Ritratto di donna

Ritratto di donna in un ambiente…
Barbara è un’amica. Nonché allieva del mio laboratorio.
Viene a trovarmi.
Penso che la ritraggo…
E lo faccio.
Fin qui tutto normale.
Ma a partire da qui no.

Barbara by me © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

A partire da qui cominciano le divergenze.
Ritratto di UNA donna in un ambiente. Una persona quindi, non un genere.
Non uno standard culturale, politico, sociale, ideologico.
O più banalmente uno standard senza profilo ma perfettamente allineato al gusto, al costume e al modo conforme di esprimerlo.
Che nella conformità trova conforto e visibilità. E asilo la più subdola misoginia post femminista.

L’estetica non è neutra. È pensiero che ha forma.
E quindi anche la forma stessa è strumento espressivo.
Questo vale anche per la fotografia.
Tutta la fotografia senza distinzione di soggetto o genere.

Vale anche se fotografi melanzane.
Ma col ritratto vale anche di più.

Se il soggetto è donna vale doppio: che idea hai della femminilità?
Che visione hai del mondo?
Guarda che a ben guardare, si vede.

Gli elementi identitari sono individuali, appartengono a quella persona e non sono eludibili. Sono il piano dialettico sul quale ci confrontiamo.
Poi ciò che restituiamo è comunque altro. Questa non è Barbara ma un prodotto che prima non c’era: è una fotografia. E senza di me non ci sarebbe. Non una boutade, nulla di lapalissiano: ogni fotografia senza di te non ci sarebbe.

Quindi assumiti la paternità di ciò che fai. Metti la faccia, la tua.
Ne hai una da mostrare? Una, non mille.
Questo è il ritratto oltre qualsiasi equivoco di genere. Al pari di qualsiasi altra fotografia.

Un campo minato: la riconoscibilità; la fotogenia; l’anima; l’essenza; la relazione; l’empatia; l’ego; che cosa dico al soggetto e tutto quanto un peso, una zavorra, che non riesco a capire come poi si riesca a fotografare…
Ma quando è una paperetta, facciamo lo stesso? No. Male!
Il piano è assolutamente lo stesso, cosa cambia? Evidentemente noi.
Cioè ciò che andiamo a mutare è l’intero piano visivo. Una frattura forte dalle conseguenze prevedibili.
Mentre la circostanza è sempre la stessa: tu che ti confronti con ciò che vedi.
Da noi si pretende questo, non altro.
Che è esattamente l’opposto di uno standard.
O meglio… se il rapporto è mainstream va tutto bene e alla mancanza di dubbi, sulla necessità di contraddizione, sostituiamo le certezze di altri.
Incluse le piallate epidermiche. Come se la pelle non fosse un elemento espressivo.
Quando ritraggo in presenza di make up e parrucco, cioè nella maggioranza dei casi, è lo stesso: la pelle esiste e si vede.

Subire una cultura della femminilità che non prevede elementi identitari e si appella ideologicamente a un canone estetico che rifiuta la diversità è la negazione di qualsiasi linguaggio, di qualsiasi dialettica, di qualsiasi espressione. E dell’estetica stessa che invece è il nostro patrimonio espressivo e ci identifica: che visione hai del mondo?
Quale la tua utopia?

Barbara by me © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

Nota numerica a margine: 35 e 28. 50 se proprio… Mai 85. Qui 28.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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39 thoughts on “Ritratto di donna

  1. “Oscar Wilde dice che ogni ritratto è un autoritratto inconscio dell’artista per trasferire tracce della propria personalità nell’opera, ben prima di lui, Leonardo da Vinci parla di “automimesis”, e poi Raffaello, Dürer , Van Gogh, Gauguin, Rembrandt, Bacon, Freud……. hanno ben presente come il ritratto sia in realtà una grandiosa, narcisistica autorappresentazione. (………….) Il ritratto, qualunque sia e chiunque rappresenti, lungi dall’essere un semplice mezzo espressivo descrittivo e illustrativo per documentare l’aspetto fisico di un’altra persona, racconta in realtà una cruenta battaglia che ha come premio l’immagine che di noi stessi vogliamo restituire al mondo, una lotta in cui la personalità dell’artista e quella del soggetto ritratto sono due anime in competizione che cercano di prevaricarsi reciprocamente per esprimere ciascuna sé stessa.”
    Mi scuso per l’autocitazione, credo comunque che siamo abbastanza d’accordo……

  2. l’ho sentita in un video invitare, nel ritratto, a donare per ricevere….. cercherò poi di frequentare un suo workshop appena ne rifarà ma volevo chiedere…. cosa significa esattamente? entrare in confidenza prima di scattare?, in che modo “io” fotografo posso domnarmi a chi sto per scattare?

    Grazie , sempre bello ascoltarla parlare , di fotografia, secondo me vale come un set !.
    Grazie per l’attenzione!

