Would you like us to stabilise it?

ROUGH ONE ©Efrem Raimondi

Would you like us to stabilise it?
No thanks… I do the same in photography. It’s a disease.

Lo standard è indubbiamente altro. Anche l’attualità.
Ma quanto mi piace a volte essere altrove in compagnia di una folaga…
Ma quanto mi piace, sempre più spesso, essere altrove e shakerare il mondo che mi capita…

Gliel’ho detto a YouTube che non è un inciampo tecnico, non un raptus emotivo… che invece è proprio una malattia congenita che all’occasione si manifesta. Così senza preavviso, senza apparente causalità.
Da un bel po’ shakero…
Senza motivo comincio a sbattere tutto.
E ti giuro che sbatterei anche te, sempre alla ricerca del senso e del messaggio.

Non ti posso aiutare… non ho la minima idea di cosa faccia. 

Qui ROUGH ONE, video 2012… fatto con una compattina Ricoh.

ROUGH ONE ©Efrem Raimondi

INSTA 77 ©Efrem Raimondi

Qui INSTA 77, una iPhonata 2016 piazzata ieri su Instagram. Dedicata ai seguaci della bella calligrafia.

Qui davvero tutto il mio disagio quando vedo e non capisco.
Mi rifiuto di capire…
Perché le conseguenze del capire non riguardano la fotografia.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Io cerco te

Annarita by Efrem RaimondiIo cerco te.
Io cerco chi non si vede.
Io cerco chi mi sta davanti.
Io cerco te.
Io cerco tra le pieghe del gesto, lungo la smorfia delle tue labbra.
Io cerco te. Io cerco il tuo riflesso e al suo barlume m’aggrappo.
Io cerco te, così come ti giri e mi guardi.
Che cosa vedi? Fin dove arrivi?
Ti ricordi? Anch’io ho avuto vent’anni.
Anche qualcuno in più. Anche un po’ meno.
Adesso è ieri: a cosa credi serva la memoria?
Io cerco te.
Se ti nascondi io ti vedo.
La tua maschera…
Non ti serve alcuna armatura: sei nuda.
Io cerco te.
Non ho bisogno di niente e ’st’aggeggio che pesa, ‘sta roba che scatta è il nostro specchio.
Io cerco te.
E a volte mi trovo.

Laura by Efrem RaimondiLaura, 1986

Vanessa Beecroft by Efrem RaimondiVanessa Beecroft, 2011

Cat Power by Efrem RaimondiCat Power, 2012

FERNANDA PIVANO by Efrem RaimondiFernanda Pivano, 2005

ZHANG JIE by Efrem RaimondiZhang Jie, 2008

VALENTINA by efrem RaimondiValentina, 2010

Fiammetta Bonazzi by Efrem RaimondiFiammetta Bonazzi, 1995

Maddalena by Efrem RaimondiMaddalena, 2016

MONICA BELLUCCI by Efrem RaimondiMonica Bellucci, 1999

Laura by Efrem RaimondiLaura, 2013

Laura by Efrem raimondiLaura, 1998

MARIA TERESA by Efrem RaimondiMaria Teresa, 1999

GIORDANA by Efrem RaimondiGiordana, 1998

ALESSANDRA FERRI by Efrem RaimondiAlessandra Ferri, 1996

FOOTBALL PLAYER by Efrem RaimondiFootball player, 2000

Dana de Luca by Efrem RaimondiDana de Luca, 2016

Azzurra Muzzonigro by Efrem RaimondiAzzurra Muzzonigro, 2016

SILVANA ANNICHIARICO by Efrem RaimondiSilvana Annicchiarico, 2012

INNA ZOBOVA by Efrem RaimondiInna Zobova, 2005

Francesca Matisse by Efrem RaimondiFrancesca Matisse, 2015

Anastasiia by Efrem RaimondiAnastasiia, 2015

PIA by Efrem RaimondiPia, 2007

ADRIANA ZARRI by Efrem RaimondiAdriana Zarri, 1984

Valeria Bonalume by Efrem RaimondiValeria Bonalume, 2015

Madri & Figlie: Miri Elias Rettagliata e Simona Segre. 2002Miri Elias Rettagliata e Simona Segre. Madre e figlia, 2002 – non ricordo il nome del cane…

Annarita by Efrem RaimondiAnnarita, 1995

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

La donna… sì certo, la fotografo. Ed è al centro.
Un altro centro.

U P D A T E   febbraio 2018.

Cecilia Fabiani by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCecilia Fabiani, 1990

CAROLINA KOSTNER by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCarolina Kostner, 2006

Franca Sozzani by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFranca Sozzani, 2016

FRANCESCA PICCININI by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFrancesca Piccinini, 2011

Noemi Batki by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedNoemi Batki, 2017

BODY NUNBER 1 © Efrem Raimondi - All Rights ReservedBody Number 1, 2004

Maria Cabrera by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedMaria Cabrera, 1988 – Dolce&Gabbana

Laura by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedLaura, Cap Ferrat 2004

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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L’Istante e il Culo

 

Nessun Istante, puro culo.
Fotograficamente anche L’Attimo… puro culo bis.

Però però… solo un cavillo necessario: L’Attimo è un luogo davvero temporale non immediatamente fotografico. 
L’Istante 
invece sì, e descrive una priorità fotografica. Che non mi riguarda.
Qui, i due, li faccio sovrapporre solo per comodità.
Tanto quando si discorre ci si capisce.

