HUMAN SPACES – Fuorisalone 2019

HUMAN SPACES è stato il tema di questo Fuorisalone.
Una settimana davvero tosta di lavoro, per INTERNI magazine: media ore dormite per notte, quasi cinque. Quasi.
Ma è solo così che funziona. Se no si può sempre ringraziare e declinare.

Direttamente dalla Statale, nell’aula magna adesso deserta: da solo su in platea in un silenzio assoluto. E accogliente.
Quest’anno niente ritratti, per vari motivi.
Magari è più semplicemente la famosa crisi del settimo anno…
Che cadeva giusto con questa edizione.

Quindi mi sono concentrato su altro: una sorta di reportage tra installazioni, conferenze, luoghi. Il mio percorso è utto qui, Università degli Studi di Milano.
E allora sì, gli spazi dell’uomo. Solo che lo spazio è uno.
Tra l’altro condiviso con tutti gli altri ospiti.

Che sono incommensurabilmente meno invasivi e dannosi dello human.

Pubblico solo cinque immagini, quelle che…

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Installazioni:
DESIGN ISLAND by Ludovica Diligu per Labo.Art
LA PORTA DEI SOGNATORI by Dario Curatolo per Nerosicilia e Mosaicomicro
GIRAFFE IN LOVE by Marcantonio per Qeeboo
HUMAN SPACES BAG – Guan Fu Hao/Tainan per INTERNI magazine
THE PERFECT TIME – by Ico Migliore – M+S lab per Whirlpool

Più due della lectio magistralis di Guido Canali per il ciclo di conferenze del CNAPPC.
Il reportage delle conferenze è un luogo fotograficamente a parte, tra la documentazione e la rappresentazione: un equilibrio fragile, basta poco e…
Comunque si impara molto. Per esempio a muoversi come un gatto e diventare invisibili. Quasi invisibili…

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Anche per questo tutto il lavoro è fatto con uno smartphone.
E il fatto di incrociare qualche – raro – sguardo di sufficienza mi faceva sentire perfettamente a mio agio: invisibile appunto.
La destinazione è il sito di INTERNI ed è la sesta edizione che seguo in coppia con Danilo Signorello, che firma i testi.

Finito.

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HUMAN SPACE – INTERNI mag

Efrem Raimondi - INTERNI mag - All Rights ReservedHuman space, human design: INTERNI magazine adesso in edicola.
Il numero di aprile, quello che ha un elevato peso specifico perché questa rivista
ha la paternità del Fuorisalone.
Forse forse la maternità, essendo una rivista.

Human space, lo spazio dell’uomo…

Ecco, il mio statement stampato in apertura però sottolinea una cosa per me importante. Che è appunto la struttura del percorso:
Un ambiente ridotto a sé stessi non è più un ambiente.
Ma un luogo permanentemente incluso. Mentre è di valichi che abbiamo bisogno.
Traslocare dal perimetro antropocentrico sarebbe già un primo ambiente condiviso.
Quelli successivi vedremo. Forse.

Valichi da valicare. Molto rapidamente.
Piazza della Repubblica, Milano. Lì con fotocamera, quella “vera”; ring flash; lampeggiatore; questa e quella torcia…
Persone addette: una stylist, due assistenti, due “traslocatori” e un fotografo.
Poi a un certo punto mi accorgo che mi serve più immediatezza.
Proprio così: tutto il lavoro è prodotto con uno smartphone.

Efrem Raimondi - INTERNI mag - All Rights ReservedEfrem Raimondi - INTERNI mag - All Rights ReservedThea, Fendi Casa, Luxury Living Group – Pascal by Piero Lissoni per Porro
Nara by Jean-Marie Massaud per Poliform – Adamant by Roberto Lazzeroni per Giorgetti

Copertina by Beppe Giacobbe

Stylist Carolina Trabattoni.
Assistenza fotografia Giulia Gibilaro – Giulia Lucchetta.
Staff M8 STUDIOS.

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ISOZERO Lab – 2

ISOZERO LAB by Efrem Raimondi

ISOZERO Lab è un laboratorio nato un anno fa.
La prima edizione sta volgendo al termine.
Questa call è per la seconda.

Cos’è
Ecco, NON è un percorso didattico fine a se stesso ma un laboratorio che si pone degli obiettivi tangibili.
Della durata di un anno circa.

Una struttura orizzontale, solo con me al timone.
Fin dove possiamo arrivare insieme?

Insieme significa confronto serrato, intenzioni condivise, contraddittorio dialettico: nessuna ragione nessun torto, solo un confronto finalizzato.
E crescita. Perché vorrei uscire dall’equivoco che i fotografi non insegnano.
Poche balle, il curriculum ha un peso specifico: il punto è come tradurlo didatticamente.

