Sottrazione

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved  INSTA 99, 2018

Sottrazione è il leitmotiv della fotografia che mi riguarda.
Tutta quanta: la mia più quella nella quale mi rifletto, fatta da chiunque.
Fatta…
Quindi non strafatta.
Sottrazione è un dato percepibile. Una condizione iconografica imprescindibile.
Non si vede. Eppure è la struttura portante.
Ed è forse questa sua condizione di scheletro che la rende impercettibile.

Ma regge tutta l’impalcatura.

Vive di un paradosso: non è data dagli elementi mancanti, ma da quelli presenti.
Dalla dialettica che questi hanno con lo spazio che gli appartiene e che coincide col nostro perimetro fotografico sia esso fotogramma o file.

Come si fa a spiegare…
Abbiamo il nostro spazio predeterminato: non è evitabile, non è modificabile.
Possiamo solo prendere atto del formato.

Che è vuoto. Se non interagiamo tale resta.
Ed è lì che tutto succede.
Non altrove, non a parole. Lì e basta.
Possiamo anche chiamarla composizione.
Che altro non è che la presa di possesso di questo vuoto.

E dell’interazione tra questo e ciò che aggiungiamo.
Come lo aggiungiamo determina l’esito di questa relazione.

Ciò che si vede è, ciò che non si vede non esiste.
Tutto qui.
Sottrarre in una operazione di somma significa occuparsi solo di ciò che serve dal punto di vista espressivo.
Tutto il resto è un surplus.

Sottrazione
è anche la parola d’ordine a ISOZERO Lab – il laboratorio iniziato a febbraio di quest’anno.
Ed è qui, in questo spazio creativo e didattico, che nel confronto coi lavori che si stanno producendo – o con le intenzioni di lavoro – che è emersa prepotentemente la necessità di sottolinearne l’importanza.
Con alcuni – siamo una trentina – questa sottolineatura è superflua.

Con altri invece occorre lavorarci.
Non è grave, c’è di molto peggio nel mondo.
Ma se è di fotografia che parliamo, capire cosa vuol dire sottrarre cambia l’esito del percorso.

Non è facile. Ma è semplice: basta riconoscere alcune convenzioni, passate ma anche attuali, e spazzarle via. Ricominciare.
E ricominciare è una bella sensazione.
Perché ci si è fermati. Ci si è guardati attorno… cos’è che non funziona? Com’è che non riesco a definirmi nella fotografia che produco? Ma cos’è tutta ‘sta roba che non avevo notato…
E ti accorgi di quanto vedere sia importante.
E per vedere, occorre in primis leggere lo spazio e ciò che contiene.
Il nostro spazio.

Ad alcuni ho dato un esercizio: l’analisi oggettiva della fotografia che hanno davanti. Propria o di altri.
Un inventario di tutto ciò che c’è.
Ed è incredibile come certe cose, alcune presenze, belle evidenti, non si vedano.
Motivo per cui non si distingue una fotografia da un fumetto, da una figurina.

E si fraintende sulla semplicità, pensando che sia una roba facile.
Sì? Allora falla.
E ti rendi conto di quanto LA maledirai.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Selfie vs Faces – Maria Teresa Gavazzi

Efrem Raimondi by Maria Teresa Gavazzi

Cammino per Reggio Emilia. Un mese fa per Fotografia Europea 014.
E vedo Maria Teresa Gavazzi: pittrice, performer… un’artista insomma. Che però sapevo a Londra! dove vive e lavora.
Lì in un angolo di strada con una fotocamera, un cavalletto, uno schermo come sfondo. Uno sgabello.
E una calza in mano, di quelle da donna.
Mi dice quattro cose che non capisco e in un attimo mi trovo sullo sgabello con la calza in testa giù fino al collo.
Questo sarà il mio selfie! E prima che lei scatti, mi scatto io.
Anche lei scatta… mi dà delle indicazioni e io eseguo.
Sono in balìa di un altro sguardo, per cui eseguo.
È rarissimo che sia dall’altra parte. Non è più il tempo.
Però questa è tutta un’altra situazione: non mi specchio nella mia identità, che anzi va a ramengo.
Ma in una qualunque. Quasi una matrice.

Questo occidente è un luogo impaurito che ha perso la capacità di esprimere divergenza e alternativa espressiva. È muto.
Variopinto, ma inespressivo. Dove l’incipit è uno: mostratevi.
E nel mostrarsi, ci si accorge di essere copie. Malgrado gli sforzi.
Mi piace molto questo lavoro di Maria Teresa Gavazzi, perché ha un’apparenza leggera, ma una sostanza potente.
Io non sono un critico, io sono uno di quelli con la calza in testa.
E lì sotto ho avuto il tempo di vedermi. E come sempre non mi piaccio neanche un po’. Altrimenti non  farei il fotografo.
Altrimenti non starei dalla parte opposta all’obiettivo.
Altrimenti non guarderei il mondo. L’altro mondo, quello che non si vede.
È ciò che non so vedere che vorrei trovare da qualche parte.
Ed è di persone in grado di mostrarmelo che ho bisogno.
Parafrasando Maria Teresa, anche ladri.
Perché è come avere a che fare con un bene comune che va in malora… una casa vuota da secoli abbandonata all’ingiuria: io ne ho bisogno e me la prendo.
E la restituisco alla vita.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Efrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De TomasiEfrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De TomasiEfrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De Tomasi

C’è però un’anteprima, non posso evitarla.
Maria Teresa Gavazzi l’ho ritratta per il magazine Arte nel 1999.
Questo il ritratto che le feci. Quindici anni fa. Già.
Era più o meno da allora che non ci si vedeva: è come essersi ritrovati. In più la ringrazio per questo suo Faces, che è il selfie di un’epoca. Così non c’è più bisogno di farne. Almeno io.

Maria Teresa Gavazzi by Efrem Raimondi

 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Faces by Maria Teresa Gavazzi  – PDF faces_ita

M.T.G. a Fotografia Europea 014 feuropa

M.T.G. Performance performance

 

 

 

Le fotografie di backstage sono di mia moglie, Laura De Tomasi.