj dmje, dgwl, djhfllo hgkd stf.
Ah … stgh – urca!- albfdhyuwrk!! Bla Bla PRRRR…
Bla Bla Bla. PRRRRRR.

Beatriz - Polaroid by Efrem Raimondi

Beatriz, 1997
From the series Appunti per un viaggio che non ricordo. 1989 – 2001
Polaroid SX-70. Polaroid 600 BW film.
Print 100 x 100 cm.

Laura by Efrem Raimondi, iPhone Photography

Laura, 2015
iPhone 4s. Software, Silver Efex Pro 2: only add film grain.
From the series Insta_Randa, 2007 –
Print 50×50 cm

Mariateresa by Efrem Raimondi, Polaroid

Mariateresa, 1999
Polaroid SX-70. Polaroid 600 BW film.
From the series Appunti per un viaggio che non ricordo, 1989 – 2001
Print 100×100 cm

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Dalla Polaroid all’iPhone.
Nessuna alternativa.
Nessun messaggio.
Si continua e ciao.

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Bianco e Nero – Una pura formalità, 4

 

Bianco e Nero- Operaio by Efrem Raimondi


Bianco e Nero

Ancora tu, che non esisti.
Ancora tu, umiliato e che però insisti.
Aggrappato al ricordo di quando giocavi da solo.
Tu, il peccato originale dal quale la fotografia dipende.
Insisto io: la matrice alla quale erroneamente deleghiamo la nostra parte nobile.
Poi arriva il maestrino… che ci dice che in natura non c’è né bianco né nero in veste assoluta.
Grazie. E chi se ne frega.
Neanche la fotografia esiste in natura, in qualsiasi veste si presenti.
Neanche l’antibiotico, e metà della popolazione mondiale sarebbe palta. Io compreso.
Quando fotografiamo esercitiamo un arbitrio. E il gesto è unilaterale.
Questo sì che è naturale.
Modulare e concedersi un po’ di tolleranza oltre l’oggettività semantica: per assoluto si intende davvero qualcosa che solo la percezione è in grado di rendere tangibile. Visibile. Un arbitrio appunto.
Ce l’hai questo arbitrio?
O stai incollato al manuale di colorimetria?

Bianco e Nero
Non è una tecnica. Non è una religione…
È un’idea, un concetto.
Più del colore pretende rigore. Perché in una gabbia più stretta. Pena la morte della fotografia che lo ospita.
E se la pellicola, una bella pancromatica, qualche suggerimento te lo dà, e in qualche frangente ti assolve, il digitale è quantomeno allergico. Il grado… tu puoi solo intervenire sul grado di allergia.
”Ma non lo sai che c’è la Leica Monochrom?”
Lo so. Ne ho ordinato un pallet. Che a me dopo ogni shooting piace schiantare la fotocamera per terra. Come gli Who.

Il B/N non è solo bianco e nero… in mezzo c’è tutta la gamma dei grigi. Ed è esattamente qui che si manifesta più fortemente l’allergia digitale. E siccome non si sa bene come affrontarla, succede che molti tendano a disintegrare tutte le informazioni lì in mezzo. Producendo un effetto da pellicola fotomeccanica. A loro insaputa. Terribile…
Per chi non l’avesse mai fatto: acquisti una bella Neopan Fuji, 100 o 400 iso, se no una Ilford qualsiasi – non le conosco – e faccia un rullo standard 36.
Delle normali stampe prodotte da un laboratorio dedicato bastano allo scopo. Cioè vedere la differenza. Che è immediata.
Perché il nero è Nero e il bianco è Bianco.
E in mezzo i grigi. Che non sono una patina omogenea, un velo offuscante… che non servono da paciere tra due contendenti, ma costituiscono la struttura dell’immagine. Il volume.
Un’immagine coi livelli compressi, dal contrasto elevatissimo, è solo una fotografia piatta. Un esercizio grafico.
E non è che l’aggiunta di qualche filtro di provenienza Instagram o qualsiasi altra roba cambi la questione. Semmai la peggiora.
Perché uniforma ulteriormente a un trend. Che è solo una specifica momentanea simile a una scorreggia.

