TABULARASA – Vasco Rossi

Vasco Zone

Vuoi venire con me in America?
Era Tania Sachs al telefono… ottobre 2000. Credevo fosse uno scherzo. Ho riattaccato. Non sapevo che fosse la responsabile della comunicazione di Vasco Rossi. E che non stava scherzando per niente. Così è iniziata per me questa fantastica e complessa scorribanda iconografica nella Vasco ZONE. Non complicata… complessa. Perché fotografare Vasco non è facile. Innanzitutto sono dovuto partire per Los Angeles, io che non amo viaggiare se non in macchina… passi anche il treno se ho poco bagaglio. Finalmente posso parlare di Vasco Rossi! Era ora… ci voleva TABULARASA. Altrove l’avevo già fatto. Qui mai. Per pudore forse. Nei miei confronti… questo blog non ha un anno e come fai a parlare di Vasco se non hai ancora un anno?!
Ma adesso sono legittimato. Adesso carta canta!
Fatto a quattr’occhi (servono sempre entrambi, anche se il mirino della fotocamera ne ospita uno) con Toni Thorimbert.
Lo diciamo anche nella Prefazione, una convergenza rara. Un’esperienza, questa, che mi ha dimostrato che lavorare a un progetto comune è possibile. E adesso direi auspicabile…

Ph. Giorgio Serinelli, c/o Studio Thorimbert

Di questa avventura editoriale devo ringraziare soprattutto Toni: l’intuizione è stata sua. Ma qui non ci si nasconde. Entrambi conoscevamo le reciproche immagini about Vasco. Mica tutte. Ma le più note sì. Poi io posto su FB (chi dice che serve a un cazzo?!) una immagine, quella che chiude il libro e che avevo realizzato un mese prima. Con un Vasco visibilmente provato.  Dentro però c’è tutto il mio affetto per quest’uomo.
Che insomma, qualche giro insieme s’è fatto e qualcosa vorrà dire. Toni vede ‘sto post e pronti via mi scrive. Ci vediamo. Lui aveva la sua maquette pronta per la stampa, volendo. Io la mia. Che stava lì da un po’. Ferma in attesa di qualcosa.  Allora non sapevo di cosa. E io credo poco alla casualità dei frangenti… Mentre sfoglio la sua mi rendo immediatamente conto che la mia è monca. Cioè, intendiamoci, non era male… se passassi il tempo a guardarmi l’ombelico avrei potuto anche credere che fosse una grande storia. E chiusa lì. Ma non era così: era monca! Prima di novembre 2000, Los Angeles, non avevo niente! Manco un autografo… Vasco lo ascoltavo e basta. Vinile prima, cd poi. E questo vuoto non era però un semplice fatto cronologico, fosse stato così me ne sarei rimasto dov’ero col mio pacchetto di foto sottobraccio… no, le immagini che sfogliavo raccontavano un periodo in un modo che condividevo totalmente. Anche emotivamente.
C’è sempre un prima e un dopo. E il dopo è TABULARASA. Così il prima non aveva più lo stesso senso. Questo per me.
Qualche numero magari aiuta a capire: 27 anni di viaggio, dall’85 a oggi per quasi 200 immagini  (sequenze e dittici valgono una).
All’inizio erano quasi 400… troppe: Stefania Molteni, photo editor, ci ha messo del suo e ha contribuito a dare un ordine. Stampata al volo la nuova maquette siamo andati da Gabriella Ungarelli, Mondadori. Che ha gradito.
Tralascio i passaggi intermedi, chi se ne frega. Ora, se sfoglio questo libro mi ritornano forti certe emozioni. E una bella quantità di aneddoti, uno per ogni immagine forse. Certamente per ogni shooting e per il contorno che comporta: mica si passa tutto il tempo a cliccare!
E posso aggiungere persino di essermi fatto delle sane risate in sua compagnia. Perché Vasco è anche allegro (cinicamente allegro): non ostinatamente attaccato alla sua icona… sa scendere dal palco. A differenza di altri. Che tra l’altro il palco, quel palco, l’hanno solo visto da lontano. Un luogo speciale, e non c’è niente come starci sopra e puntare l’obiettivo sul Popolo di Vasco: meravigliose facce da randa!

Imola, 16 giugno 2001. Da TABULARASA.

