Non è un escamotage. E con la raffica non ha niente a che vedere, anzi ne è la negazione.
Questo perché non amo i postulati.
Solo un attimo per dire della prima e di come ci sono arrivato: ero un ragazzino con la fotocamera nell’Irpinia terremotata, anno 1980.
Ho seguito diverse riesumazione di poveri cristi, cadaveri da una quindicina di giorni. Scattavo e vomitavo… vedevo poco e la terra si assestava sotto i piedi. Di continuo.
A casa, in terra ferma, ho selezionato e rimontato in un’unica sequenza di quattro immagini. Forse un po’ ingenua e didascalica, ma è la prima… la mia matrice. Quella che mi ha permesso di pensare alle altre.
Allora non le degnava nessuno… c’è voluto del tempo.
Non nasce perché non sai cos’altro fare: appunto non è un escamotage, semplicemente pensi in modo differente e non ti soffermi sul singolo frame.
E con la raffica non c’entra niente perché di ogni scatto ne hai la percezione. E se c’è da rifare, miri al singolo.
La sequenza è una short story nella quale il valore di ogni immagine che la compone appartiene all’insieme.
E l’opera va presa per quello che è: non è affrontabile per frammenti, non è scomponibile.
Per i magazine un vero rebus di impaginazione: serve spazio! E quello a disposizione è limitato. Per questo se è per loro che sto lavorando ricorro al dittico: pam pam! E hai una doppia pagina… una sequenza gestibile che li rincuora.
Per le pareti dei musei e delle gallerie no… riempiono bene. E le rare volte che mi sono affacciato, per quanto spinga il contorno mi sento piccolo.
Statica, come nel caso di Vasco Rossi, oppure dinamica per Sakamoto o Andreotti, la questione non cambia: è una composizione e ha bisogno di una regia. Il casuale non è contemplato. Se non nella natura del gesto, come nel caso di Vanessa Beecroft.
Nascono tutte dall’esigenza di aggredire e dilatare lo spazio, che a volte è stretto.
O comunque geometricamente imposto e indiscutibile.
Scusa, ma allora non potevi darti al video?
No, non potevo e non posso. Sono un fotografo, vivo di contraddizioni e fermo il tempo.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
scusa una domanda io vorrei le foto una per una di Nicola Savino non si può averle??? grazie mille cmq fantastiche foto|
!!!
se ho capito erika: vorresti vederle non in sequenza?
le sequenze mi sono sempre piaciute, perché raccontano fotogrammi di momenti, o visioni diverse di una stessa immagine.
nel mio piccolo ritraggo mio suocero che lavora in campagna, la sequenza della potatura delle viti, quella della legatura, la sequenza di bocciolo al suo esplodere in fiore, narrare fotograficamente. mi piace!
sto riflettendo su queste sequenze, l’idea di fare uno storyboard, se mi passi il termine, da un lato mi ricorda il fumetto, la striscia, mi riferisco ad esempio a quelle relative a UDS o Vasco Rossi, mentre ho una sensazione di crop per quella di Andreotti, ma sono solo sensazioni.
Mentre trovo molto interessante, in generale questo tuo modo di esprimere il linguaggio fotografico, una sensazione di voler far concentrare di più sui dettagli oppure di ricordare che nonostante la staticità del medium, c’è movimento, ogni sequenza ha un suo modo di “parlare”. Probabilmente ogni sequenza andrebbe analizzata singolarmente, perchè ci vedo una comunicazione diversa, accomunate tutte solo dalla sequenza stessa, perdona la dicotomia.
è uno storyboard molto spontaneo stefano, nel senso che si ha un’idea generale di percorso e si lavora poi su step abbastanza distanziati a meno di non volere sottolineare ossessivamente i passaggi. ma qui non ne ho pubblicate sul genere “ossessivo”.
la sensazione di taglio forse è data perché sono io a muovermi, per piani lungo la stessa direzione… ben separati tra loro ma ravvicinatissimi nel tempo. sono però immagini distinte.
non so se comunicano cose diverse, certo che essendo short story potrebbero in effetti prendere un tono diverso. vero anche che la cifra ruota intorno alla tenuta dell’insieme. e se non c’è si sfalda tutto. non sta in piedi. e forse hai ragione, ognuna ha la sua storia.
Guardando con attenzione si vede che sono scatti diversi, fatti su piani diversi, mi ripeto e’ un bel modo di comunicare.
