Donne che fotografano la donna…
Perché ho sempre notato, nel confronto, la diversità dello sguardo maschile, che spesso non mi piace.
Non credo esistano differenze se parliamo d’altro.
Anzi nego ci sia un’arte maschile e una femminile. Qualsiasi linguaggio si usi.
Ma se il soggetto diventa la donna, sembrano esserci davvero due mondi distinti.
Due sguardi diversi. Che in fotografia si accentuano.
La cosa che immediatamente noto è il rispetto.
Che è trasversale, cioè indipendente dalla qualità espressiva e dall’approccio.
Potrebbe essere, la donna, tende e fiorellini o puttana di strada, giusto per tirare gli estremi: lo sguardo dell’autrice non è mai volgare.
Non nasconde e non sottende niente.
Semmai è intimo. Semmai è davvero complice.
E il soggetto donna, fosse anche desiderio confessabile solo attraverso il medium fotografico, è sempre ricco di dignità.
E soprattutto è davvero centro dello sguardo.
Tutta. Non sezione carnale simile al naufragio maschile sulla sponda tette e culi. E figa.
Eppure c’è durezza… in alcune autrici c’è.
Ma non trovo rituali cannibali.
Se poi si vuole entrare nello specifico rappresentativo, non vedo idealizzazione.
Non vedo stereotipi tanto presenti nell’iconografia contemporanea, propria soprattutto di molti magazine… che invece mi sembrano attaccati alla parodia monotona della perfezione.
Ma anche fuori dal fotografico, ma che appeal ha una bambolotta di plastica, tutta liscia e tutta panna?
Ma che idea avete del desiderio?
E anche quella rara autrice che emula il trend subculturale mediatico – qualcuna mi capita di intercettarla – si vede che non ci crede.
Ci prova e basta. Poi le viene l’esaurimento nervoso. Garantito.
Credo insomma in uno specifico sguardo femminile sulla donna.
Dal quale dovremmo trarre le dovute conseguenze.
Fossimo anche il direttore della super mega rivista che fa sbalordire il mondo… ma sarà vero poi?
Cinque fotografie e sei domande:
Le autrici che ho interpellato, perché le conosco, sono: Laura Albano, Elisa Biagi, Silvia Cardia, Monica Cordiviola, Dana de Luca, Isabella De Maddalena, Iara Di Stefano, Benedetta Falugi, Cinzia Garbi, Antonella Monzoni, Maria Serena Patanè, Vanessa Rusci.
Le risposte si trovano nel PDF dello spazio di ogni autrice.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
LAURA ALBANO
From the series Confidenze intime, 2000.
Color negative film
© Laura Albano. All Rights Reserved R I S P O S T E
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ELISA BIAGI
Digital camera
Senza titolo – Autoritratto, 2015
Senza titolo – Autoritratto, 2015
kinny love, 2012 – From the series Solo andata
Chiara Gelmini – Trieste, 2014
Foto di scena di un cortometraggio in collaborazione con Rinarrate e il centro antiviolenza Casa delle donne
Complici – Milano, 2015
© Elisa Biagi. All Rights Reserved R I S P O S T E
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SILVIA CARDIA
From the series Woman way, 2014.
Digital camera
Modella: Arianna Besana
© Silvia Cardia. All Rights Reserved R I S P O S T E
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MONICA CORDIVIOLA
Bellezze da postumi di una notte di eccessi.