Lo chiarisco a scanso di equivoci: io provengo da lì. E in quelle facce, in quella eterogeneità mi riconosco. Qualcuno di loro forse ricorderà l’instant book Intorno a Vasco, edito dalla EMI in occasione della mostra omonima che feci alla Galleria Grazia Neri, a Milano nell’aprile 2001: una sorta di diario del mio primo viaggio con Vasco a Los Angeles. Alcune di quelle fotografie sono ancora qui, in TABULARASA. Certe immagini ti accompagnano sempre. Alcune accompagnano più persone. Anche tra loro estranee. È la fotografia. Quella roba che ha la capacità di trascendere il tempo e la sua precarietà. Che regala souvenir diversi. Come certe canzoni.
Vuoi venire con me in America?
Meno male che Tania ha richiamato.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Negativo cover Rolling Stone aprile 2004. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Nel libro, che non è di ma su Vasco Rossi, compaiono diverse persone del suo staff con le quali nel corso di questi anni ho chiacchierato, discusso, cenato, girovagato, lavorato e anche cazzeggiato… e che qui voglio ringraziare: Floriano Fini, Guido Elmi, Danilo ”Roccia” D’Alessandro, Massimiliano ”Macho” Barbieri.
Anche Swan, regista dei live e di alcuni videoclip, col quale ho collaborato ai tempi di Siamo soli.
E Massimo Poggini, insieme in giro per Los Angeles nel 2008, pubblicando poi per Max il libro Vasco Rossi, una vita spericolata.
Grazie anche a Gabriella Ungarelli, Marta Treves, Chiara Oriani, Donata Sorrentino.
A Giacomo Callo e Marina Pezzotta che hanno realizzato la copertina… insomma un grazie a tutta la redazione Mondadori.

Tania Sachs la ringrazio in modo particolare, a lei penso come a una amica.

Le tre Cover.

Ringrazio anche le/gli assistenti che si sono alternati in questi dodici anni di collaborazione vaschiana… in primo luogo Fabio Zaccaro con me a Los Angeles la prima volta. Poi, in ordine seguendo l’impaginato di Tabularasa: ancora Fabio (Roma 2004 – Cattolica 2001), Letizia Ragno (Roma 2004 – Bologna 2009 – Pieve di Cento 2003 ), Nicole Marnati (Sinai e Sharm El Sheik 2004 – Bologna 2004), Emanuela Balbini (Bologna 2009), Giulia Diegoli (Bologna 2012).

A Los Angeles nel 2008 e in altri luoghi, senza assistenti. Spesso con una semplice compatta, che è stata motivo di ironia da parte di Floriano Fini e dello stesso Vasco. Però eravamo tutti più leggeri. E ci si poteva persino permettere di “scambiarci” le foto. Non ne ho neanche una con Vasco… incredibile! Però ho questa sotto.

Giugno 2008, Hotel Melià, Milano © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Mai capito perché in questo paese ci siano delle remore a dichiarare il prezzo di un prodotto: TABULARASA costa € 25,00. Per tipologia e qualità di stampa appartiene a una fascia di costo decisamente maggiore. La scelta è dell’Editore, condivisa da Toni e da me. Brossura con alette, formato 25,4 x 18 cm. Pagine 252. In libreria dal 5 dicembre.

Presentazione: 17 dicembre – h. 18,30.
Libreria Mondadori, via Marghera 28, Milano.
Introduce Giovanna Calvenzi. 

                    

Semplice e basta.