Anche per strada, non riconosco peso specifico autonomo all’istante.
Che in teoria dovrebbe coincidere con una dinamica imprevista che l’autore, solo lui, è stato in grado di cogliere.
Al volo si direbbe.
E che se proprio di Autore – bello maiuscolo – si tratta, è in grado di reiterare più o meno disinvoltamente.
Ecco… come se il soggetto fosse dinamica decontestualizzata dal perimetro fotografico.
Questo è l’istante-attimo che mi è estraneo e che ritengo mistificante.
E che in fondo fa pendant con l’uso del termine scatto.
Anzi coincide.
E c’è poco da inorridire, se ami L’Istante beccati anche Scatto quando parlano delle tue fotografie.
A me invece viene voglia di picchiare un pugno sul tavolo o bere un chinotto.
Quindi bevo un chinotto.
Perché non ho voglia di star lì a menarla ogni volta: c’è luogo e luogo e il più delle volte mi è estraneo o semplicemente altro.

©Efrem Raimondi iPhonephotography.

Questa fotografia quindi la si deve al Culo.
Che è il luogo dove l’attimo trova il suo perimetro. Quello che tu hai già individuato e che tutto sommato potrebbe fare partita a sé.
Però lo sai… lì qualcosa di ulteriore potrebbe accadere.
Qualcosa che cambia l’insieme della fotografia.
Non sai cosa, ma ci punti.
E stazioni.
Con la tua immagine bella spalmata.

©Efrem Raimondi iPhonephotography.

In questo caso sul display dell’iPhone. Ma uguale, anzi meglio, se fosse un banco ottico.
Se accade, se una dinamica altra interviene, non hai che aprire l’otturatore.
A me questa bambina col suo gesto: Culo.

Dell’attimo che invece mi riguarda ne ho parlato non molto tempo fa con Elisa Contessotto – Direi il momento in cui ti accorgi che puoi traslare un linguaggio sospeso in linguaggio compiuto, iconico –  e mi sembra di essere stato abbastanza chiaro. Almeno spero.
http://blog.efremraimondi.it/lattimo-interview/

Io ribadirei… qui è culo.
Che aiuta sempre. A volte reinventa.

RANDA 162
From the series INSTARANDA
Lavagna, giugno 2016.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.

P.S. Perché però sia vero culo, l’immagine restituita dev’essere all’altezza.
Se no non è.

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Cloud

 

La nuvola non è sola.
C’è il guardrail…
C’è il cielo senza confini.
A differenza della fotografia, che ha un perimetro. Preciso.
Ed è qui che confermiamo la nostra presenza.
Sia che la fai sia che la guardi.

Comunque questa è la mia nuvola.
E anche se non è parte del mio paesaggio, quello che fotograficamente esprimo, un po’ equivoco, questa volta mi appartiene.
Perché la amo.

Si può guardare altrove?
Tanto poi vedi sempre e solo ciò che ti riguarda.
Il resto non esiste.
E nulla ti è estraneo.

RANDA 153 ©Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Randa 153, 2016
From the series INSTARANDA
© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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La matrice


La matrice è una.
Il soggetto un pretesto.
La mia fotografia, sempre la stessa.
Ti piace. Bene.
Non ti piace. Bene.

 

Randa 149 ©Efrem Raimondi - All Rights Reserved

     Randa 149, 2016
     From the series INSTARANDA

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Instagram terapia. Giovanni Picchi interview

 

Giovanni Picchi by Efrem Raimondi - All Rights Reserved

           Giovanni Picchi, aprile 2016. © Efrem Raimondi – All Rights Reserved           

Giovanni Picchi e io ci conosciamo da una quindicina d’anni.
Forse di più. Dai tempi dell’agenzia Grazia Neri.
Co-fondatore dell’agenzia LUZ Photo, che mi rappresenta, ha un rapporto diretto con la produzione fotografica da un ventennio.
È persona solare, lo stimo molto, e nutro del vero affetto nei suoi confronti.
Tutto ciò non è per nulla scontato, soprattutto se è di fotografia che parliamo.

Un bel giorno sul suo account Instagram vedo la sua faccia, diversa… un selfie si direbbe, che mi fa letteralmente saltare dalla sedia: rasato e dimagrito, modello punk… solo è evidente che non può essere.
Gli scrivo e poi lo chiamo.
Chemio…

E tutto quanto a seguire. Più o meno all’inizio di quest’anno.

Ho cominciato a monitorare – il termine è esatto – la sua produzione Instagram. 
Per accorgermi a un certo punto che stava facendo un percorso fotografico su sé stesso. Senza chiamarlo Progetto
In mezzo a tanta produzione confusa e inutile, manieristica e brutta, questa ha per me un senso. 
Che è terapeutico, ma anche fotografico.
A me interessano entrambi.
Ed è il motivo per cui siamo qui.
Gli ho chiesto se gli andava di parlarne usando la formula dell’intervista: sì.
Allora la pubblico integralmente.

Insieme abbiamo fatto anche una piccola selezione delle immagini che ha pubblicato sul suo account Instagram.
Non aggiungo altro a riguardo: dall’intervista emerge tutto.

Prima di attaccare il registratore, l’ho ritratto.
Non potevo evitare… è sempre da lì che parto. Per tutto.
Quasi tutto…
Poi abbiamo mangiato una zuppa di lenticchie gialle.
Una signora zuppa, con curcuma e zenzero.
Quindi, Play

ER – Partiamo dall’inizio: la cosa che mi ha scosso guardando il tuo account INSTAGRAM è che il tuo rapporto con l’immagine, la fotografia per meglio dire, a partire da un momento preciso è cambiato. Violentemente direi. E coincide con l’approccio terapeutico alla malattia… ci puoi dire cos’è successo, o per meglio dire, cosa ti è successo per aprire pubblicamente il tuo sguardo rispetto a ciò che stavi, e stai, affrontando?
Giovanni Picchi – Dunque… questa è la seconda recidiva della malattia…
Possiamo dire di che malattia si tratta?
Assolutamente sì. È un sarcoma, un tumore quindi, la cui prima manifestazione è stata nel 2001, avevo 28 anni, e l’ho vissuta tenendomi un po’ dentro questo problema. Forse anche perché era ancora un periodo in cui la parola tumore, cancro, non si esprimeva con grande facilità e poi…