Confermo la mia impressione, hanno in comune solo la sequenza ed e’ molto interessante osservare come da uno stesso filo conduttore tu sia riuscito ad esprimerti diversamente…
forse esistono due filoni, che distinguono e accomunano: quelle dinamiche (si muove la fotocamera), quelle statiche (si muove il soggetto). dittici a parte questo è ciò che intravedo come elemento di distinzione dei percorsi. e ad ogni soggetto il suo.
Questo e’ quello che definisco una comunicazione costruttiva, anche se del resto leggendo con piu’ attenzione il tuo testo c’era già tutto…
Ciao Efrem sei per caso un appassionato cinematografico? Pensi di avere delle radici forti nell’immaginario del cinema? Intendo come persona prima che come fotografo…non che un fotografo non sia una persona :))
ciao marco… be’ certo, il cinema mi appassiona. ma la passione per la fotografia è superiore. ed è un modo altro di raccontare. che probabilmente mi è più congeniale. con le sequenze il rimbalzo al cinema, o al video o comunque a tutto ciò che prevede immagini in movimento, può sembrare immediato. e forse lo è. ma la sequenza che pratico resta nell’ambito che la genera, e che ha un dinamismo tutto fotografico. perché?
Questa di Andreotti è superlativa! Mi ricorda anche molto il film di Sorrentino, “Il Divo”. Cero che deve fare un certo effetto essere così vicini al Presidente! Ma lui come ha reagito?
è stato molto cortese diletta…
mentre pensi e poi realizzi il piano sequenza sei concentrato su ciò che fai, sul singolo fotogramma. in effetti però non ti nascondo che il terzo, quello decisamente ravvicinato, mentre avevo gli occhi, i suoi, dentro in macchina, a circa 40-50 centimetri, insomma… è pur sempre lo sguardo di andreotti. per come è presente nella memoria di tutti noi. da sempre.
Guardo e riguardo le tue sequenze, sorpreso ogni volta dalla potenza narrativa di questa tecnica, vero amplificatore espressivo che suggerisce il doppio, il triplo, ma tutto moltiplicato per “n”. Ogni frame è un piano diverso, un capitolo che si somma al precedente, ampliando la percezione che si ha del soggetto. Questa sintassi è proprio quella di un racconto visuale…
Bellissime tutte, le mie preferite: 4, 7, 8.
ecco claudio, la narrazione… quella che è richiesta anche alla singola fotografia, e che emerge anche da dettagli apparentemente insignificanti, nella sequenza forse viene spalmata lungo un percorso che in qualche modo si amplia. permettendo all’autore di sottolineare. quasi scherzando la rigidità della gabbia… con un semplice moltiplicatore. la vera incognita è proprio “n”: quante volte moltiplico?
e ogni sequenza ha il suo numero. che in qualche modo riesci a predeterminare.
sì, la molteplicità “n” è uno dei fattori compositivi, caso per caso, lo schema della narrazione che, come dici, nulla ha a che vedere con la continuità, è frammentazione, tempo congelato a cui serve solo una regia…
che nel caso della sequenza andreotti è stato facile predeterminare. più complesso per la beecroft.
per la prima, irpinia, confesso che è stata involontaria. e si vede. ma per me ha una grande importanza. per questo è qui e anche sul mio sito.
con tutti i manifesti limiti.
bellissima la definizione di fotografo
be’ stefano, in fondo è così che siamo.
Hai ragione Efrem, Terremoto è un po’ ingenua nella sua mancanza di premeditazione ma è comunque estremamente forte! Diretta! Fa intravedere cosa sarebbero state le altre dopo: lì c’è il seme. Bravo a coglierlo, oltretutto nel 1980!
Ma cosa ci facevi in Irpinia?
Le altre sono sinfoniche, e il piano di avvicinamento a Andreotti da brivido.
ero un ragazzo valeria, tra l’alto militare in convalescenza, e mi ero aggregato a uno dei vari gruppi di volontari partiti da milano.
anch’io con l’intento di dare una mano, ma poi vista la situazione di profonda apatia della popolazione fatte salve le solite eccezioni, ho preferito fotografare.
sinfoniche? non so, però mi piace… andreotti ho provato a ritrarlo per come era ficcato nella mia memoria da sempre. molto cortese tra l’altro.
Quindi invece i dittici sono un “escamotage” ad uso magazine?
non esattamente valeria… un po’ provocatoria la mia affermazione. anche se è vero che per i magazine amministrare una sequenza è complesso.
il dittico condensa ulteriormente. in questo forse è più coerente con lo spirito di un redazionale. forse.