Grazia Casa dicembre 2012 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Non so voi, ma io sono stufo di imbattermi in terrificanti pseudo fotografie che trovano alloggio in buona parte dei magazine.
Mica solo italiani… inutile che si continui a pensare che altrove è meglio e che qui sia concentrata la merda del mondo.
E poi non si fa nulla, ma proprio nulla per cambiare. Ci si piange addosso e basta. E si continua a precipitare nel vuoto assoluto di restyling privi di senso. E le riviste precipitano. Nel gusto ancor prima dei numeri, quelli che dovrebbero servire a tenere in piedi la baracca. Che non scricchiola, sta proprio franando.
Buttare via tutto e ricominciare!
Dicono che non ci sono più inserzioni… le pagine di pubblicità.
E infatti la foliazione è ai minimi storici. Solo che viene il dubbio che la foliazione di prima fosse dopata appunto dalle inserzioni.
Da un bel po’ molti magazine sono puri veicoli del marketing.
Ante web, anche se discutibile, tutto ancora reggeva… ma per quale motivo un’azienda, oggi, dovrebbe investire su un medium brutto e costoso?
Fashion system  a parte, che di fatto usa l’escamotage del redazionale e che evidentemente funziona ancora, tutto il resto non ha ragione di proseguire.
Buttare via tutto e ricominciare!
Ma da dove? Magari da riviste più belle. Fatte cioè meglio. Dirette a un pubblico che si conosce, non che si suppone.
Dirette a un lettore! Non a un affamato di gossip e contorno. Perché anche il contorno, vogliamo parlarne?
All’ennesimo articoletto sul super hotel sette stelle in cima al mondo che ti offre un cocktail al sudore di aquila, o a quello nelle viscere della Transilvania che nel menù ha un consommé di trapollo, un tubero che cresce solo lì, a tre chilometri di profondità, ecco, interessante… ma chi se ne frega!! Il tutto corredato da immagini impossibili da vedere, prese alla rinfusa chissà dove. E impaginate possibilmente peggio.
Un sabato qualunque di un po’ di tempo fa impatto in una cover che mi ha fatto riflettere.
Un crash vero… perché era tutto ciò che più mi disgusta.
Un andazzo che va avanti da un po’. E in effetti è talmente evidente che non ci si accorge. E si pubblica.
Ma è possibile arrivare a utilizzare software davvero fantastici e utili nell’unica versione aberrante?
Alla ricerca del ”famolo strano” sembra un imperativo. Perché?
Sempre in quel sabato che non ricordo, mentre pensavo e scansivo (scannerizzavo o come cazzo si dice) dei miei negativi più o meno datati per un lavoro che avrà a breve luce (TABULARASA), sento urgente un bisogno di semplicità espressiva.
Addirittura sottolineata. Che a guardarla si può persino pensare che io sia ormai altrove.
E forse è vero.
Manco farlo apposta mi telefona Giovanna Calvenzi e mi propone un lavoro per un nuovo progetto che sta seguendo.
Era esattamente la risposta pratica alla mia voglia di mettermi in discussione. Di azzerare le mie certezze.
Il lavoro l’ho fatto, spero veda presto la luce.
Non dipende più da me. Come sempre accade una volta consegnato… poi vedremo cosa eventualmente ne consegue, perché per me rappresenta un bel cambio.
Se guardandosi attorno non ci si riconosce neanche un pochino, forse è il caso di guardare altrove. Non è facile… è come ricominciare.
Ma visto che ultimamente provo soddisfazione quasi unicamente a ritrarre boschi o gatti e solo ogni tanto a ritrarre persone, celebrità per dirla bene (il termine celebrity lo trovo vecchio e presuntuoso, anche se l’ho usato in passato), vediamo se riesco a disintossicarmi un po’. 
E questo servizio che pubblico, per Grazia Casa di dicembre, numero natalizio, è esattamente in questa direzione.
Quattro grandi chef: Enrico Cerea, Carlo Cracco, Robero Okabe, Marco Bianchi… in ordine di pubblicazione.
Tutto molto molto semplice, luce inclusa (ma del resto io uso sempre una luce semplice). Li ho spezzati in due, proprio due scatti diversi. Una roba che ogni tanto mi concedo. E che la redazione ha accettato.
Un vezzo punk in tanto bianco.

 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Assistente fotografia Giulia Diegoli
Fotocamera Hasselblad H3D II-39 con 50/3,5.
Luce, Flash Elinchrom.

Lo sguardo del gatto

Gattoterapia, by Efrem Raimondi

Roma, 1999. Polaroid © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Sembra un fuori tema. Ma non è così.
Sembra una declinazione da social network, ma non è affatto così.
Io amo fotografare i gatti.
O meglio, amo i gatti. E li fotografo per come mi si presentano.
Detesto la deriva caricaturale antropocentrica fatta di cappellini, occhiali, scarpe e
ciarpame assortito che riduce tutto a sberleffo.
E inoltre svilisce il gesto fotografico.
Quindi, forse, è il caso che CHI FA FOTOGRAFIA continui a farla nel modo che gli è consueto.
La Adriano Salani Editore mi chiese tempo fa se mi andava di illustrare un libro sul gatto… ne abbiamo fatti due:  Gattoterapia (2004) e Gattoterapia, gli esercizi (2005).
Ed è stato facile: mi sono limitato a un editing delle fotografie che già avevo dei miei gatti. Sono immagini semplici, dirette… delle snap, dei ritratti, piccole sequenze. Non diverse da altre fatte a gatti incontrati per strada. Non diverse da come mi approccio alle persone.
Non diverse.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Gattoterapia, by Efrem RaimondiGattoterapia, by Efrem RaimondiGattoterapia, by Efrem Raimondi© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotocamere:
Polaroid SX-70 e 690 SLR, Ricoh GR1s e GX-100, Leica Minilux, Nikon FE, Hasselblad H3DII-39