Scusa Giovanni, allora ti eri comunque posto il problema di esternarlo e hai fatto una scelta di chiusura o… anzi diciamola tutta: ti eri posto il problema di usare un medium come la fotografia per esternare il percorso clinico e personale, o no?
No, assolutamente no. Proprio non ci ho minimamente pensato.
Ne erano a conoscenza soltanto gli intimi.
Diciamo che però la malattia è tornata in maniera importante lo scorso autunno e lì, visto il ritorno, ho fatto la scelta di cambiare approccio… ho proprio deciso di esternarlo.
Perché?
Be’ intanto c’è da dire che a causa della malattia, della sua ricomparsa in questa forma più aggressiva, ho deciso di cambiare tanti approcci della mia vita… perché questa è una recidiva… la malattia che ritorna… in qualche modo ce l’ho dentro, non l’ho mai tirata fuori e quindi… insomma non posso dire con certezza che questo suo ritorno sia dovuto al fatto che io non abbia esternato, ma è certo che ho sentito fortemente il bisogno di sputarla fuori.

Perché hai deciso di usare la fotografia?
Perché mi risulta più semplice… c’è da dire che ho iniziato con l’idea di fare un diario personale, a partire dal primo intervento che è stato l’ottobre scorso, ma non con l’intenzione di pubblicare… pensavo che mi servisse per guardarmi un po’ dentro… e anche fuori.
Poi quasi come un processo di maturazione e precisazione di un percorso che ho ritenuto subito terapeutico, ho deciso di buttare tutto fuori, di esternare. E quindi Instagram e il social network più in generale.
La fotografia è immediata… e poi è la forma di comunicazione che più mi appartiene pur non essendo un fotografo… sono vent’anni che lavoro con la fotografia e di fotografie ne vedo proprio tante, quotidianamente… la fotografia mi piace e mi piace farla amatorialmente e per una volta ho pensato che volessi usarla, proprio usarla in prima persona.

©Giovanni Picchi - All Rights Reserved

Sfogliando questo tuo album ho immediatamente pensato a due cose.
La prima: pur usando uno strumento come l’iPhone ed essendo tu stesso autore e soggetto, non ci troviamo di fronte al selfie tradizionale. Sembra tutto più prossimo all’autoritratto, che è strumento di un’indagine più intima.
La seconda, in qualche modo più importante se si intende fare fotografia, e cioè che la ragione, il cosiddetto perché, è davvero una reductio ad unum: raccontare la propria storia.
Ed è esattamente l’esigenza primaria per chi fa fotografia. Indipendentemente dal soggetto.
Quando hai iniziato col diario, ti sei posto dei limiti e una eventuale meta, o hai semplicemente fatto e poi si vedrà… una sorta di work in progress così com’era, senza alcuna pianificazione…
No, non c’è stata alcuna pianificazione.
È iniziata per documentare il primo intervento chirurgico, poi si è delineato quello che sarebbe stato il percorso terapeutico, inclusa della chemio piuttosto pesante e lì, proprio a partire da lì osservavo il cambiamento fisico della persona. Che volevo documentare, anche a scopo terapeutico dove per terapeutico intendo proprio la volontà di esternare il mio cambiamento…
Scusa se ti interrompo: ha un destinatario questo percorso iconografico che hai deciso di rendere pubblico?
Direi di no… poi sai, per come tecnicamente funziona il social network… per esempio ho evitato hashtag particolari per andare a raccogliere all’esterno di quello che invece è il mio network. Quindi forse se un destinatario c’è è proprio una precisa cerchia di persone.
Dalle quali ricevo una energia positiva…
In che modo?
È proprio nel principio della comunicazione, nell’esigenza direi primaria che ho di raccontare l’esperienza che sto vivendo. Anche attraverso il cambiamento della mia persona, del mio fisico, della mia immagine più immediata. E sapere, avere testimonianza del fatto che c’è chi raccoglie… che poi non è la pacca sulla spalla, ma proprio il fatto che davvero c’è qualcuno che intercetta questa mia esigenza di esternazione. Già solo questo mi aiuta e mi fa stare meglio.

Dunque… la prima volta che si è manifestato il tumore avevi ventotto anni e non hai pensato neanche lontanamente di esternare un bel niente. Adesso ne hai quarantatré e l’atteggiamento è opposto. Una sorta di estroversione… Trovi che questo passaggio brusco sia positivo? Ma anche pensando a una terapia più ampia, non conclusa insomma in quella medica…
Assolutamente positivo, non fosse altro che a differenza di allora non ho alcun problema a parlare del mio problema… non ho nessun problema [ride] non ho vergogna. A differenza di allora, che però ero molto più giovane e forse va messo in conto.
Be’ certo, anche perché non si può certo trascurare che in qualche modo questa attualità può avvalersi della precedente esperienza, quella nella quale ti sei rifugiato in una comprensibile introspezione e nel silenzio
Ecco appunto, adesso so che il silenzio non ha fatto bene. Non in termini assoluti chiaramente, non voglio generalizzare: so che non ha fatto bene a me

Vedo distintamente il percorso del tuo Instagram… adesso, proprio adesso andando a memoria: un percorso piacevole, lineare, le vacanze… e quelle con un chiaro intento fotografico: tutto piacevole… tutto compreso direi simile ad altri, di quelli con gusto e senza strappi. Poi, me lo ricordo bene, improvvisamente uno shock… tu rasato con gli occhi piantati nell’obiettivo. Ti ho telefonato
Sì ricordo. Io abbastanza disinvolto a parlarne e tu un po’ rigido
Davvero in questo non c’è come la fotografia… uno shock.
Derivato anche dalla conoscenza diretta della persona che vedevo e che non lasciava alcun dubbio… non ho pensato insomma a una improvvisa nostalgia punk.
Ecco, da quel momento il tuo Instagram ha una cifra precisa, che non comprende praticamente altro… sì ogni tanto compare qualcosa, ma è come sfumato, risucchiato da una nuova e netta centralità: il tuo rapporto con questo tumore di merda… dove ti porterà? Fotograficamente intendo, fin dove ti spingerai? Dove deciderai di interrompere?
Anche perché molte immagini sono piuttosto forti.