Estrapolazione della poesia della realtà più che ricerca della perfezione, 2014 – 2015
Digital camera
Modelle:
Alessandra Giulia La Bassi, Francesca Matisse, Giulia Privitera, Francesca Franzon
© Monica Cordiviola. All Rights Reserved R I S P O S T E
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DANA DE LUCA
From the series Corpi liquidi, 2007 – 2012
Digital camera
© Dana de Luca. All Rights Reserved R I S P O S T E
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ISABELLA DE MADDALENA
Digital camera
From the series A longer leave for Polish mothers, 2013
From the series Lipsticks & Babies, 2011
From the series Lipsticks & Babies, 2011
From the series Norway, every mother’s dream, 2012
From the series Nome: Mohamed. Nazionalità: Italiana, 2008
© Isabella De Maddalena. All Rights Reserved R I S P O S T E
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IARA DI STEFANO
Insonnia, 2014
Digital camera
© Iara Di Stefano. All Rights Reserved R I S P O S T E
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BENEDETTA FALUGI
Color negative film
Senza Titolo, 2011
Senza Titolo, 2010
Senza Titolo, 2013
Senza Titolo, 2009
Senza Titolo, 2009
© Benedetta Falugi. All Rights Reserved R I S P O S T E
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CINZIA GARBI
Digital camera
Regarder, self timer – 2010
Silent – self timer, 2009. From the series Suicidi
Combatterò dalla tua parte, 2005. From the series fantoccio
Muoviti libera, 2008. From the series Pooupè
Morire di gioia – self timer, 2011. From the series Suicidi
© Cinzia Garbi. All Rights reserved R I S P O S T E
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ANTONELLA MONZONI
Madame, 2005 – 2008
Color negative film
La vita discreta e appartata di una donna con un cognome che racchiude il mito delle origini della fotografia: Henriette Niépce, pronipote di Nicephore Niépce, prima moglie del regista Gillo Pontecorvo e sorella della famosa Janine, una delle prime photoreporter.
© Antonella Monzoni. All Rights Reserved R I S P O S T E
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MARIA SERENA PATANÉ
Giorgia, 2008. Digital camera
Nunzia, 2008. Digital camera. From the series Linosa
Milano Notte. Rosa, 2009. Digital camera
San Berillo – Brigida, 2010. Digital camera
Tiziana, 2007. B&W negative film
© Maria Serena Patané. All Rights Reserved R I S P O S T E
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VANESSA RUSCI
So Ugly, 2006
Digital camera
© Vanessa Rusci. All Rights Reserved R I S P O S T E
Continua…
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Pingback: Un’indagine di Efrem Raimondi: Donne sulla donna -2 | Un'altra Donna. L'impudenza dello sguardo.
Arrivo un po’ di rincorsa, ma prima di chiudere il cerchio vorrei poter esprimere due parole soprattutto rivolgendomi ad Alessandro che mi ha tirata in causa chissà dove e chissà quando.
Mi chiedo intanto quale sia il sottile confine che separa un fotografo amatore da uno professionista quando si parla di SGUARDO FEMMINILE. Come penso sia stato già detto e ridetto non era il “cosa” ma il “come”.
Quando mi viene chiesto di ritrarre una donna (perché in questo caso si parla di donne e meno di modelle) c’è sempre un motivo che va al di la della rappresentazione fisica fine a se stessa. Mai due tette sono fini a se stesse ne mai due occhi lo sono. Il mio impegno è quello di restituire al soggetto la sua sfera emotiva attraverso una trasposizione fotografica interpretata. A volte non scelgo io dove fotografare…volutamente…(a volte!) ma voglio sfruttare le situazioni così come si presentano… senza “rappresentare” (come dici tu) un qualcosa di pensato. Quindi, si… come in quel caso specifico, in un qualsiasi letto di un qualsiasi posto in Italia. La modella no, però! perché a differenza di come la vedi tu (modella) per me è una donna, dotata di sentimenti di emozioni, di fragilità che appartengono a lei in maniera diversa rispetto ad un’altra. Il fatto che tu abbia tradotto il tutto con una masturbazione, la dice lunga sulle differenze di sguardi fra uomo e donna. Ma non ne faccio una colpa ne agli uni né agli altri. Ho provato a piangere ed emozionarmi mentre scattavo un semplice ritratto. Penso che il segreto dello sguardo femminile sulla donna sia la capacità di saper ascoltare molto e veramente. Perché la donna si sa…ha bisogno di essere ascoltata nel profondo….e chi può farlo meglio di una donna?! Sfido qualsiasi amatore, se poi uomo…..