Film:
Polaroid SX-70 e 600, Fuji NPS 160, Agfapan 100 e 400.

Irene Grandi e Stefano Bollani

Milano, ottobre 2012 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Li incontro mercoledì 24 ottobre, a Milano nello studio di registrazione Artisti Nascosti.
Scala ripida che porta giù giù… atmosfera underground e luce soffusa. Ottima per l’ambiente… insufficiente per fare foto.
Creiamo una postazione fissa in nove metri quadri, dove c’è una batteria: due generatori, due torce riflesse dritte al soffitto e luce sufficientemente diffusa.
Qui si lavora prevalentemente in Hasselblad. Mentre poi in giro si va in Nikon con flash sparato. E magari qualcosina che aiuti l’ambiente.
Irene Grandi l’avevo già ritratta per GQ Italia anni fa, poi l’ho incrociata altre volte. Mentre per Stefano Bollani è la prima volta.
Non sapevo bene che diavolo fare, ma visto che c’era una batteria e una chitarra, magari… penso a questo mentre mi fumo una sigaretta in superficie. Emerge anche Irene Grandi con la truccatrice e si parla di luci e make up.
Ma Bollani dov’è? Una botta di batteria definisce il punto esatto.
Perfetto, coi musicisti è così. Credo sia più forte di loro.
Mi è successo anche con Noel Gallagher, con Mark Knopfler e forse anche altri: se c’è uno strumento nei paraggi ti mollano e ciao, suonano.
E chi se ne frega se non è un pianoforte, in fondo la batteria è comunque uno strumento a percussione. E Stefano Bollani un musicista.
Così improvvisano un duetto. E io scatto. Mica c’è da dire un granché, giusto due accorgimenti puramente tecnici… siamo in nove metri quadri!
C’è un ottimo feeling tra loro. E ne beneficiamo tutti.
Poi c’è l’intervista di Angelo Sica, giornalista. Per il magazine Grazia.
Assisto e faccio qualche scatto così, molto leggero.
Fine dell’intervista e io ricomincio, random per corridoi e spazi assortiti. Loro sono entrambi gradevoli e disponibili.
Fine. Quello che dovevo fare l’ho fatto. Postproduzione veloce e consegna al magazine. Adesso non è più affar mio.
E qui pubblico ciò che a me piace.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Tutte le immagini sono state realizzate a Milano il 24 ottobre 2012, presso lo studio di registrazione Artisti Nascosti. Si ringraziano per la cortesia Chiara Fella e Mauro Abbiatello.

Assistente fotografia, Alessandro Albano.
Fotocamere: Hasselblad H3D II-39 con ottica 50 mm e Nikon D700 con ottica 24-120.
Luce, flash: Profoto e SB 900 Nikon.

FB_efrem

 

 

Cat Power – Rolling Stone

RS, ottobre 2012.