Precisando il tiro, senza alzare la voce ma non arrossendo dico che qui si impara: metodo, grammatica, gestione, mira. E condivisione.

Al centro la semplicità – da non fraintendere. Accompagnata da una questione fondamentale che mi è chiara da sempre, ma proprio anche urlata da sempre: trasversalità.
E sottrazione. Senza la quale non c’è crescita.
Forse forse, bisognerebbe prima imparare a non fotografare.

Fermarsi…

Non dobbiamo coincidere nell’espressione, ognuno ha la propria.
Dobbiamo però possederne una.
Come?
Crediamo davvero di avere talento? Discipliniamolo.
Poi procediamo.

Liberare lo sguardo, renderlo leggero e invulnerabile.
Dare davvero consapevolezza all’arbitrio, il proprio.
Attraverso un percorso di puntualizzazione anche tecnica.
Usandola la tecnica, per non farsi usare.
E i deficit li affronteremo NEL percorso reale, non aprioristicamente.
Per uscire dalla debolezza dell’approssimazione, che inevitabilmente ha il suo riscontro nella fotografia che mostriamo.

L’unico parametro: la fotografia è ciò che mostri, non ciò che parli.
A saper leggere le immagini, si vede tutto. A non saper leggere, annaspi nelle certezze. Che spesso sono quelle di altri. Proprio così.

Due passi indietro e uno avanti… è questo che faremo.
Col contributo saltuario e mirato di alcune altre persone: art director, stampatori, curatori, storici… figure professionali riconosciute, non degli improvvisati.

L’obiettivo comune è uno solo: sapere come produrre.
Perché il come è tutto. Il cosa un dettaglio.

A chi è rivolto
Poniamoci una domanda: perché fotografiamo?

Quale la necessità, quale l’urgenza?
Non è un obbligo… diamoci una risposta.

Qui l’intento è produrre Fotografia, quella con la effe maiuscola.
E le fotografie sono solo lo strumento che definiscono l’idea che abbiamo di fotografia.
Una visione ben più ampia che non ha nemmeno nel soggetto la sua risposta: una sedia equivale a una star o a un pezzo d’asfalto chiamato street. 
A un nudo o a un vaso di fiori piantato al centro della consolle anni Venti regalo della nonna…
È unicamente come TU traduci che fa la differenza.

Quindi a tutti coloro che antepongono lo sguardo al genere.
A coloro che intendono far coincidere l’intenzione col risultato, col prodotto che materialmente mostriamo.
Quello finito, al netto di tutto il percorso e del travaglio.
Noi ci occuperemo del percorso e del travaglio.

Professionisti e fotoamatori, nessuna differenza.
Tanto l’eventuale accesso ha un setaccio: devo vedere reale volontà espressiva. Confortata da una cognizione operativa di massima.
E alcune nozioni le do per scontate. Quelle più dettagliate invece si affrontano in relazione al percorso individuale. E comunque subordinate all’intento espressivo.

Dulcis in fundo è rivolto a chi ha intenzione di fare qualcosa che gli faccia bene e che abbia il piacere di farlo.
Per sé e per un obiettivo comune.
Perché come la prima edizione ha dimostrato, la condivisione quando diventa percorso reale, è un plus.

Come
otto mesi circa.
Quattro incontri le tout ensemble. Più uno da valutare alla fine.
Per esempio quest’anno lo facciamo. Perché ci serve.

E un one to one, frontale con me, lungo l’intero anno – non è una minaccia.
Perché i percorsi non sono mai uguali. Possono esserci delle similitudini, vero, ma le modalità di approccio mutano.

Luoghi
Gli incontri collettivi sono a Rimini.
In uno spazio molto confortevole dove abbiamo ampio margine di manovra.
E di accoglienza.
Gli incontri frontali, quelli individuali, sono gestibili in più modi. Incluso il fatto di vedersi.
La piazza è Milano.

N.BChi è DAVVERO interessato e intende capire meglio, può scrivermi qui:
isozero@efremraimondi.it

Poi un master. Sul ritratto. Solo, c’è una prelazione appannaggio di chi ha già frequentato il laboratorio. Quindi una eventuale adesione ex novo è da verificare.

ISOZERO LAB by Efrem RaimondiAntefatto
Credo che i workshop abbiano in qualche modo perso la spinta originaria.

Per diversi motivi, non ultimo un certo inquinamento che fa sembrare tutto uguale.
Non è così.