Ipotesi splendida: decorso positivo, tutto risolto e fine del diario?
Cosa succede a questo percorso fotografico?
Ehhh… in realtà non ci ho pensato. Adesso è difficile pensare a questa ipotesi splendida che tu tratteggi [risate robuste] perché il percorso sarà piuttosto lungo. Be’, può essere sicuramente uno start per continuare a raccontarsi in maniera molto diretta, senza eccessive mediazioni. Questa recidiva, che è certamente più tosta dal punto di vista clinico, e proprio l’aver pensato a un certo uso della fotografia, come dicevo prima anche terapeutico nel modo più ampio, che cioè coinvolge l’interezza della persona, la mia vita e gli atteggiamenti, questa recidiva dicevo mi ha dato l’opportunità di riflettere su molte cose. E di cambiarle. Quindi non escludo affatto che anche in assenza della malattia possa avere un seguito. Come, in che forma, non sono in grado di definirlo adesso. Quello che so è che adesso, questo percorso fotografico, questa tranquillità nell’esporlo, mi fa bene.
E mi fa davvero bene. Perché il fatto di raccontare, senza voler essere necessariamente new age, mi restituisce un’energia positiva che mi serve molto.

Non c’è assolutamente un uso esibizionistico del social network… parlo di qualcosa di profondamente vero… e forse è il pretesto per raccontarsi, un modo di mettersi in gioco per ciò che realmente si è.
La malattia, per me, è una opportunità di cambiamento e se si riesce a viverla così forse… forse anche questo è parte del percorso della guarigione.

I tuoi figli hanno accesso al tuo account?
No. Ma puramente per una questione anagrafica, sono ancora piccoli…
Quindi non hanno mai visto queste immagini…
No… però mi vedono di persona! E devo dire che l’atteggiamento di condivisione ce l’ho anche con loro: mi vedono esattamente così, cambiato a seguito di questa malattia e delle cure che sto affrontando.
Sì vero Giovanni, però un conto è vederti in camicia e in movimento, un conto è vedere alcune delle immagini che hai pubblicato… la staticità, fermezza descrive meglio, della fotografia amplifica l’impatto emotivo
Certo, però da questo sono protetti, non hanno accesso ai social network.
E non credo che abbiano un altro modo di vederle, tipo l’amico dell’amico… no, non credo proprio. Comunque se dovesse accadere non credo sarebbe traumatico proprio per come anche con loro ho affrontato questo percorso clinico…
Ma anche per quello che potrebbe riguardare la mia famiglia, sinceramente il problema non me lo sono posto, perché fa parte prorprio del voler buttar fuori… è insomma davvero un fatto terapeutico che mi fa stare bene. E che quindi serve così com’è

©Giovanni Picchi - All Rights Reserved

Più in generale dal punto di vista fotografico, in questo percorso c’è stato un qualche riferimento o no?
No, alcun riferimento… sai, poi è tutto iniziato come diario, come una raccolta di istantanee e quindi mi fotografavo pronti via… senza neanche pensarci troppo
E c’è una cadenza? Da cosa è determinata?
I momenti terapeutici a partire dall’intervento chirurgico, prima e appena dopo. Poi durante i vari cicli. E assolutamente post ciclo, perché è il momento di maggiore caduta fisica e psicologica… poi sai, c’è anche l’effetto accumulo e mentre i primi cicli li reggi meglio man mano diventa sempre più pesante. E a pensarci è proprio in questo apice che diventa per me importante documentare… mi aiuta davvero molto

Non è possibile prescindere dalla conseguenza del gesto… l’immagine che ti viene restituita, la tua immagine, ti aiuta?
Mi aiuta sì. In consapevolezza… però c’è anche da dire che a volte c’è l’effetto sorpresa perché in fondo conservo ancora una memoria del me precedente… insomma un certo effetto straniante…
Quasi ci fosse una distanza della quale prendi davvero consapevolezza nel momento della restituzione dell’immagine?
Sì, un po’ sì pensandoci adesso. Però mi serve molto perché mi certifica una attualità rispetto alla quale devo rimanere molto vigile.
Anche perché la sto prendendo un po’ come una battaglia…
In effetti perdonami, alcune tue immagini sanno di ”guerriero” e a proposito: hai anche qualche t-shirt con in mezzo la tua dichiarazione di guerra: #attack