Un pomeriggio di giugno, quello scorso… arriva al Magnolia, noto locale milanese in zona Idroscalo, accompagnata da Micro (ufficio stampa), la giornalista Veronica Raimo, e una sua amica americana. O inglese…
Giulia e io eravamo lì da un po’ prima, giusto per capire dove ritrarla. E guardando lo spazio appena dietro al locale mi viene in mente un po’ Blow Up, effettivamente come dice la giornalista nell’intervista.
A questo proposito devo solo rettificare: “il fotografo” non cerca di recuperare un bel niente e anzi garbatamente insiste per una sequenza. Che puntualmente si fa.
Con la consapevolezza che difficilmente sarebbe stata editabile da Rolling Stone per i noti problemi di impaginazione che la sequenza si trascina, soprattutto se lunga. E questo vale per tutti i magazine.
Ma intanto si fa. Semmai poi si estrapola. Come infatti è accaduto.
E non c’è nulla di orrendo in questo… la sequenza te la metti in tasca, conscio che è un’altra cosa… conscio che lo spazio dev’essere altro e ampio. Ma non c’è il minimo fastidio ad assecondare le esigenze redazionali… basta che ogni singolo frame abbia una coerenza propria. Per questo vanno pensate e la raffica serve a niente. Se non a sovraccarsi di repliche inutili.
Diversa invece la sessione dei primi piani: ogni immagine è singola. E Blow Up non c’entra più un cazzo.
Mi ha fatto un gran piacere ritrarre questa donna, questa grande cantautrice americana, alias Charlyn “Chan” Marshall… mica interloquivo con lei chiamandola Cat Power!
Ma il piacere sta nello shooting e per come lei si è data… una vera performer che non si è lesinata. Non capita spessissimo.
Qualcuno che non sia stitico ogni tanto ci vuole.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Rolling Stone mag© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Assistente fotografia: Giulia Diegoli.
Fotocamera Hasselblad H3D II-39, con ottica 50 mm.
Luce ambiente.

Alex Schwazer

Giugno 2011. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo è un blog di fotografia, vero.
Ma ci sono anche le persone da me ritratte, che almeno in quella circostanza ho incontrato. E ci ho passato del tempo. In quel tempo un’opinione te la fai.
Non è la verità, che non inseguo ossessivamente. Anzi non mi riguarda. Ma non è neanche un’idea astratta. Né limitata al grado di simpatia. Non millanto niente: i fotografi hanno un’epidermide a vari strati. Tutti piuttosto sensibili e sfumati. E non solo alla luce, spesso anzi al buio. A ciò che non si vede. Anche se non sempre trova forma in una fotografia.
Io non fotografo eroi. Ma uomini e donne. E credo, spero, si veda.
Alex Schwazer l’ho fotografato per un progetto Mondadori un anno fa.
E questa è un’istantanea in una pausa.
Una giornata lunga, dalle sue parti in Sud Tirolo.
Si è riso, scherzato, fatto sul serio. Chiacchierato della sua vittoria olimpica a Pechino, della marcia e dei sacrifici che comporta.
La notizia di questi giorni mi ha davvero sorpreso. Tanto che se non avessi sentito dalla sua viva voce l’ammissione di doping non ci avrei creduto.
Ho poi visto la conferenza stampa da lui indetta: impressionante!
Tutto sembra un suicidio, sportivo e mediatico. La scelta deliberata di tagliare nel modo più traumatico e disonorevole possibile per un atleta… per un campione olimpico! Uno che andava a Londra col titolo in tasca!
Solo che non ce la faceva più. E non sapeva come fare. Questo è ciò che ha detto.
Oltre a una serie di altre cose. Tutte da ascoltare per bene.
Non entro nel merito della vicenda. E certo non giustifico il doping.
Credo però che ci si trovi di fronte a una situazione imprevista e nuova. Molto diversa da tante altre. Almeno mi sembra.
Questo è un blog di fotografia. E ai fotografi non è chiesto di dire la loro. A qualsiasi pirla televisivo o pseudo fighetta dell’ultima ora sì, ma ai fotografi no. Per una volta me lo concedo.
E spero che coloro che hanno la cortesia di frequentare queste pagine me lo perdonino.
È che proprio davanti a ‘sta crocefissione non è possibile tacere.
Io non fotografo eroi, ma uomini. E sono contento di avere ritratto Alex Schwazer.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Assistente fotografo Giulia Diegoli

Fotocamera Hasselblad H3D II-39, con ottica 50 mm.
Flash Profoto

Roberto Bolle, Étoile.

Roberto Bolle, SW 16 giugno 2012. All rights reserved.

 

Io mi dimentico.
Mi dimentico a volte della data di uscita di alcuni lavori che realizzo per i magazine… un motivo ci deve pur essere.
Questo lavoro a Roberto Bolle, per Sport Week di sabato scorso, doveva essere per me lo spunto per parlare del corpo, una volta tanto maschile.
Attraverso però un percorso variegato. Di respiro più ampio.
Rimando ad altra occasione.