Ma soprattutto non c’è soluzione di continuità: chiuso il weekend tanti saluti.
E questo, per me, è il limite.
Perché ho incontrato anche persone realmente dotate di sguardo e forza espressiva autentica. E poi?
Poi salvo eccezioni non resta niente. Nemmeno a me.
E non mi piace.
Ma ho voglia di intercettarne ancora. Verificare se c’è davvero chi vuole alzare l’asticella. Affrontando un percorso più lungo concretamente redditizio.

E appunto più impegnativo. Vale per tutti, me incluso.

Detto tutto. Quasi tutto…
Si parte a ottobre 2019. Ma già adesso si comincia a ragionare: portarsi avanti è meglio.

Ciao!

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Don Gallo – Una fotografia

Questa immagine di don Andrea Gallo è stata realizzata il 5 dicembre 2009.
Finalizzata alla copertina del suo libro Così in terra, come in cielo uscito nel febbraio 2010. L’ultimo libro del ”prete di strada” per Mondadori. Poi basta.
Come lui, su questo fronte, solo Giorgio Bocca.
Altri autori non pervenuti, a proposito di coerenza…

Don Gallo by Efrem Raimondi - Così in terra, come in cielo - MondadoriLa genesi di questa copertina è interessante. Perché è ciò che assolutamente non doveva essere. Che anzi neanche era immaginabile.
A testimonianza del fatto che l’improvvisazione e la capacità di cambiare in corsa è una prerogativa che si deve avere.
Non dichiarata ma richiesta nelle specifiche di un assignment.

Può anche andar male. Ma a volte se non cambi in corsa va certamente male.
Le situazioni non coincidono sempre con il quadretto che ti sei fatto. O che altri hanno fatto in tua vece.
Sul campo, che è roba più ampia e complessa di una riunione preliminare, ci sei tu e la responsabilità è tua. Sempre.
Anche se fai macro in giardino.
Assumersela significa sostenere ciò che fai mentre lo stai facendo. Mica dopo.
Dopo tu sei muto. Per te parla ciò che si vede. Stop.
Vale per tutto, cosiddetti progetti inclusi.

Quando dico copertina mi riferisco a una singola immagine.
Ma il ventaglio prodotto è ovviamente più ampio.
In questa circostanza sei immagini per due set.
Poche? Non lo so. Son sempre stato moderato nello scattare.
Talvolta decisamente castigato. Sarà stata la scuola banco ottico, non lo so.
E il digitale non mi ha cambiato significativamente.
Non è né giusto né sbagliato: ognuno trova la propria misura.

In redazione se n’era discusso dettagliatamente di questo libro.
Ma io non conoscevo personalmente don Andrea Gallo…
Tutto preciso: l’immagine di un uomo predisposto al sorriso, anzi alla risata… un po’ pretaccio di strada… un barricadero gioviale. Esagero un po’.
Già, e tutt’intorno disagio sociale, prostituzione, alcolismo, tossici. E altro.
Comunità di San Benedetto al Porto, Genova, lì a chiacchierare aspettando che lui arrivasse. Ma non arrivava mai e nessuno sapeva dove fosse.

Non ero esattamente in un salottino dell’800 e non sorseggiavo Sherry.
Ma è stato molto meglio.
Anche per capire che bisognava cambiare rotta al percorso che
mi riguardava.
Quando è arrivato era buio pesto e io sotto la doccia a Milano.
Per cui la settimana dopo appuntamento alla Trattoria A’ Lanterna, gestita dalla comunità – adesso la gestione è altra e tutto cambiato mi dicono.
Giusto per fare due chiacchiere tra un boccone e un bicchiere di vino m’ha detto don Gallo al telefono.

Bene. E più bocconi e più chiacchiera, più il telaio redazionale andava a ramengo.
Perché di fronte avevo una persona sottile e complessa. Profondamente arguta.
E cinica nei confronti del potere e della fama. Della ricchezza smargiassa.
Gesuitico nell’eloquio mi stava convincendo che in fondo non era poi così necessario fare questa copertina, cioè qualsiasi copertina lui presente.

Don Gallo a chiacchierare, io ad ascoltare. Ma decorosamente attivo.
Entrambi molto seduti: la rappresentazione dello stallo.