©Giovanni Picchi - All Rights Reserved

©Giovanni Picchi - All Rights Reserved

[ride di gusto] Sì sì… quella con l’hashtag me l’hanno regalata i colleghi, poi una dai cugini e altre… è diventato anche un gioco divertente tutto sommato. È una vera battaglia insomma, e come in tutte le battaglie occorre avere una certa lucidità… e forse guardarsi restituito ha anche questo scopo: non perdere di vista l’obiettivo
Prima ti ho ritratto… molto tranquillamente, niente computer tutto in macchina. Però le immagini le abbiamo guardate sul display, non abbiamo evitato, e soprattutto non hai evitato tu. Immagini dirette, qualcuno potrebbe anche dire violente… tranne i mossi le altre hanno una certa coerenza con alcune tue, eppure guardandole hai avuto un sobbalzo che ho avvertito istantaneamente e mi ha sorpreso: cos’è è successo? Cosa cambia rispetto ai tuoi autoritratti? Di fatto stiamo parlando di immagini parenti…
Bah… sì vero, ho avuto un sussulto… ma forse perché come dicevo rispetto alla memoria che ho di me… insomma non sempre sono così agganciato all’attualità… o forse è un po’ l’effetto specchio perché mentre mi sto fotografando con l’iPhone mi vedo e mi concentro forse di più sullo scontro col tumore e anche quando prima si diceva del guerriero, non escludo che un po’ di recitazione ci sia da parte mia. Mentre quando mi hai fotografato tu non avevo alcun controllo
Ma può essere che mentre ti stai ritraendo, tu trascuri alcuni elementi che al momento reputi marginali? Se ci penso ti focalizzi molto sul tuo sguardo… mentre l’immagine poi è tutta quanta, tutto dentro quel perimetro. E a proprosito dello specchio, sinceramente penso che sia una autoriflessione parziale, perché quello sguardo sembra invece essere rivolto a qualcuno o qualcosa che è altro, che è esterno
Ma in effetti rimanendo sulla metafora della battaglia, mi è chiaro che nella circostanza io tendo a caricarmi, a darmi maggiori munizioni nell’affrontare il nemico che ho di fronte. E che però è anche dentro. Tu sei l’unico che mi ha ritratto, non ho precedenti, forse anche questo…
D’accordo l’immagine del guerriero e la metafora della battaglia, comprendo perfettamente… esagerando un po’ una figura epica e …
Be’ a me piacciono molto i Supereroi, così nella letteratura… così mi sono anche divertito a usare certe magliette, che però indossavo anche prima… Credo che consciamente o anche no, affiancarsi all’immagine dell’eroe in qualche modo mi aiuti a combattere questa battaglia

©Giovanni Picchi - All Rights Reserved

Ti sei mai posto il problema della reazione di altri, estranei allo stretto giro che ti appartiene, e che magari potrebbero essere inclini a pensare a un atteggiamento voyeuristico?
Francamente non è questo e quindi non mi sono mai neanche posto il problema

Se sfogliamo le pagine nobili o per nulla della fotografia, ogni tanto incontriamo autori/autrici che si sono ritratti in condizioni poco ortodosse diciamo, con l’intento di interpretare il proprio malessere restituendo immagini inclini all’autocommiserazione.
Invece guardando le tue immagini non trovo alcuna interpretazione del malessere, e anzi è l’esatto contrario: l’interpretazione di un combattimento
Assolutamente sì per quello che mi riguarda. Io cerco il positivo di questo percorso
Io però voglio scavare un po’. Alcune tue immagini sono violente.
O forti se vogliamo usare un eufemismo… e un conto è produrle, un altro pubblicarle. Davvero non ti sei mai posto alcun problema?
No… sinceramente no. Ribadisco poi la convinzione di rimanere entro i confini del mio network, che è fatto di conoscenze dirette
Questa perdonami è un’illusione. Le immagini circolano liberamente in rete…

Allora diciamo che non ho ricevuto alcun ritorno da parte di altri, di persone insomma con le quali non ho rapporto diretto. Però nell’eventualità non avrei alcun problema ad affrontare la questione.
Quindi no, non mi sono mai posto il problema

Così d’emblée: come trovarsi di fronte a un bivio… se uno decide di raccontare sé stesso, a questo livello, lo fa senza schermo alcuno. Altrimenti diventa solo la parodia di un racconto.
Può essere che proprio la criticità della condizione abbia sciolto qualsiasi ritrosia da parte tua? In fondo è come oltrepassare un confine avendone piena coscienza. E controllo. Anche di fronte all’estremo di certe scelte iconografiche ci si autolegittima, indipendentemente dal grado di accetabilità, sociale in generale ma dei social in particolare. A me sta bene eh… solo per capire
Anche a me sta bene… se posso dire mi starebbe bene anche da fruitore. I social network sono strumenti un po’ omologanti, è proprio nelle regole: se il 50% pubblica ciò che mangia anche io mi adeguo. Nulla da scardinare, però da fruitore mi piacerebbe vedere qualcosa di più sincero, diretto e anche umanamente coinvolgente.
In che misura secondo te questa produzione ha una valenza fotografica? Ti interessa che l’abbia? Perché oltre qualsiasi discorso, una scelta estetica l’hai fatta
Mah… in un certo senso mi interessa anche… nella misura che si diceva prima e cioè di uscire da una certa omologazione, da certi cliché, anche comportamentali nei confronti della fotografia sui social. Però non c’è altro… non ricerco consenso.

Tu sei co-fondatore di Luz Photo, e hai una abitudine professionale all’immagine. Questa tua produzione, che non ha nessuna pretesa se non quella di riguardarti intimamente, è secondo te in qualche modo in conflitto con la tua figura professionale?
No… non c’è conflitto… a me la fotografia piace e mi piace farla anche se non sono un fotografo. Sono una persona di questo tempo e con questo tempo mi misuro… uso la fotografia, questa fotografia per ottenerne un beneficio. E poi per me è un tutt’uno… non vedo conflitto con la mia figura professionale… anzi direi che c’è coerenza.
Vediamo e produciamo tantissima fotografia anche inutile e…
Ecco qui scusami ti interrompo perché se no dimentico una cosa per me importante. Forse vediamo e produciamo tantissime fotografie e poca fotografia. Spesso ciò di cui sento la mancanza in ciò che vedo, forse anche superficialmente ammetto, è il gesto: vedo bei compitini – ma anche no – assolutamente privi di gesto. Come rimanere sempre a una distanza dalle cose, da ciò che accade.
Forse abbiamo anche perso il soggetto, cioè noi e ciò che intimamente ci riguarda e che poi dovrebbe essere il vero motivo per cui si fotografa.
Qui vedo invece una persona che si appropria davvero della propria soggettività e la traduce con un linguaggio che gli appartiene…
Che mi è famigliare… sì, in qualche modo è così