Assolta la premessa, due cose su questo shooting vanno però dette… sono stato impressionato dal livello di perfezione, la sua sì, di Roberto Bolle.
Alessia Cruciani, la giornalista di Sport Week presente allo shooting, e grande appassionata di danza, mentre si predisponeva il set mi diceva che è molto impegnativo, difficile anzi, cogliere la postura esatta di quelli che io chiamo salti (ma che hanno altra e più sfumata espressione… so sorry).
Invece no, con Bolle è stato smplice, e il merito non mi appartiene… fatto tutto lui: da fermo, impressionante, su come un pistone e al momento che non saprei dire quale si apriva o chiudeva con una leggerezza e un controllo imbarazzante per noi lì, piantati a terra a guardare.
Sospeso… è stato facile, in quel momento scattavo. E un attimo dopo ritorno a terra, esattamente da dov’era decollato.
Di ogni “salto” ho fatto non più di tre scatti, e spesso era buono il primo. Così la cover.
Il resto del percorso fotografico mi appartiene di più, peccato ce ne sia solo una pallida traccia nel pubblicato.
Un’alternanza di forza e espressione… corporea e facciale, dichiarata o più intima. Ma qui non si può vedere al momento, questo il motivo del mio rimando ad altra occasione per parlare del corpo maschile.
Spero presto.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Foto ass. Giulia Diegoli.
Studio Santa Veronica. Milano, 30 aprile 2012.
Fotocamera Hasselblad H3D II-39 con ottica 80 mm.
Flash Broncolor.

La trappola didattica.

Barcelona, 1997 – © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Dovunque ti giri è pieno: corsi e workshop a tutto spiano.
Offerti da chiunque: dalla bottega alle scuole.
Con un impegno didattico variabile: dal weekend al biennio/triennio di classica impostazione accademica.
E con una esposizione economica che rimbalza dal centinaio di euro fino a un tot di migliaia.
Tutto ciò in un paese che non ha una sola università dedicata alla fotografia con un piano quinquennale.
Magari di anni ne bastano tre… magari due. Ma per far cosa?
Cioè, a fronte di una grande domanda, terribilmente obliqua, che offerta propone il mercato didattico? E per quale sbocco che tranne rare eccezioni il livello di uscita è imbarazzante.
Mi è capitato casualmente di imbattermi in due studentesse, “laureande” in fotografia presso una prestigiosa istituzione accademica. Erano prossime alla tesi, ed erano molto confuse.
Il materiale che avevano era il prodotto di un progetto ideato e realizzato coi propri fondi all’estero. Anche interessante, ma messo lì così non significava niente. In più tecnicamente era lacunoso.
E non ci si esprime come si vorrebbe affidandosi alla precarietà grammaticale.
Siamo ripartiti dall’intento. Siamo ripartiti dal soggetto. Siamo ripartiti dai raw… siamo ripartiti da tutto. Un percorso durato oltre due mesi a causa del singhiozzo, il mio, derivato dal mio lavoro primario, che è fare fotografia. Col quale ci pago la vita e le tasse.
E dove diamine era il loro relatore? Ho chiesto a proposito… se lo chiedevano anche loro. Li pagano poco??? Alcuni certamente, altri fin troppo!
Non sto a menarla sul piano morale e sull’etica dell’insegnamento, a qualsiasi livello, ma qualcuno mi dica sulla base di cosa lo sconto è effettuato sulla pelle degli studenti.
Ho insegnato sporadicamente da qualche parte, e tra l’altro mi è anche piaciuto. E magari lo rifarei. Con lo stesso entusiasmo di quando tiravo calci al pallone: se non ti va di giocare, stai a casa!
Se non ti soddisfano le regole e sei un genio incompreso, o hai la forza di cambiarle o cambi tu indirizzo. I ragazzi non c’entrano niente. E pagano di persona. Le conseguenze poi, sono per tutti.
Insegnare fotografia? La scuola è fondamentale. Il corpo docente che la compone ne è la spina dorsale: qual è il criterio di designazione di una cattedra? Quale il percorso che ti permette di mettere una targa s’un muro e distribuire diplomi?
Ho davanti un programma importante di un corso importante.
Il cui obiettivo è di formare un artista/fotografo, una figura in grado di confrontarsi con ambiti vari del mercato della fotografia: bene… cerco i docenti. Non li trovo. M’impegno a fondo e trovo una listina, una robetta misera nel numero: di questi ne conosco uno.
Che ha tentato in tutti i modi di fare fotografia. Ma di questa sua ostinazione non c’è traccia neanche su Google.
E mentre un tempo le cattedre erano appannaggio di artisti e docenti di chiara fama, con tanto di opere e curriculum, adesso il dato più significativo che scopro su uno di questi curriculum è ”non fumatore”.
A scendere immaginiamoci un po’! Tra agenzie e corsi finanziati dalla regione o dai comuni, tra botteghe e circoli vari: sulla base di cosa, di quali conoscenze e capacità didattiche, con che titolo e curriculum si imbandisce la tavola?
E chi partecipa, ma cosa si aspetta? Di uscirne in tre mesi con in mano cosa?
Mi arrivano da più parti richieste di workshop: non servono a un cazzo. Ne ho tenuti, è così che me ne sono convinto.
Ed è per questo che invece ne sto mettendo a punto uno mirato a una sola roba, precisa precisa: il ritratto e la coscienza di sé.
Sono anni che parlo di autoritratto. Sono anni che ritraggo gli altri così. Trovo che sia il momento di raccontare bene una cosa.
Se lo specchio non è piazzato in un limbo etereo, magari ci si accorge anche dell’altro che si riflette.