Poi ci sono le eccezioni. Quando davvero l’elemento cromatico è soggetto, cioè in sé definisce il linguaggio e dà senso all’immagine.
Per cui può essere che un nero inchiodato e un bianco quasi bucato siano funzionali. Sapendo bene però che di materia, lì, non ce n’è.
Per intenderci non è roba da ritratto. Per me.

Bianco e Nero ultima spiaggia… un parto digitale. Accade quando si pensa che quella roba un po’ deludente che guardiamo con tutto l’RGB schierato, sia in realtà proprio una ciofeca. Ma chissà per quale motivo la si vuole salvare. E più che un salvagente, più di un canotto, le si lancia addosso la corazzata B/N. E l’affondiamo.
Finalmente! verrebbe da dire. Ma poi ci si ripensa. E si smanetta più o meno boh. Nella stragrande maggioranza dei casi il risultato è deprimente. E lo è tanto più è accattivante.
Perché a furia di sottolineare, il file si strappa. Come una pagina.
Se una fotgrafia è insignificante, resta tale anche a pois verde e rosa. Col nero oltretomba al centro.
La fotografia nasce B/N o colore nella nostra testa. Così si ama dire.
Ed è anche vero. Non sempre…
Può succedere che ci si accorga dopo. È un sentore preciso, perché perforante.
Se sei alla preview, ancora lì con la fotocamera in mano, hai un’altra chance. Grande anche, perché la consapevolezza è una discriminante.
E puoi usarla. Basta chiudere gli occhi e cambiare visione. Quindi ri-scattare.
Questo in digitale.
In pellicola anche.
Perché è vero che la matrice esclude il bianco e nero, ma è ancora più vero che è il tuo cranio a decidere cosa farne della matrice. Come usarla.
E con questa tecnologia e una buona scansione ti basterà ricalcare le intenzioni.
Ecco… magari in ripresa tenderei a essere un filo sovraesposto… mezzo diaframma, uno. Anche due, in subordine al formato e alla circostanza. E ottenere un negativo più denso. Che equivale ad avere maggiori informazioni.

Poi… poi sul digitale d’ordinanza in rete si trovano tutte le dritte per produrre un bianco e nero da un file, passando direttamente da Photoshop o da Lightroom. E ognuno dice la sua.
Personalmente penso che sia sempre meglio avere un file con più informazioni possibili.
Quindi con una estesa gamma dinamica. Come per la pellicola di cui sopra insomma.
Direi uguale… In postproduzione poi se ne riparla.

Ma in assoluto ciò che conta, ciò che determina qualsiasi azione si intenda fare, è l’idea che abbiamo di B/N.
E che idea abbiamo di fotografia.
Entrambe le cose non si improvvisano.
E non è un’astrazione. Non è un alibi per snobbare la tecnica, che tanto non è eludibile e solo conoscendola puoi decidere cosa fare, di lei e di te.
Senza questo preliminare si rischia di pirlare come una trottola. Che gira e rigira sempre sullo stesso punto. Quindi, a fine corsa, affossarsi nel grande limbo mediatico.
Bianco e Nero come concetto significa avere chiarissima la traduzione che il nostro cranio fa del passaggio dalla vista allo sguardo. Che è l’unica cosa che ci appartiene.
E distingue.

Dell’HDR non parlo neanche.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Bianco e Nero by Efrem RaimondiMago, 2014. iPhone

Bianco e Nero by Efrem RaimondiL’impronta, 2014. Work. iPhone

Bianco e Nero - Giacomo Agostini by Efrem Raimondi

Giacomo Agostini, 2004. Scansione da negativo colore 4,5/6

Bianco e Nero - Giovanna Gentile Ferragamo by Efrem Raimondi

Giovanna Gentile Ferragamo, 1996. Negativo 10/12

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

John Siciliano, 2000. Negativo 6/7

Bianco e Nero - my father by Efrem Raimondi

My father, 1995. Negativo 10/12

Bianco e Nero - self portrait by Efrem Raimondi

Self portarit, 1986. Polaroid 55

Bianco e Nero by Efrem RaimondiDaniele Scarpa, 1999. Negativo 6/7

Bianco e Nero - Elio Carmi by Efrem Raimondi

Elio Carmi, 1992. Polaroid 55

Bianco e Nero - Platinette by Efrem Raimondi

Platinette, 2000. Negativo 4,5/6

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Trussardi monografia, 1996. Milano. Negativo 35mm

