Nessun tempo

Non c’è alcun tempo.
Se non quello presente.

Ogni altra declinazione è un valore matematico lineare. E non ci riguarda.
Fotograficamente è solo un parametro tecnico relativo, la cui comprensione permette il relativismo che ci riguarda in quel tempo presente.
E contribuisce alla nostra definizione espressiva.
Al linguaggio. Che non è un valore né matematico né lineare.

Né logico.

Non c’è alcun luogo.
Solo la misura, millimetrica, dello spazio che intendiamo occupare permanentemente.

E che arrediamo a seconda di un intento.
Fosse anche un fondale bianco.
La permanenza, la nostra, è il prodotto di questa dialettica spazio-temporale e ha un valore oggettivo: ciò che mostriamo. Proprio quella fotografia lì e non altre.

INSTARANDA © Efrem Raimondi - All Rights ReservedINSTARANDA, 2015

Questa sequenza ruota intorno alla relazione tra questo portone rosso e me.
La reciproca indifferenza di un paio d’anni.
Poi ad agosto 2015 qulcosa è scattato: ci siamo riconosciuti in un luogo, uno spazio condiviso.
Nella precarietà di entrambi: lui era stato una pianta, adesso un portone.
Adesso adesso nulla, non c’è più.
Io un umano temporaneo: anch’io non ci sarò più.
Ciò che resta di noi è questa fotografia.
Che ha una relazione precisa col tempo: lo fa proprio e lo restituisce immutato.
E in culo a Chronos.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Condividi/Share

Tempo e Luogo

© Efrem Raimondi - All Rights reserved
Tempo e luogo…

Questo tempo presente che ne ha uno alle spalle.
E questo luogo, sempre lo stesso, al quale consegnare tutto ciò che hai di più intimo.
A volte indicibile.
Sempre esprimibile.
La fotografia, che mi ha salvato la vita…

La fotografia, che può salvare la vita.
Così tu, fanciulla con la fotocamera che mi guardi attonita, smetti di pensare.
Molla tutto e seguimi un attimo: il tempo di questa pagina inutile.
E visto quanto efficace sia stato per l’intero pianeta l’elogio dell’utilità, dammi retta, riabilita l’inutilità.
Per me un contraddittorio vitale.
Après.

Una duplice relazione col tempo: quello umano, che in fotografia è uno spazio emotivo, mnemonico. Culturale.
E quello tecnico, l’esposizione: una misura spaziotemporale… Espressione fisica che si relaziona con la capacità o meno di accedere a tutto ciò che è nostra intenzione mostrare.
Questi due tempi hanno una dialettica stretta.

Ma oggi, proprio oggi che l’estate per me finisce, oggi è solo memoria.
E tu lì attonita…

La fotografia ha una relazione vitale col tempo.
Forse per questo sono fotografo… l’idea di bloccare questo trascorrere che a un certo punto, adesso, trovo orrendo.
Di sconfiggere la morte. Congelando tutto.
E c’è stato un periodo, una ventina d’anni frenetici, in cui ci ho creduto.

Era un’illusione meravigliosa e reale.
Non pensare…
Io non penso.

Quando si fotografa conta solo il presente.
Quello stretto.
Quello dettato dall’otturatore.
Come un metronomo e tu all’unisono.
Non pensare…
Il tempo del pensiero è prima.

E dopo.
Questo dopo, adesso, fa i conti con chi ho ritratto e non c’è più.
Questo dopo, adesso, fa i conti con le mie vite interrotte.
Tutte, oltre l’antropocentrica idea di specie.
Della quale non solo me ne fotto, ma è proprio il nemico da abbattere.
Spaccare lo specchio nel quale ci riflettiamo è una necessità vitale.
Après 2…


Questo dopo, adesso, fa i conti con ciò che produco ed è certo, non produrrò più.

E vale per tutti.
Anche per te.
Abbiamo un solo tempo: la fotografia che facciamo.
L’unico appiglio è ciò che congeliamo.
E se ha respiro, avrà autonomia e vita.

Se no che crepi con noi.
E con questo si può chiudere la relazione con l’attualità.

Ma sai che cazzo me n’è mai fregato dell’attualità?

Un tempo dilatato…
Un tempo relativo…
Un tempo che inculi la Storia. E i suoi dattilografi.
Una visione che sorprenda l’anima.
Un’overdose.
Come un rallenty…
Come la potenza del silenzio di Benjamin.
Come il pugno di Lenin.
Come l’allucinazione di Céline.
Come la polvere di Bulgakov.

Come il gatto bianco di Bukowski.

Un tempo per vivere…
Senza trucchi mediatici: facci solo vedere cos’hai da dire.

Mostralo…
È la fotografia.
Usala.
Questo è il tempo.

Il mio. Il tuo. Il nostro.
Non l’abbiamo scelto.
Ma possiamo manipolarlo.
Facciamolo.

Acquisisci la grammatica che ti assista, e butta la rivistina trendy e paracula… non ne riconosco una.
Maledetti fotografi. Benedetta inattualità.

E tu attonita…

C’è anche il LUOGO.
E questo non è banalmente un escamotage.
Ma uno spazio che conforta.
Uno spazio deputato, preciso, circoscritto, riconoscibile dove mettere tutto ciò che ci riguarda e ha forma.
Non è un concetto, è proprio un luogo reale.
Uno spazio autonomo.
Dove il tuo essere attonita cessa.
E sei nuda.

Il luogo che ha evitato mi sfasciassi…
E patologie permettendo, c’è ancora spazio.
Le fotografie, ognuna di loro…

Voglio che le cose, le persone e tutto quanto, non camminino con me.
Altrimenti non sarei sopravvissuto.
Deposito…
Se non sollecitato, non ci penso.

Le hai fatte? Hanno forma? Bene!
Lasciale.

Il latino ha una parola meravigliosa: REPOSITORIUM.
Che è un luogo fisico. Reale.

Dove depositare oggetti anche preziosi.
Anche sé stessi. Noi.
Decantazione.
Quiete.
Lì tutto. Demoni compresi.
Anche l’inconfessabile, la presunzione, l’arbitrio… lì tutto è ammesso.
L’archivio della tua vita.

E tu ricominci a respirare il presente.
Che non c’è altro luogo.

Come un tattoo:
Omnia bona mea mecum porto.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Condividi/Share