Poi scorgo la mia assistente guardare l’orologio: le tre pm!
Bellissima chiacchierata: andiamo a far queste benedette  fotografie don Gallo, dai…

Prima in una zona del Porto Nuovo se non ricordo male.
Scatto. Ma non mi convince.
Ci spostiamo allora dall’altra parte, Porto Antico zona Magazzini del Cotone.
Nel tragitto guardo sul portatile i jpg. E più li guardo più emerge una figura alla Simenon, quasi un Maigret.
Ma che c’entra un commissario? Invece caratterialmente me lo ricorda eccome don Gallo.
Un quarto d’ora dopo insisto. Controluce, bn preimpostato mentalmente, Lastolite a schiarire.

don Andrea Gallo by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedA mano libera. Micromosso che ride mi piace.
Non basta. Non ancora.
Fermo fermissimo; sguardo in macchina come una fucilata; io un po’ più alto…
Questa sì. Questa è esattamente quella che cercavo:

don Andrea Gallo by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedMi piace davvero, ma so che non sarà mai la copertina.

Intanto sono le quattro e qualcosa.
Praticamente tramonto al 5 di dicembre. Non ho molto tempo.
Monto un ring flash, piccolo, e provo la luce al volo… quasi ci sono. Ma sai che faccio?
Do via libera al flash incorporato, tengo il ring a un quarto di potenza e piazzo l’Hasselblad a f 8, me ne frego e scatto…

don Andrea Gallo by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved Scatto fino alle 16,23. L’ora esatta della cover.

don Andrea Gallo by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedTutto ciò che di norma non va fatto l’ho fatto.
Incluso il grandangolo – paragonabile a un 35 mm scarso, che però non fa testo perché praticamente lo uso sempre.

In Mondadori all’inizio sono titubanti, scettici: c’entra niente con tutto quello che ci siamo detti. Vero.
Poi qualcuno che evidentemente ha voce in capitolo dice che è perfetta.
E chi se ne frega se non rispetta il brief, evidentemente era sbagliato.
Ha detto proprio così.

Io ci ho creduto durante. Anche se avessi preso una sberla poi.

Di don Andrea Gallo ho un ricordo indelebile.
Rafforzato da una attualità indecente.

©Efrem Raimondi – All Rights Reserved

Assistente fotografia Emanuela Balbini.

N.B. Questo articolo l’ho pubblicato la prima volta nel 2013.
Rivisitato, lo ripubblico adesso. Per diversi motivi.

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Del ritratto

© Davide De Dea - Francesca Ferrari/Efrem RaimondiCon Francesca Ferrari sul set di Fondazione Fotografia Modena – Foto di Davide De Dea

Da oltre un anno non faccio nulla di didattico che non sia il mio laboratorio, ISOZERO Lab.
Di questo ne scriverò più avanti visto che la prima edizione è quasi alla fine. E si parte per la seconda.
Invece a breve ci sono due appuntamenti.
Sul ritratto.
Diversi: un WS organizzato dal magazine IL FOTOGRAFO – 16 e 17 febbraio, Milano.
A margine, Il signore in cover è Joe Strummer.   INFO

E un corso con  BOTTEGA IMMAGINE, sempre a Milano, sviluppato in dieci incontri serali. Il martedì: Febbraio – Aprile.  INFO

Sono due percorsi didattici diversi che rispondono a esigenze diverse.
A questo riguardo ho pensato che non è poi indispensabile avere una reflex per partecipare.
Sarebbe solo meglio. Perché sia nel WS che nel CORSO ci sarà anche un set predisposto.

NO modelle. Sarà proprio inter nos.
Perché, perché… lo spiego quando ci vediamo il perché.

Ma c’è un motivo fondamentale. Per me ineludibile.

La questione fondamentale è rapportarsi al ritratto con l’intento di superare il genere.
Sì lo so, adesso sembra andare per la maggiore.

A parole.
Poi ciò che conta, come sempre, è ciò che si produce.
Come indicazione di massima sulla trama di questi due appuntamenti consiglio la lettura di questo articolo, direttamente dal mio blog:

RITRATTO QUATTRO REGOLE PERÒ

Ci sarebbe anche un’altra cosa…

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INTERNI mag – Design portraits

INTERNI mag. Settembre 2018. Cioè adesso.
Un dittico. Come fosse una short story. Il cui soggetto sono le due fasi emotive del pezzo davanti a noi, che in fotografia si possono cogliere molto bene: una compiacente, forse dettata da una necessità sociale, e una intima destinata solo ad alcuni.

Gli oggetti li pensiamo sempre relegati alla funzione che hanno: quella che abbiamo loro destinato.

Una relazione sempre subordinata.
E statica.
E se invece avessero un’autonomia da rivendicare? Quando diciamo che hanno un’anima, cosa intendiamo dire?
Se in qualche modo si manifesta, sappiamo coglierla?

Questa è la storia breve, in due atti, di una relazione tra un fotografo… una persona e un oggetto che rivendica la propria soggettività.
E lo fa notare con discrezione. Un breve sussulto.