Bianco e Nero - Tulipano Nero by Efrem Raimondi

Tulipano Nero, 1992. Polaroid 55

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Promenade des anglais, 1998. Nice. Polaroid 600

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Gatto nero, 1999. Polaroid 600

Bianco e Nero- Operaio by Efrem Raimondi

Operaio, 1989. Polaroid 55

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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Gabriele Basilico, Quaderni vol 3

Questo il terzo volume de I quaderni dello Studio Gabriele Basilico: In pieno sole. Del 1977. Che Basilico chiamava ”l’abbronzatura”.
Se era inaspettato il tema del Volume 2, quello su Glasgow e i suoi bambini, questo lo è ancora di più: people… inequivocabilmente people.
Carne alla griglia, direi.
C’è davvero molta ironia in questo Basilico. Tutta quella che non c’è nel suo stranoto lavoro… quello del rigore, quello dello sguardo all’infinito. Quello della sottrazione e del silenzio.
Qui di sottrazione non ne vedo, non può essercene.
Magari non c’è neanche silenzio, però certamente non c’è rumore.
Mi fermo a quello che vedo. Mi fermo a questo. Sono un fotografo, non un critico.
Aggiungo solo una considerazione: se hai uno sguardo puoi andare dove ti pare.

Il Quaderno ha un testo introduttivo di Antonio Bozzo, nel quale con ironia e calore si presenta come un ”Raggio di Sole”. E in questa veste racconta anche del suo incontro con Basilico nello specifico di questo lavoro.
C’è poi un breve testo di Claudio Guenzani che racconta del suo rapporto di gallerista e di persona amica.
Infine la postfazione di Giovanna Calvenzi, leggibile interamente dalla riproduzione della pagina.
Le immagini qui riprodotte sono solo alcune delle ventuno pubblicate.

Mentre il primo volume, Abitare la metropoli
http://blog.efremraimondi.it/gabriele-basilico-quaderni/
è stato da poco pubblicato da Contrasto Editore, sia il volume 2 Glasgow. Processo di trasformazione della città. 1969
http://blog.efremraimondi.it/gabriele-basilico-quaderni-vol-2/
che questo, non sono ancora disponibili. Purtroppo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

In pieno sole. 1977, 48 pagine.
Brossura cucita, formato 14,5 x 19,8 cm.
Testi: Antonio Bozzo, Claudio Guenzani.
Postfazione Giovanna Calvenzi.
Progetto grafico e impaginazione di Maurizio Zanuso.
Realizzazione editoriale, Studio Guenzani.
Finito di stampare il 20 gennaio 2014 presso Arti Grafiche Meroni.

B&W: realtà e finzione ecc.

Segnalo un articolo di Vilma Torselli, per Artonweb:
Bianco e nero, la realtà della finzione.
La questione è sempre aperta… quasi un peccato originale rispetto al quale non siamo in grado di prescindere.
Questo il link:

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Do you like fiorellini?

Ciclamini by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved
Fiori
.
Si fa in fretta a dire fiori…
E allora io faccio ancora più in fretta: taglio tutto e mi fermo oltre. Appena oltre.
Recisi…
Cadaveri presentabili grazie a un po’ d’acqua e ghiaccio… alchimie del fiorista.
Come stare in un obitorio.
Una stanza prima, diciamo. Perché respirano ancora.
Moribondi allora.
Si fa in fretta a regalarli.
E pensare che erano i padroni del mondo: il primo respiro intorno a 200 milioni di anni fa. Milione più milione meno.
Non c’era ancora manco un mammifero. Manco un bel niente.
E l’ossigeno l’hanno inventato loro.
Appena prima le piante, vero… comunque è ai vegetali che dobbiamo tutto.
Figli dei fiori… anche senza treccine e una raffica di cioè a disposizione di eloquio.

Si fa in fretta allora a fotografarli, come un album di famiglia.
Ma se ci piacciono tanto, perché li ammazziamo?
A fine anni ’80 ho cominciato a chiedermelo.
Guardando i fiori di Robert Mapplethorpe: bellissimi… apoteosi estetica.
La scelleratezza dei vent’anni non guarda in faccia a nessuno.
Ho preso il mio banco ottico e ho detto ”Faccio anch’io!”
Solo che era molto diverso il fiore che io avevo davanti rispetto a quello di Mapplethorpe.
Cioè, i suoi come dopo il make up delle pompe funebri americane. Come nei film.
Questo è ciò che ho percepito un giorno preciso alla Milano Libri, in via Verdi 2.
Mio luogo di pellegrinaggio in un certo periodo.