© Efrem Raimondi. All rights reservedi

SEQUENZE

Andreotti trittico, Roma 2006 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Non è un escamotage. E con la raffica non ha niente a che vedere, anzi ne è la negazione.
Questo perché non amo i postulati.
Solo un attimo per dire della prima e di come ci sono arrivato: ero un ragazzino con la fotocamera nell’Irpinia terremotata, anno 1980.
Ho seguito diverse riesumazione di poveri cristi, cadaveri da una quindicina di giorni. Scattavo e vomitavo… vedevo poco e la terra si assestava sotto i piedi. Di continuo.
A casa, in terra ferma, ho selezionato e rimontato in un’unica sequenza di quattro immagini. Forse un po’ ingenua e didascalica, ma è la prima… la mia matrice. Quella che mi ha permesso di pensare alle altre.
Allora non le degnava nessuno… c’è voluto del tempo.
Non nasce perché non sai cos’altro fare: appunto non è un escamotage, semplicemente pensi in modo differente e non ti soffermi sul singolo frame.
E con la raffica non c’entra niente perché di ogni scatto ne hai la percezione. E se c’è da rifare, miri al singolo.
La sequenza è una short story nella quale il valore di ogni immagine che la compone appartiene all’insieme.
E l’opera va presa per quello che è: non è affrontabile per frammenti, non è scomponibile.
Per i magazine un vero rebus di impaginazione: serve spazio! E quello a disposizione è limitato. Per questo se è per loro che sto lavorando ricorro al dittico: pam pam! E hai una doppia pagina… una sequenza gestibile che li rincuora.
Per le pareti dei musei e delle gallerie no… riempiono bene. E le rare volte che mi sono affacciato, per quanto spinga il contorno mi sento piccolo.
Statica, come nel caso di Vasco Rossi, oppure dinamica per Sakamoto o Andreotti, la questione non cambia: è una composizione e ha bisogno di una regia. Il casuale non è contemplato. Se non nella natura del gesto, come nel caso di Vanessa Beecroft.
Nascono tutte dall’esigenza di aggredire e dilatare lo spazio, che a volte è stretto.
O comunque geometricamente imposto e indiscutibile.
Scusa, ma allora non potevi darti al video?
No, non potevo e non posso. Sono un fotografo, vivo di contraddizioni e fermo il tempo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

NOVEMBER 1980. IRPINIA EARTHQUAKE. PERSONAL

NOVEMBER 1980. IRPINIA EARTHQUAKE. PERSONAL

 

RYUICHI SAKAMOTO, TRITTICO

RYUICHI SAKAMOTO, TRITTICO

 

NICOLA SAVINO SEQUENCE

NICOLA SAVINO SEQUENCE

 

JOAQUIN CORTES

JOAQUIN CORTES

 

PIA TUCCITTO

PIA TUCCITTO

 

VASCO ROSSI - L. A. 2008

VASCO ROSSI – L. A. 2008

 

VANESSA BEECROFT

VANESSA BEECROFT

Interni mag. Aprile 2012 – n.620

© Efrem Raimondi. All rights reserved. Milano, marzo 2012.

Credit: foto ass. Giulia Diegoli.
Redattrice Maddalena Padovani.

Fotocamera: Hasselblad H3D II-39, con 50 mm.
 Flash: Profoto