La voglia di andar via…

Efrem Raimondi for INTERNI magEfrem Raimondi for INTERNI magEfrem Raimondi for INTERNI mag

Stylist: Carolina Trabattoni.
Assistente fotografia: Giulia Gibilaro.
Studio: M8STUDIOS.

Copertina: illustrazione di Beppe Giacobbe

Bellport by Jean Marie Massaud per Poliform.
Barbican by Rodolfo Dordoni per Molteni&C – Sveva by Carlo Colombo per Flexform.
Selene by Hagit Pincovici per Baxter – Ryoba by Piero Lissoni per Porro.

Efrem Raimondi - Poliform for INTERNI mag© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo è un redazionale, un assignment.
Un giorno chiacchiereremo di assignment, che c’è un po’ di confusione.
E disinformazione diffusa.
Impaginato in modo poco convenzionale, quasi un fraseggio tra i quattro autori.
E sapevo che sarebbe andata così.
Inizialmente ero moderatamente scettico… poi ho sfogliato il numero: funziona!
Un’alternanza che amalgama e sottolinea il senso dell’intero percorso.
Se c’è un magazine con una linea editoriale e una visione d’insieme, c’è ancora speranza.
Dei miei colleghi pubblico una pagina cad in ordine di impaginato.

Nicolò Lanfranchi – Miro Zagnoli – Paolo Riolzi

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Oggi…

Oggi ho sessant’anni.
Non si dovrebbe nascere in un mese così.
Chiunque ad agosto, sa perché.
Una ricorrenza in apnea dal tempo delle elementari.
Nascosta il più possibile: d
etesto le ricorrenze.

Non me ne frega un cazzo del mio compleanno!
Oggi però ho sessant’anni…
Non ci credo.

Non ho mai considerato il tempo, il suo trascorrere, un problema.
Non un motivo di discussione.
Non ci ho mai pensato. Non l’ho mai scandito.
La relazione l’ho regolata centrifugando fotografia.

E finora tutto sommato m’è andata bene.

Stabilire unilateralmente che fermare qualsiasi moto è possibile.
Almeno sospendere, rimbalzando in una realtà parallela.

Quasi parallela. Perché invece procede per fatti propri.
E a un certo punto si allontana.
Un patto per sopravvivere a tutto.
Un’illusione meravigliosa.

Già…
Di anni invece ne ho tre.
Sempre quei tre fermi alla visione folgorante di mio padre che si toglie un guanto e mi saluta agitando la mano.
È così che ho iniziato a vedere.
E quell’anello… quel rubino che mi ha accecato nella neve di quel dannato Natale, adesso è mio. Da un po’.

Da trentotto fotografo pensando a me stesso, che me ne faccio del compleanno?

Nota
INVISIBLE è il video che precede alcuni miei incontri pubblici.
Un pot-pourri, una centrifuga. Tolte le quattro o cinque che segnano un momento preciso, le altre immagini le ho letteralmente pescate qui e là, trasversalmente e con leggerezza.
Non ho pensato, altrimenti non sarei stato in grado e tanto valeva rimanere come un coglione davanti allo specchio.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Presente imperfetto – New Old Camera – 12 maggio, Milano

Presente imperfetto. Lectio versione intima…
Organizzata da New Old Camera.
Milano 12 maggio.

È diversa da quelle pubbliche che ho fatto. Per numero di persone, qui limitatissimo, una quindicina, e per svolgimento.
Innanzitutto è una giornata insieme, con un break a pranzo, e poi il piano della visione e della conversazione è decisamente più dialettico.
Volutamente più lento.
E sulle cose si torna. Se necessario, si torna. Ne abbiamo il tempo.

Però occorre iscriversi. Qui tutte le info, incluso il costo – 80,00 €.
eventi@newoldcamera.it tel. 02 3658 92 16.

Il soggetto è il linguaggio. E la fotografia bella al centro: sei slideshow per un percorso che va dal 1980 a oggi.
Trasversale. Che è la fotografia nella quale credo.

Mica solo la mia…
Discutibilissima, ma è ciò che ho e che mostro.
Al netto di tutto.

Dalle usa e getta al banco.
Dall’assenza della fotocamera e per luce un accendino Bic.
Dalla Polaroid allo smartphone.

Da un’andata a un ritorno arbitrario…

Non si tratta di una chiacchierata, è proprio un momento di serio confronto.
Partendo dalla fotografia prodotta, non quella parlata. O immaginata.
Un excursus dinamico che ha un obiettivo: trovare, o ritrovare, l’orientamento.
Oggi, soprattutto oggi, penso che la riflessione sia importante.
A una condizione: esporsi.
Smarcandosi anche senza alcuna cautela da tutto ciò che è tendenza.
E non per chissà quale allergia intellettuale e un po’ fighetta, ma proprio per un’esigenza vitale.
Cercando di trovare la matrice espressiva che davvero ci riguarda.
Rischiando la nicchia.
Quasi auspicandola…

La fotografia che produci è ciò che sei.
La faccia, la tua.