Erano due ore e almeno la terza volta che sfogliavo i suoi fiori a piena pagina.
Stampati da Dio.
E ho avuto ribrezzo.
Si può dire?
Io guardavo i miei. E sembravano urlare.
Io guardavo i miei. E mi ricordavano le Danze macabre del Baschenis.
Se guardavo solo i suoi non avrei mai fatto niente.
Il problema era quindi ancor prima di fotografarli.
E infatti non ho mai pensato fossero degli still life.
Ma dei ritratti. A della gente messa piuttosto male.
In alcuni casi malgrado le apparenze, in altri incluse.
Li ho ritratti fino a metà ’90, poco più.
Lo facevo saltuariamente, quando capitava e avevo una buona riserva di energia.
Ed ero completamente solo. Poi ho smesso.
Fino a gennaio 2012. Erano lì, omaggio di una ospite.
Erano lì in un vaso.
Li ho raccolti, sono andato a fare una passeggiata sul Ticino e li ho lanciati in acqua.
Prima però li ho ritratti.
E ieri ho fatto lo stesso con degli Iris.
Mi costa abbastanza a queste condizioni.
Ma mi è chiaro che me ne fotto.
Eccolo qua il vero senso della fotografia: al netto di tutto, me ne fotto.
E procedo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

Iris, by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

Ciclamini, by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedTulipano Nero by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCiclamini © Efrem Raimondi. All rights reserved.Tulipani © Efrem Raimondi. All rights reserved.Tulipani © Efrem Raimondi. All rights reserved.Giglio rosso © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Vaso di fiori alla finestra © Efrem Raimondi. All rights reserved.Gigli bianchi © Efrem Raimondi. All rights reserved.Vaso di fiori © Efrem Raimondi. All rights reserved. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Queste immagini sono state realizzate tra marzo 1992 e oggi.

Fotocamere: Toyo 45G con Rodenstock 180 mm, Hasselblad H3D II-39 con 80 mm, iPhone 4S.
Film: Polaroid 55, Agfapan 100, Ektachrome EPN 7058 svl. in C41.

Tulipano nero, no fotocamera: solo film + accendino Bic.
In una camera oscura che più scura non si può.

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Gabriele Basilico, Quaderni vol. 2

Secondo volume de I quaderni dello Studio Gabriele Basilico: Glasgow. Processo di trasformazione della città. 1969.
Ed è un Basilico che non ti aspetti. Che io non conosco.
Ma che riconosco.
Paradossalmente non tanto nelle immagini che anticipano ciò che sarà il suo percorso, quanto in queste meravigliose fotografie di bambine randage (e bambini) per una Glasgow che non esiste.
Una città che ancora si lecca le ferite dei bombardamenti sembrerebbe… e che attraverso queste bambine si cerca.
In certe prospettive sospese e nel rapporto immediatamente diretto riconosco Basilico…
Poi c’è il gesto. Leggero e potente. Semplice e perciò complesso, che descrive una sorpresa accondiscendente. Una necessità di relazione immediata.
Non è facile fotografare i bambini. Perché ci sia una restituzione che ti distingua devi avere uno sguardo molto più ampio.
E queste immagini sono splendide.
È stata la sua prima mostra, alla Galleria Il Diaframma di Lanfranco Colombo, via Brera 10, Milano. Un luogo che conosco bene… un punto di riferimento che non c’è più.
Non so se ci saranno altri Quaderni, so che ci sarà un volume edito da Contrasto Editore,
come confermato da Giovanna Calvenzi in un suo commento al precedente articolo:  http://blog.efremraimondi.it/?p=4283
Di questo Quaderno se ne parla anche qui:
http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2013/07/30/gabriele-prima-di-basilico/

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Glasgow. Processo di trasformazione della città. 1969, 32 pagine, formato 14,5 x 19,8 cm.
Prefazione Pippo Ciorra.
Postfazione Giovanna Calvenzi.
Realizzazione editoriale Bel Vedere fotografia.
Finito di stampare il 31 luglio 2013 presso Arti Grafiche Meroni.

Il mio gatto bianco.