In alcune tue immagini noto un certo cinismo, proprio nel trattarti e mi riferisco a quelle che almeno a me hanno immediatamente evocato la morte, poi per pudore possiamo tutti far finta che non è così e non se ne parla…
No, parliamone
Per esempio quel video che sembra quasi un GIF animato, nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna col sottofondo del Requiem di Mozart… più che una modulazione ironica mi è parsa cinica
Vedere la morte e raffigurarla è anche un modo per esorcizzarla… sai, saperla sempre presente e non vederla perché si nasconde… insomma se la vedi ne prendi una immediata consapevolezza e provi a difenderti, in qualche modo rapportandoti
Questo cinismo, o meglio, una certa saltuaria rappresentazione cinica, in qualche modo mi ha evocato una dialetticca con la morte, una dialettica per nulla evitata
Ne ho semplicemente preso atto. Del resto la trasformazione fisica, un certo deperimento, questo asciugarsi… insomma un’immagine sinistra, indubbiamente. E allora questa dialettica che dici è stata inevitabile: se lei, la morte, si nasconde ma è presente, voglio stanarla… far finta, nascondermi a mia volta, non è utile alla causa.
Poi ci sono circostanze casuali… per esempio mi sono trovato davanti a La vita e la morte di Klimt e mi sono messo in mezzo… un gesto che ritengo semplicemente ironico

Stai in qualche modo didascalizzando, anche? Non so, alcune immagini le sento decisamente più intime e tue, altre, forse le più facili, mi sembrano più a uso esterno, rivolte a altri mi viene da dire
Non c’è una premeditazione, però sì, è vero. Questa di Klimt certamente lo è. Quelle che invece mi appartengono intimamente, come dici tu Efrem, sono quelle relative ai momenti di solitudine, in genere post-terapia, quando sono lì da solo un po’ a rimuginare, con però la determinazione a resistere… vale sempre la metafora bellica. Se mi viene detto, come mi è stato detto, che la settimana post chemio è quella nella quale ci si lascia un po’ andare, non si ha voglia di far niente, anche perché oggettivamente indebolito, ecco questa è la settimana nella quale lotto di più. Proprio per evitare…
Un fattore reattivo insomma
Assolutamente sì

Ci sono due aspetti di questo percoroso INSTAGRAM… di quello terapeutico abbiamo detto. C’è poi un fatto di linguaggio estetico che tu comunque non trascuri. E che io riconduco a una matrice espressiva punk: diretta, non leziosa, di glam manco a parlarne… insomma con un suo peso specifico. Secondo te Giovanni, potrebbero queste immagini fare testo a sé? Cioè indipendentemente dalla malattia…
Ma in effetti anche questo, moderatamente ovviamente. Però se vuoi il percorso clinico è stato anche questo: cioè l’opportunità di affrontare in prima persona un’altra fotografia, e di misurarmi anche da questo punto di vista sulle mie intenzioni espressive… intorno a una questione che mi riguarda profondamente.
Volendo esternare con l’immagine, ho dovuto necessariamente farmi carico anche del modo espressivo.
A ben pensarci il motivo iniziale è terapeutico, poi però ho cominciato a immaginare che potevo avere in mano anche un qualcosa con una valenza iconografica… che avesse una certa coerenza

Ultima domanda: perché hai accettato questo confronto, qui sul mio blog?
Be’ innanzitutto perché quando ci siamo sentiti le cose che mi hai detto, poche ma chiare, ho sentito che proprio mi riguardavano e riguardavano quello che sto facendo sia di fotografico e anche come gesto diciamo poco consueto. Per quanto esiste una ricca letteratura a riguardo, cioè di protagonisti di storie simili che ne scrivono e parlano pubblicamente, più o meno come sto facendo io. E poi mi interessava molto sia parlarne sia essere fotografato da te, da un’altra persona con una visione diversa, esterna.
E sento già esserci un beneficio, un momento di arricchimento di questo mio percorso di vita. Perché è di vita che abbiamo parlato, e per questo ti ringrazio molto.

Milano, aprile 2016
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So che ho dimenticato di chiedere qualcosa.
E forse Giovanni di rispondere.

Questo lo scrivo adesso. A due anni di distanza…
Giovanni ci ha lasciato. Stamattina.
Lunedì 21, presso la basilica di Sant’Eustorgio, Milano, il saluto.
Alle 9.
Un grande dolore. Non aggiungo altro.

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Fuorisalone 2016 – Openborders

Philippe Daverio by Efrem Raimondi - All Rights Reserved

        Philippe Daverio

Fuorisalone 2016: 20 – 6 – 171.
Dove… 20 le ore lavorative giornaliere; 6 i giorni in questione; 171 le immagini prodotte più un piccolo video, per social, sito, e cartaceo prossimo venturo. Tutto taggato INTERNI magazine.

È il quarto anno che seguo il Fuorisalone con questo percorso e non credo di essere in grado il prossimo. Almeno nella formula che attualmente mi riguarda.
Perché garantisco essere un lavoro davvero tosto. Dove occorre un fisico d’acciaio e un cranio al titanio.
E io non posseggo né uno né l’altro.
Insomma vedremo.

Due sedi: la Statale, alias Università degli Studi, quartier generale della redazione di Interni e la Torre Velasca rosso Ingo Maurer, che è stata indubbiamente il segno di questa Milan Design Week, dove Audi ha organizzato una serie di conferenze davvero notevoli.

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Principalmente con l’ìPhone, quindi Nikon per il ritratto.
Ma poi le carte si sono mischiate.
Non ricordo perché ma francamente non importa.

A differenza dell’anno scorso, luce ambiente.
Tranne per qualche ritratto in condizioni impraticabili.
A volte ho esagerato con l’iPhone, proprio a stracciare il file.