Questo l’auspicio.
Ha un riscontro? Bene!
Non ce l’ha? Pazienza.
Ma a tutti noi, chi ce lo fa fare di fotografare?
Quale l’urgenza?

Inseguiamo che cosa?
Dove diavolo stiamo andando?

Se produciamo esattamente ciò che siamo, se pensiamo che non esiste alcun soggetto deputato, se il nostro differenziale è l’invisibile e come lo traduciamo, allora la fotografia è luogo confortevole.
E l’arbitrio il modo.
Non sarà universale, ma chi se ne frega.

Tutto semplice.
Tutto qui.

Presente imperfetto – 12 maggio, New Old Camera, Milano.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedSet per INTERNI magazine. Ottobre 2017.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Achille Castiglioni

Achille Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

NOTA – Questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 30 maggio 2014.

Achille Castiglioni… mi era impossibile dargli del tu.
16 febbraio 1992, Milano piazza Castello civico 27, primo pomeriggio tarda mattinata.
Non ricordo.
Comunque nel suo studio per andare insieme in Cassina e fare il punto sull’Hilly, ultimo progetto giusto in tempo per il Salone Internazionale del Mobile.
E mentre son lì scopro due cose: che è il suo 74° compleanno e che non si va a Meda io che guido la mia macchina, bensì lui che guida il suo Espace.
E proprio non c’è discussione.
Quindi la mia condizione è la seguente: il giorno del compleanno di Achille Castiglioni sono seduto al suo fianco mentre guida direzione Cassina.
E mi dice: Raimondi… però dammi del tu eh! Stiamo lavorando insieme.
Ecco… dopo due tu faticosi ho ripreso col lei e non ho mai cambiato pronome.
Mai.

Una misura esiste. E tutto il mondo riconosceva la sua.
Io ero un pischello. Mi ero affacciato nove anni prima.
Che poi, ma perché ero lì?
Ci penso adesso…
Cioè, perché Achille Castiglioni voleva che ci fossi anch’io a quel summit?
Non sammit, proprio un summit…
Vero che dovevo fotografare da lì a qualche giorno, però boh…
Azzardo ora un’ipotesi: apparteneva a una generazione di gente speciale, abituata al confronto con chiunque componesse l’équipe di lavoro.
E se eri lì dentro non c’erano gradi da far valere. C’era ciò che mettevi sul piatto.
E in che modo.
Perché anche il modo conta.
Questo lui… Io invece gradi e pesi li avevo ben presenti e sapevo perfettamente su cosa e con chi mi confrontavo.
Quindi calma, misura, ascolto. E una dose di azzardo sostenuta da una ingenuità consapevole: in fondo se ero lì una ragione c’era e non era importante che perdessi tempo a cercarla.

Io non posso dire nulla, proprio niente del genio di Achille Castiglioni.
Posso solo raccontare del privilegio che ho avuto.
C’è qualcuno ancora in grado di capire?
Apparentemente una faccenda solo personale. Non è vero.
Chi capisce, bene.
Chi no amen. Da un incontro così si impara molto. Anche se stai fermo a guardare.
Per circa tre mesi ci siamo visti e rivisti.
Nel suo studio, nel mio e al Superstudio, dove ho scattato.
A lavoro ultimato gli ho chiesto di ritrarlo. E si è prestato.
Nel suo studio, spalle al gigantesco specchio a 45°… che la prima volta momenti cerco di oltrepassarlo – secondo me era usato anche come test per gli ospiti.
Luce ambiente e banco ottico.
Luce scarsa per un formato 10/12. Allora monto comunque un flash che mi serve da supporto del bank 90/120 per spalmare la sola luce pilota; rifletto uleriormente su un pannello sospeso e accendo un paio di lampade presenti in studio: volevo una luce continua.
Più lunga, più morbida, più calda – anche nel b/n c’è differenza – pronto anche a un micromosso. Che ci poteva benissimo stare.
E infatti c’è.

