La vita di una foto – Adriana Zarri

Ogni fotografia ha una sua vita, indipendente dall’autore.
Indipendente da noi.
Anche prima quando non c’era il Web. Giuro.
E questo ha avuto il grande merito di riesumarne davvero tante dal passato, anche quello lontano, quasi dando loro nuova luce. Forse a dispetto delle recenti e recentissime che invece, mediamente, tende a eclissare rapidamente: questione di mole, di similitudine, di sovraesposizione e conseguente rigetto.
Che se frequenti un qualsiasi forum, o un social esplicitamente dedicato alla fotografia, è un bombardamento.
La longevità di un’immagine non mi è chiarissimo da cosa dipenda.
E forse non è neanche individuabile o restringibile a qualche elemento preciso valido in assoluto.
È un fatto di DNA… di qualcosa che possiede già alla nascita e che non ha una logica. Altrimenti qualsiasi autore produrrebbe solo immagini longeve. Tutte quante a sopravvivergli. O a sopravvivere almeno alla contingenza del gusto, del trend (brutta parola) e della morale condivisa.
Invece non è così: sono rare le fotografie in grado di attraversare le epoche e le mode e di presentarsi indenni agli occhi dei posteri.
E di diventare così un classico.
Cos’è che hanno?
E non è da confondersi col successo, che è solo una questione di applausi, magari anche uno scroscio, magari apoteosi ma che ha un tempo ben definito: il successo si misura con l’epoca di appartenenza. Qui stiamo parlando di chi va oltre… diremmo mai che il Don Giovanni di Mozart è un’opera di successo? E anzi, giust’appunto, non è che avesse riscosso tutto questo plauso all’epoca. E invece, eccolo rappresentato in tutti i continenti.
Paragone che non evoca alcuna similitudine, ma rende bene l’idea.
Io sarei felice di attraversare il decennio con qualche mia foto.
Qualcosa che ogni tanto qualcuno riprende da chissà dove… una fotografia che si presti magari all’equivoco temporale e che faccia pensare sia stata scattata ieri.
Con questo ritratto a Adriana Zarri è successo.
Realizzato nel 1984, che ero un pischello e armeggiavo sudando.
Nell’eremo dove viveva, fuori Ivrea.
Ricordo ancora la chiacchiera per convincerla crocefissa a terra.
Che non è un gesto gratuito, non un famolo strano… si veda la sua biografia.
Quella donna mi aveva molto colpito e era davvero speciale.
Una semplicità disarmante e un pensiero forte in un corpo esile.
Un godimento assoluto ascoltarla.
Di recente è stata aperta la sua pagina Facebook.
Il suo amministratore ha postato l’immagine, trovata in rete, e mi ha contatto.
Io ne sono davvero contento.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotocamera: Nikon FE con ottica Nikkor 20mm f/3.5
Film: Kodachrome 25.

Per PM, anno 1984, neonato magazine della Mondadori che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia dell’editoria periodica italiana perché aveva un respiro internazionale. E al centro c’era l’immagine.
Il suo art director era Romano Ragazzi, una persona molto importante per la mia crescita. E che tutt’ora vedo.