Quella che segue è una sintesi estrema di tutto il lavoro.
Cominciando dai ritratti

Ingo Maurer by Efrem Raimondi - All Rights Reserved         Ingo Maurer

Noriko Tsuiki by Efrem Raimondi - AllRights Reserved         Noriko Tsuiki

Paola Antonelli by Efrem Raimondi - AllRights Reserved         Paola Antonelli

Azzurra Muzzonigro by Efrem Raimondi - AllRights Reserved         Azzurra Muzzonigro

Franca Sozzani by Efrem Raimondi - AllRights Reserved         Franca Sozzani

Wang Pen by Efrem Raimondi - AllRights Reserved

         Wang Pen

Enzo Mari by Efrem Raimondi - AllRights Reserved

         Enzo Mari

Enzo Mari by Efrem Raimondi - AllRights Reserved

Gianluigi Ricuperati by Efrem Raimondi - AllRights Reserved

         Gianluigi Ricuperati

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         Università degli Studi – Cortile della Farmacia
         down, left:
         Gaia Cambiaggi, Maurizio Montagna, Armando Perna, Antonio Ottomanelli
         up, left:
         Filippo Romano, Daniele Testi, Rossella Ferorelli, Francesco Stelitano, Marco Introini

E queste le conferenze. Che anticipo con una domanda: perché snobbarle?
Se l’assignment che hai accettato le prevede, falle.
Se hai un linguaggio puoi fare qualcosa di decoroso e metterci la faccia.
Se poi c’è la curatrice – in genere di seconda e anche terza fila – che ritiene la fotografia di documentazione espressione commerciale, e di conseguenza tu un magütt, io non me ne preoccuperei. E le sorriderei.
Tanto la tua opera, quella appesa alla parete prestigiosa, non scappa.
Né si suicida.
Ma oh artista! ce l’hai almeno un’opera appesa da qualche parte?

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         Torre Velasca – Audi City Lab – Paola Antonelli

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         Torre Velasca – Audi City Lab – Massimo Coppola

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         Torre Velasca – Audi City Lab

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         Torre Velasca – Audi City Lab

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         Università degli Studi – Cortile della Farmacia – Gillo Dorfles in visita

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         Torre Velasca – Audi City Lab

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved         Torre Velasca – Audi City Lab
         Marco Balich, Cesar Muntada, Axel Schmid, Francesco Bonami

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         Torre Velasca – Audi City Lab 

Le immagini non sono postprodotte se non limitatamente alle questioni tecniche legate all’esportazione. Più alcuni elementi cromatici. Roba da poter gestire in fretta, ma al meglio, nella sala stampa di Interni. Col sottofondo di interviste a designer. In loop a farci compagnia. Quando ho pensato che sarei entrato volentieri in almeno  uno dei due grandi monitor, l’ho fatto. Deformando arbitrariamente.

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         Stefano Boeri

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         Noriko Tsuiki

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         Ingo Maurer

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         Ma Yansong

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         Chen Ngjiang

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         Marco Ferreri

Per chiudere, questo video che definirei utile allo scopo di rendere chiaro, almeno a me, il concetto di voliera. Solo che io fuori.

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Questa  la parte iconografica. Per quella redazionale Danilo Signorello, della redazione di INTERNI.
Perché non dobbiamo dimenticare che tutto ciò è finalizzato a una rivista. Che anche quando è social, ha un percorso diverso. Più articolato e complesso. Che insegna molto.
Almeno a me.

Michelangelo Giombini ha con me condiviso gli esordi di questo percorso. Quattro anni fa.
Ne è il coordinatore. Ed è un impegno non facile. Lo capisco bene…

E poi una fotografia di backstage fatta da Laura, mia moglie.
Si deduce bene il doppio percorso Nikon – iPhone.
Poi per una questione di mera praticità ho scelto iPhone per la definitiva bn del gruppo.
Ringrazio la mano di chi mi ha sostenuto.

laura_back_2

 Sono stato assistito in tutto ciò da Martina Dalla Bona,  che ringrazio per la cortesia.

Chiudo questa maratona con due lavori sul numero in edicola di INTERNI: una fotografia di gruppo e un redazionale di design… chi dice che non si può fare entrambi?
Mi vengono in mente le parole di Ghirri, che mi spiace scomodare per così poco, però ci vogliono: mi sembrava assurdo che un fotografo potesse fare solo fotoreportage e non riuscisse a fotografare una cattedrale o l’interno di una casa, o elaborare un rapporto minimamente più approfondito con il visibile (visibile vuol dire quello che io sto guardando), con la rappresentazione in generale. da Lezioni di fotografia.
Ecco, vale per tutto.

interni_1p

da sinistra: Gabriele Chiave, Nika Zupanc, Stefano Giovannoni, Richard Hutten, Andrea Branzi, Sofia Lagerkvist, Anna Lindgren. Testo di Cristina Morozzi. Coordinamento Nadia Lionello, Maddalena Padovani.

Sotto: readazione Nadia Lionello.
interni_2p
Botero per Zanotta – Drum per Cappellini

interni_3p
Asterias per Molteni&C – Lloyd per Poltrona Frau

interni_4p
Zero per Alias – Tang per Driade

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Semplice

 

Semplice.
E più lo è più non la leggiamo.
Semplice.
E più lo è più è complessa.
E proprio non la leggiamo.
Complessa, non complicata.
Linguaggio puro.
Non lo leggiamo… non siamo capaci.
Senza strass sbarluccicanti e effetti assortiti, zero.

Non leggiamo le parole, figuriamoci le immagini!
No?
Guardarsi attorno. Magazine inclusi.
Certi magazine…

Un’immagine vale più di mille parole.
Cazzate!
Quale immagine, quali parole…
Queste ultime, che ogni volta supplichiamo in forma di messaggio, spiegazione e cosa volevi dire…
Io l’ho detto. Nulla è celato.
Ce l’hai davanti.
Guarda cazzo!
Siamo in balìa di un gigantesco punto di domanda.
Un morbido, pigro, all’occorenza utile: ?
E si vede.