E davanti ho proprio la faccia di un meraviglioso milanese.
Che diversa non può essere.
Milano, quella istituzionale, dovrebbe sempre ricordarsi di avere un debito nei confronti di queste facce qui.
Io volevo solo un souvenir per me.
Ed è l’unica cosa che ho chiesto a Achille Castiglioni.
Perché invece rotolino me l’ha regalato lui, direttamente con dedica durante un incontro, così, per suo piacere.
Ero decisamente commosso…

Achille Castiglioni, dedicated to Efrem RaimondiNel corso degli anni mi bastava girare la testa, a sinistra della mia postazione computer, per vederlo quel rotolo.  E ogni tanto pensavo che il giorno dopo avrei telefonato in studio e sarei andato a trovarlo.
Non l’ho mai fatto.
Le urgenze, soprattutto quelle emotive, non andrebbero mai rimandate.
Ci sono passato invece fugacemente l’anno scorso durante il Salone, perché sede di un evento. Ripromettendomi di tornare con calma.
E sono tornato. Adesso.
E mi sono immerso.

Studio Museo Achille Castiglioni, ma l’atmosfera è la stessa, e da un momento all’altro sarebbe sbucato l’architetto.
Come l’ha lasciato lui… come se fosse andato a prendere un caffè e a minuti torna.
Così mi dice Giovanna Castiglioni, sua figlia.
Che cura  e gestisce insieme a Antonella Gornati – che ricordavo bene perché collaboratrice dell’architetto.
E mentre Giovanna mi guida nel tour di questo meraviglioso luogo, sacro per me, certi ricordi mi tornano nitidi.
Su tutti la faccia, il sorriso, il suo intercalare.
La sua ironia accentata di paradosso: Chi sbaglia fa giusto.
A un certo punto chiedo a Giovanna se le va di posare con rotolino steso, il mio rotolo… acconsente a patto che non si veda il viso.
Non so perché.
Ma nello specifico iconografico la sua è stata un’intuizione che ho immediatamente condiviso.

Giovanna Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedE il tour è sorprendente in ogni angolo: qui c’è storia, qui sono state scritte tra le più importanti pagine di design.
Rivedo i quattro parallelepipedi di vetro con dentro di tutto… che quando li vidi la prima volta rimasi sconvolto: c’era la Ferrania che mi regalò mio padre quand’ero bambino, formato 120… mica sapevo che l’avesse disegnata lui. Come anche il Rocket, proiettore per diapositive. Così come un sacco di altra roba.
Tutta lì dentro.
E poi scaffali e zone d’archivio Senza saperlo è stato un grande archivista.

Secondo me non buttava via niente. Col retropensiero di trovare sempre il riciclo.
E vai e giri… e appunti, disegni, modelli, stampi… il suo tecnigrafo, il suo design e le sue cose.

FONDAZIONE ACHILLE CASTIGLIONI by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedC’è anche la brochure dell’Hilly, coi modelli. La sua sagoma, chino che guarda.
Non me l’aspettavo.
Rimbalzo indietro di 22 anni. Come vi sentireste?
La vedo ancora la sua faccia…
Perché è così, si incontrano certe rare persone e talvolta si ha una fortuna dialettica, quella che ti consente di interagire con loro. Ed è un tempo da tesaurizzare.

Visitare questo spazio è formativo. Ascoltarlo, respirarlo è formativo.
Ed è possibile, basta prendere un appuntamento per una visita guidata, questo il link, qui c’è tutto:
http://fondazioneachillecastiglioni.it/visite/

Un luogo dinamico, un luogo dove si fa progettazione al fine di restituire tutto il percorso progettuale di mio padre. Le esatte parole di Giovanna.
Più che guidata, per alcuni dovrebbe essere una visita obbligata.
Per tutti un vero, grande piacere.

Raimondi
Mi avesse chiamato una volta per nome, forse nella singola circostanza sarei riuscito a dare del tu a Achille Castiglioni.

FONDAZIONE ACHILLE CASTIGLIONI by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Il lavoro per l’Hilly, marzo 1992, l’ho realizzato con la Toyo 45G e con un film Ektachrome EPY 10/12… una pellicola tarata per luce al tungsteno. Kodachrome a parte, credo sia stata la più bella slidecolor mai prodotta. Che esponevo a 50 iso.
Pubblico solo due immagini.
Mentre non trovo l’originale esposta in Triennale nel 2008 per la mostra Made in Cassina.
Ma so che c’è. E la troverò.

HILLY, Achille Castiglioni - Cassina by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedHILLY, Achille Castiglioni - Cassina by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAchille Castiglioni, questa faccia qui…

Achille Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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James Nachtwey – Memoria

James Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey a Palazzo Reale, Milano, sino al 4 marzo 2018.
Una mostra che va vista.
Che non lascia indifferenti.
Che è totalmente coerente con un certo modo di intendere la fotografia dedicata al reportage.
E che mi trova solidale pur non frequentando.
Tranne per una cosa che dirò dopo. Come un dubbio…

Non ho idea di quanti modi ci siano per vedere una mostra, qualsiasi mostra.
Questa ha però intrinsechi motivi e letture che si muovono su più piani. Più che altrove.
Nessuno facile da affrontare.
Occorre un grande rigore. E coerenza.
Perché il soggetto, tutta la mostra, si regola anche sul piano estetico. E s’una idea del rapporto che questo ha con un contenuto che è tosto.
Mai e poi mai può essere trascurata l’estetica.
Anche se reportage, per me cambia nulla… non è il genere che fa la distinzione.