Felipe by Efrem Raimondi - All Rights Reserved

    Felipe – Cap Ferrat 1998.

Felipe… il mio gatto bianco.
Con lui, con la sua complicità, ho imparato a fotografare i gatti.
E fotografandoli ho imparato anche molto altro su di loro.
Che mi è molto utile, ancora, quando fotografo i bipedi.
Pratica enormemente più semplice.
Se non altro perché usi la parola.
Se non altro perché una volta risolti i preliminari, più o meno sempre gli stessi, noiosi a volte, si tratta solo di scattare.
Insomma, visto che siamo qui per questo, diamoci. E c’è in qualche modo un’equivalenza dei ruoli al fine del risultato.
E l’unico risultato che contemplo è il coinvolgimento o l’estraneità.
Non considero i piani intermedi: o ci si dà o ci si nega, per me vale uguale.
Perché anche la negazione ha la sua forma.
Le robe a metà, quelle sì mi sanno di posato artefatto.

A volte è solo un dettaglio a fare la differenza. A volte un insieme indefinibile.
E tutto questo l’ho imparato soprattutto fotografando Felipe.
Che mi ha educato molto.
Questa è una storia sulle relazioni. Sull’importanza di mettersi in ascolto.
Usando tutti i piani a disposizione.
Con lui le parole non avevano significato… erano suono.
I movimenti, anche del sopracciglio, linguaggio esplicito.
I gatti non delegano alla sola coda la propria comunicazione, così come noi non rimandiamo alla sola parola. Che anzi a volte è strumentale.
Quand’ero con la fotocamera nei paraggi, mi osservava con attenzione.
E sapeva che da lì a un momento l’avrei mirato.
Ho sempre avuto la certezza che gli piacesse. Che in qualche modo lo recepisse come un nostro rito e un momento alto di relazione.
Perché come mi guardava in macchina Felipe, ne ho trovati pochi. In assoluto.
Senza appunto dover dire niente. E tutto il mondo altrove. Lontano da dov’eravamo.
Lui e io, stop.

Questo è fotografare: tutto condensato in quel minuto… in quell’ora… in quel giorno. Il racconto della tua vita.
Tutto o niente, in quel tempo che abbiamo. E che passa.
Puoi decidere di stare a guardare, svogliato.
O di impugnare ‘sta cazzo di macchina e respirare a pieni polmoni.
Che a volte fa male… fotografare non è una passeggiata. Mai, per come la intendo.
E un’immagine non vale l’altra.
La fotografia non è un accessorio, un modo per riempire il tempo o un quarto di pagina di una rivista. Chi la pratica lo sa bene. Chi la usa, non è detto.
E anzi a giudicare da ciò che si vede sui media a un euro e dintorni, c’è da credere che lo smarrimento regni sovrano. Va be’…

E poi e poi… gli estremi son sempre due.
Coi gatti, il bianco e il nero.
Traslando fotograficamente, una condizione che mi è congeniale.
Anche quando penso a colore, che se per caso mi arriva una eco b&w capisco che qualcosa non va.
Un po’ come fosse un parametro. Una matrice alla quale erroneamente deleghiamo la nostra parte nobile.
Probabilmente il peccato originale dal quale la fotografia dipende.

I gatti sono ossessionati dalla pulizia e Felipe al suo bianco ci teneva.
Con lui ho imparato che il bianco andava aperto: se l’esposimetro diceva x, io dovevo aprire di almeno mezzo diaframma. Pena una nota di grigio.
Ma questo vale anche per il nero… solo a chiudere però.
Perché il bianco e il nero sono un concetto. E quello che va restituito è l’idea che abbiamo di questi estremi. Anche quando la scala è colore.
Felipe ci teneva sì al suo bianco… doveva essere esattamente come lo pensava: assoluto.
Un impegno quotidiano al quale non è mai venuto meno, leccandosi con ostinazione militare quando non gli quadrava.
Non era un fatto oggettivo, era davvero la sua proiezione di bianco, cioè di sé.
Se sono stato il fotografo di qualcuno, è solo di Felipe.
Non dimenticherò mai il suo sguardo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Felipe by Efrem Raimondi - All Rights ReservedFelipe by Efrem Raimondi - All Rights ReservedFelipe by Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotocamere: Polaroid SX-70 e 690 SLR.

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