Per questo pubblico questa pura iPhone.
Fatta l’altro ieri. Un sabato qualunque.
Ed è una fotografia.
Che potrei persino eleggere a mio manifesto. Così imparo.
Tanto è lontana da tutto.
E ferma alla sua origine.
Tutto è ancora lì.
E noi dove siamo?
Rivistine trendy bye bye.

Con un bel sorriso:

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#RANDA 146
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INSTAGRAM BUTTERFLY

 

© Efrem Raimondi. RANDA 122bis

 

INSTAGRAM era una roba, e adesso è un’altra.
Ma come tutti i social, chi se ne frega del contenitore: sei tu che gli dai forma.
Talvolta anche contenuto.
In Fotografia le due questioni concorrono all’unisono.
Nei casi migliori coincidono.
Poi c’è stato l’avventarsi di grandi marchi e di aziende particolarmente inclini a una comunicazione iconica…
Risultati deludenti per alcuni di loro.
Che l’equazione TOT follower = TOT prodotti venduti non è direttamente proporzionale.
Certo marketing se n’è accorto. Dopo. Giusto a flop sancito…
Girovagando: si vedono acccount coreani, qualsiasi, con 4-500 mila follower. E 100 mila like a botta.
E allora? E adesso?
Gli facciamo fare un’autobiografia?
Indossare degli zainetti?
Sprayare profumo al vento?
Messi così, i numeri esprimono solo una quantità vuota.
Messa così è solo una bolla.
Il numero ha una sua complessità non riducibile alla sola espressione formale e quantitativa.
Ma non è di questo che intendo parlare.
Non m’interessa né mi riguarda.

© Efrem Raimondi - odio il concettuale

                           La prima pubblicata non è una fotografia.157 settimane fa

Cosa non è INSTAGRAM per me:
– uno spazio alla ricerca di consenso,
– un luogo competitivo,
– un diario quotidiano,
– un luogo di convenevoli,
– un Twitter fotografico,
– un parametro socioeconomico,
– una fede,
– una pozione magica per fotine occasionali.

Cos’è instagram per me?
Un muro dall’altezza rigida e dalla lunghezza indefinibile dove appendere il mio sguardo in duplice formato.
Al netto di qualsiasi filtro.

Prefisso INSTA: la continuazione della serie Appunti per un viaggio che non ricordo. Interrotta col decesso della Polaroid.
Stessa allucinazione, stesso disagio, stessa intangibilità.
Un viaggio sulla precarietà umana.
Mosso e sfuocato uguale. Solo in iPhone.

© Efrem Raimondi - Instagram account

                           INSTA 10. 156 settimane fa. le prime nove sono altrove. spero

Dieci INSTA

© Efrem Raimondi. INSTA 41

INSTA 41

© Efrem Raimondi. INSTA 42

INSTA 42

© Efrem Raimondi. INSTA 48

INSTA 48

© Efrem Raimondi. INSTA 50

INSTA 50

© Efrem Raimondi. INSTA 51

INSTA 51

© Efrem Raimondi. INSTA 53bis

INSTA 53bis

© Efrem Raimondi. INSTA 55

INSTA 55

© Efrem Raimondi. INSTA 57

INSTA 57

© Efrem Raimondi. INSTA 59

INSTA 59 – una delle rarissime non mosse

© Efrem Raimondi. INSTA 63

INSTA 63

Prefisso RANDA: espressione gergale. Milanese della mala… quella delinquenza che non c’è e non si canta più.
Randagio…
Cioè dove capiti e sei proprio lì. Solo lì. Col piacere di starci.
Non sono un operatore turistico. Sono un fotografo e il godimento lo trovo nel linguaggio. Che mi riguarda o che riguarda altri e che riconosco.
Quindi non previsto alcun appeal dovuto alle semplici coordinate geografiche: New York e le Seychelles sono come Metanopoli e il Lambro.
Ovunque fermo.
E ciò che si vede è.

© Efrem Raimondi - Instagram account

                                                  RANDA 1. 154 settimane fa

Qualsiasi luogo, qualsiasi dettaglio, è il pretesto per una visione immediatamente emotiva.
A scanso di equivoci, anche questo puro iPhone.

Dieci RANDA

© Efrem Raimondi. RANDA 4

RANDA 4

© Efrem Raimondi. RANDA 192

RANDA 92

© Efrem Raimondi. RANDA 97

RANDA 97

© Efrem Raimondi. RANDA 108

RANDA 108

© Efrem Raimondi. RANDA 119

RANDA 119

© Efrem Raimondi. RANDA 122bis

RANDA 122bis

© Efrem Raimondi. RANDA 126

RANDA 126

© Efrem Raimondi. RANDA 142

RANDA 142

© Efrem Raimondi. RANDA 143

RANDA 143

© Efrem Raimondi. RANDA 144

RANDA 144

Il resto che pubblico, qualsiasi resto estraneo ai due prefissi, è un po’ il quotidiano che capita. Souvenir inclusi. E potrebbe essere dovunque a caso.
Qualsiasi social. Qualsiasi medium.
Due prefissi quindi per una galleria a ingresso libero.
Chiunque entra è ben accetto.
Non c’è messaggio, non c’è effetto, non si urla, non c’è nulla da spiegare.
Nessun pro-getto circoscritto. Solo visioni.
A margine: le immagini che più mi riguardano sono spesso quelle col minor consenso.

Vero… era una roba e adesso è un’altra.
Ma tutto era una roba e adesso è un’altra.
Si tratta di capire dove a noi interessa stare.
In che punto.

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