    • una brutta notizia Giampaolo: non faccio più ws da un paio d’anni. forse tre. ho invece crato un laboratorio, ISOZERO Lab. che ha due percorsi distini: uno è un master sul ritratto, l’altro è più trasversale.
      questo il link con una serie di informazioni: https://blog.efremraimondi.it/isozero-laboratorio-2020-2021/
      se ti interessa o vuoi parlarne trovi il contatto nell’articolo.

      sicuro che abbia parlato di confidenza e di donarsi? la seconda, modulata diversamente può anche starci, la prima la vedo difficile.
      oppure ho seri problemi mnemonici :)
      ciao Giampaolo. e grazie

  3. Interessante la tua presentazione e anche i vari commenti. Il tuo ritratto lo trovo profondamente emozionante. Riesco a leggere e ad immaginare una storia , la sua storia attraverso la mia grazie ai suoi occhi, alla sua espressione, alla impercettibile smorfia delle labbra, il tatuaggio, l’abbigliamento. E non ultima la location scarna. Ti “buca” e ti scuote. Mai come in questa immagine la sottrazione ha avuto un effetto così forte. Al di là delle parole, al di sopra dei commenti.

    • grazie Ivano. le parole non servono all’immagine.sono due partite distinte.
      invece riflettere sull’idea di fotografia che abbiamo, che vediamo, relazionarci insomma, credo abbia un peso. perché si parte da qualcosa che è tangibile, visibile,lì da leggere.
      questo piano per me è ineludibile.

  4. Su tuo invito, riposto qui. Grazie!

    Dipende tutto dalla personalità, dal peso specifico e, dunque, dalla libertà del fotografo. Nel senso che ciò che affermi, nella sua lapalissiana evidenza, presuppone comunque una bilancia che penda più dalla parte dell’autore che del committente, in un rapporto che sia di fiducia e interazione, conflittuale o meno. Un fotografo alle prime armi, per insicurezza, tenderà ad assecondare le poche idee confuse e standard del committente, finendo per uccidere sul nascere la propria personale visione. Nella tua professione, come in ogni altra, è il marchio della personalità a fare la differenza. Ma per costruirlo occorrono anni di lavoro su se stessi, prima che sulla propria professione, sebbene le due cose viaggino quasi sempre su binari paralleli.

    • più o meno come su fb Davide, solo che qui abbiamo più agio. per questo l’invito.

      la libertà ha bisogno anche lei di linguaggio. e di volontà espressiva. ma espressiva davvero. l’errore credo, soprattutto oggi, è pensare che esista a priori un atteggiamento censorio da parte del committente – se è un assignment. quindi si rischia l’autocensura preventiva: la peggiore delle condizioni. che in più è immediatamente visibile.
      ciò che all’inizio mi ha permesso di evitare le maglie strette di qualche setaccio è stata una certa ingenuità che avevo. e credo sia un valore da coltivare anche dopo.
      poi esiste il libero arbitrio. anche in un assignment: o lo fai o no. come di fatto lo decidi tu. certo che è un rischio. vale o no la pena esporsi? anche questo lo decidiamo noi.
      ma alle prime armi… alle prime armi devi viaggiare senza paracadute e disciplina ferrea.
      tutto più complesso di quanto può apparire insomma. o no?

      • È sempre tutto più complesso. E se non lo è ci impegnamo affinché lo diventi. È una prerogativa dell’essere umano.

  5. Si può comprendere e apprezzare , ma un ritratto rimane un recipiente da riempire ,bravo colui che lo costruisce con maestria e artigianalità, ma il resto è negli occhi di chi guarda. Come sempre ti riconosco una grande sensibilità. Perdonami ma Zarri e Pivano aiutano o mi sbaglio se il ritratto è un’esperienza a due sensi di marcia credo che donne di quello spessore aiutano.
    PS una persona che ha fatto il corso con me (mi vergogno di chiamarlo così direi più chiacchierate) a cui ho consigliato il tuo ne è rimasto entusiasta. Buon tutto ciao

    • in questo momento, questa contemporaneotà qui, assomiglia più a un recipiente già colmo, talvolta strabordante. e va svuotato.
      ma anche prima il processo che mi riguarda è di sottrazione.

      in generale lo spessore aiuta sempre. in fotografia il peso maggiore, molto maggiore è sulle spalle dell’autore. e vale per tutta la fotografia. sul ritratto credo ci siano una serie di equivoci. è la relazione sul percorso che intendi perseguire che fa la differenza. il grado dipende sempre da entrambi. e anche il darsi reciprocamente. e lo spessore non è detto che sia proporzionato alla fama. con adriana zarri e ferdinanda pivano, anche la loro è stata una partecipazione attiva. e questo sì, aiuta.
      grazie per il consiglio al tuo allievo. ciao!

  6. Una fotografia così come questo ritratto immagino crei dei contrasti di opinione perché sembra alla portata di tutti. Mentre invece non è affatto così e lo trovo bellissimo e non credo così accessibile.
    Lo scritto è una frustata: complimenti!