Solo l’opera. Solo ciò che è lì da vedere.
E questo è il mio modo di affrontare le mostre.
E tutta la fotografia a dire il vero.

Privo di patente, questo il mio rapporto.
Perché è così che leggo l’essenza dialettica di qualsiasi autore.
La misura espressiva.
Qui un equilibrio delicato.
Perché quando vedi dolore, morte, disperazione, la tentazione al rifiuto è forte.

Su due pannelli proprio all’inizio Roberto Koch – che ha curato la mostra insieme all’autore – dice: Da quarant’anni Nachtwey fotografa il dolore, la violenza, la morte e a sostenerlo nella discesa nella ”città dolente” della condizione umana è sapere che il buon fotogiornalismo può ancora incidere sull’opinione pubblica, come una prima stesura di un futuro libro di storia.

Non so se sia ancora in grado di incidere sull’opinione pubblica, davvero non lo so.
Però mi sa di no. Con rammarico.
Semmai ci sarebbe da chiedersi: e poi? Poi cosa fa l’opinione pubblica?
Ma capisco perfettamente il senso, e probabilmente l’auspicio di Koch.

Quella che è immediatamente chiara è l’onestà.
E la coerenza dello sguardo di Nachtwey lungo questi quarant’anni: Cisgiordania, Haiti, Guatemala, Libano, El Salvador, Berlino, Bosnia, Kosovo, Albania, Cecenia, Somalia, Sudan, Romania, Zaire, Ruanda, Sudafrica, Stati Uniti, Afghanistan, Iraq, Germania Est, Cecoslovacchia, Indonesia, Nepal, Vietnam, Pakistan, Zambia, India, Cambogia, Croazia, Macedonia, Grecia… un viaggio con al centro un’umanità esposta a tutto.
Compreso ciò che non vogliamo sapere. Ma che qui trova forma.

E con garbo ti viene sbattuto in faccia.
Sei qui e non puoi sottrarti…
Se decidi di venire qui, sappi che devi farci i conti.
Solo che non è come altrove, come per altri: Nachtwey è secco, pulito, diretto, essenziale e potente con quel suo bianco e nero.

Assolutamente da affrontare come una sequenza l’installazione riguardante gli ospedali militari in Iraq: 60 fotografie sapientemente addossate che ti arrivano addosso come una bomba. Uguale.
Se ti avvicini partendo dalla sala che la precede, dritto senza esitare, uguale.

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Ma sempre con questo sguardo pulito, non incline ad alcun prurito: nessuna sbavatura. Non è per nulla facile.

Mentre ho trovato del tutto boh le parole di Wim Wenders.
Vagamente pretesche nel suo accomunare tutti: Nachtwey, i suoi soggetti, noi che siamo lì a guardare.
Oltre alla firma sul pannello, chi ci passa davanti si fermi e legga.
Dopodiché prosegua.

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Che riguarda gran parte del colore: tutto si muove con le priorità del bianco e nero, solo che la cromia è un’altra. Ed è come incollata.
Brillantemente incollata.
Tanto da sembrarmi un artificio.
Intendiamoci, anche qui nulla a che vedere con certe note derive da carrozzeria, però…

Insomma un dubbio.
Che in qualche modo mi fa pensare a un diverso orientamento del gusto. E che prima o poi ci vorrebbe qualcuno, un cranio vero e ben attrezzato, che affronti la questione.
Al momento resto qui col mio dubbio che è tale perché è magistrale lo sguardo di James Nachtwey. Che va be’, lo affronteremo altrove.

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Nota: tutte le immagine in iPhone 6.

Memoria, James Nachtwey mostra.
Palazzo Reale, Milano 1 dicembre 2017 – 4 marzo 2018.
105 opere esposte.
Curatela: Roberto Koch, James Nachtwey,
Organizzata da: Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, Civita, Contrasto e GAmm Giunti.
Digital Imaging Partner: Canon.
Con il supporto di: Fondazione Cariplo e Fondazione Forma per la Fotografia.

Questa la pianta della mostra data unitamente al biglietto – € 13,00.
Volendo è disponibile anche l’audioguida.

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