  7. I termini del post, come sai, mi trovano perfettamente d’accordo.
    Però ho una domanda. In questo e in altri tuoi ritratti siamo pur sempre in presenza di bei soggetti – donne o ragazze di bell’aspetto. Vedo comunque una scelta agevolata a monte. Ti è mai capitato di sfidarti a fotografare un soggetto (donna) difficile? palesemente fuori dai canoni? Per capirsi, la democraticità che vede in Pupo un soggetto con dignità fotografica pari a un Joe Strummer, è esportabile su questo altro piano? E se non l’hai cercato, il soggetto donna d’eccezione, ti ci sei mai trovato tuo malgrado, e come lo hai affrontato?

    • semmai laura è più complesso affrontare “bei soggetti”. il rischio è di evitare il motivo del fotografare: esprimersi.
      raramente una bella immagine è l’immagine di qualcosa di bello. lo dicevo quarant’anni fa, lo ridico adesso.
      però non ho ritratto solo donne di certa fattezza…
      o giovanni donne. pensa a fernanda pivano. adriana zarri. alice von platen.
      e anche tra le più giovani. comunque la differenza la fai tu. sempre.
      poi non si tratta tanto di concordare con ciò che ho scritto, questo può essere l’alibi – anche inconscio – per non affrontare ciò che la fotografia mostra. il punto è quello.
      ne riparleremo direttamente, che ne dici?

      • beh Pivano è Pivano…pensavo ad una donna anonima “non canonica” e mi chiedevo se la fotografabilità la riguarda…ma ne riparleremo direttamente di sicuro :)

        • nessuno è anonimo quando fotografiamo. o almeno quando fotografo :)
          bisogna uscire dal tunnel del ritratto, quello con le luminarie e i fuochi d’artificio.

          • E però, pur sapendo che non siamo d’accordo fino in fondo su questo, io continuo a vederci una connivenza fra fotografo e soggetto. Cioè, a voler uscire dagli stereotipi bisogna essere in due. O no?
            (conoscendo sia il fotografo che il soggetto, direi che lo volevano entrambi)

            • non ricordo il disaccordo Roberto :)
              be’ no dai, connivenza magari no. in fondo nessuno sta barando. oppure entrambi ma finisce ce si converge. tenendo presente che la persona ritratta non sa esattamente cosa stai vedendo tu. e ancor meno cosa stai facendo. poi c’è il poi: l’immagine rivelata. e lì si apre un ulteriore capitolo.
              quanto a questo ritratto a Barbara certo che la convergenza era consapevole, ci conosciamo. però mica è detto che funzioni meglio sai. questa volta sì. ecco

    • 28 in questo caso e qualche altro. prevalentemente 35. e questo vale per tutti i formati che uso. l’unica eccezione la faccio col banco ottico dove uso un “normale”. ma il banco è un altro luogo.
      mai l’85 per ciò che mi riguarda. perché deforma, appiattisce, e costringe alla lontananza. mentre ho bisogno di contatto e volume, profondità

  8. Ma quanto è bello questo ritratto…
    Immagine notevole senza tempo come sospesa. Grazie anche per il resto Efrem. Elenia

  9. Efrem caro, questo scatto mi appassiona perché trascina con sé secoli di storia di genere letta attraverso l’iconografia. Le tue riflessioni mi aiutano a rileggere tutti i tuoi ultimi scatti offerti. E allora, Voltaire, si Voltaire sta dietro di noi mentre il nostro sentire e la nostra cultura ci fanno accogliere la papera rispetto alla persona. E tracciamo linee diverse, disegnamo spazi altri in questa accoglienza. Magnifico. Resti un magnifico il palombaro ungarettiano. Lorella

    • grazie Lorella. ogni tanto il palombaro vedo che ritorna :)
      se però non sai accogliere la papera non sai neanche accogliere la persona. rispetto a voltaire abbiamo un vantaggio: l’evidenza di un fallimeto ideologico basato sull’antropocentrismo.
      che devia persino sull’approccio al ritratto. sembra un paradosso, ma non credo

  10. Un volto,una storia:occhi,sguardo,pelle,capelli,abito,tatoo,tutta una storia recintata in uno sguardo ed altro, infinite “letture”di vissuto,di aspirazioni,di lo5e,di sogni,di identità.L’infinito”io” assolutamente altro da “altri”,un unicum che dialoga con te senza parole ma ti penetra tutta la forza del suo essere….

      • non sento di avere una capacità di lettura delle foto limpida come la tua, al momento gli esami (di coscienza) non finiscono mai :) però questo scritto mi permette di poter leggere bene la tua foto e questo è un passo avanti

        • attenzione Maurizio! c’è anche un altro piano di lettura, il più importante: la struttura dell’immagine. per esempio per quanto sia semplice questa, ha un grado di complessità.
          e una relazione forte con l’ambiente che si intravede. va be’ se ci sarà occasione ne parleremo. non tanto di questa ma in generale.
          però bene che il tutto in qualche modo ti riguardi

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