Detto questo e nonostante tutto amo profondamente il punto di vista sintetico dell’uomo che come ho dato in risposta nell’intervista ha la capacità di ritrarre la donna nella sua essenzialità, femminilità, senza girarci troppo attorno. Poi… mica di tutta un’erba si fa un fascio!
Con affetto… (ci mancherebbe!)
Silvia
In realtà, EB, la mia impressione è che l’intervista racconti la tua storia, mentre il tuo commento ha un tono più generalista, il che mi sembra coerente con il fatto che un blog è un salotto, un’intervista è un confessionale.
Per questo motivo, nella mia personale idea del blog come luogo aperto dove ognuno porta un mattone, mi va bene che tu cerchi di rispondermi “in maniera generale”, non può che giovare al coinvolgimento di quante più persone possibili.
@Vilma Cerco di rispodere in maniera generale ma sono un po’ stranita. Nel senso che in realtà non dici nulla in contrasto con il mio pensieri. Ma inserisci una serie di “se” e di “ma” che non collimano col mio pensiero perché hai scelto di concentrare la conversazione sulla “fotografia consapevole”, come se tutti la fotografia prodotta si ponesse il problema della rappresentazione ogni volta che fotografa un soggetto.
Lo sguardo della donna sulla donna non è un progetto, non è necessariamente un fine. È uno sguardo. Ciò non toglie affatto responsabilità al fotografo ma ammette che il fotografo è donna. Niente di più o di meno.
Nella mia spiegazione parlo di “fare fotografia”, mentre tu dai per scontato che ci si approcci al fare fotografia già con intenti professionistici. Mentre io nel mio esempio spiegavo proprio la necessità di un’educazione all’immagine che proprio materialmente manca oggi, non ce l’abbiamo se non a posteriori. È un linguaggio la fotografia esattamente come la scrittura. C’è chi poi decide di fare lo scrittore e continuerà a studiare diventando un professionista, c’è chi no, ma a scrivere un testo complesso come questo e a leggerlo siamo in grado tutti perché abbiamo una formazione che inizia nel gioco e da bambini e si articola nel tempo arricchendosi sempre di più.
Il mio commento affronta un tema che non è quello dello studio dei teorici, dei maestri. Ma di Munari. Che poi io a 28 anni studiassi Bartes non ha niente a che fare con il fatto che sviluppassi stampe di foglie per contatto a 2anni. Il mio commento va alla radice, e non ammette che vi sia invece questa prepotenza del tecnico detentore di un sapere solo a posteriori gioco forza. Oggi, generalmente, alla fotografia come linguaggio approdiamo “dopo” e già mentalmente formati. Manca il prima. E manca proprio il contesto educativo.
Il professionista, l’intellettuale, noi donne qui sopra non siamo più inconsapevoli e non abbiamo nemmeno diritto di deresponsabilizzarci. Ma dobbiamo riconoscere i nostri limiti “fisiologici” e chiederci come mai siamo ad analizzare tutto dopo che la frittata è fatta. Come creare un contesto che permetta un modo di fare fotografia e di leggerla -fotografo e osservatore- ben diverso da quello in cui siamo calati oggi, e per farlo bisogno essere un po’ più onesti. Quel che hai detto è vero ma è vero “dopo” prevede una maturazione di una fruizione delle immagini che invece inizia molto prima da bambini e per gioco. [i nostri bimbi che scattano col telefonino ne sono la provo, lo FANNO fotografia a tutti gli effetti e si comincia esattamente così]
Devo anche aggiungere che io davo per scontato che chi commentava avesse letto le interviste nell’articolo e che quindi quel mio commento fosse un’appendice alle mie risposte, in cui parlo proprio di contesto. Certo è che io mi sono espressa nell’intervista in maniera “lata”. Ossia ho portato la mia esperienza in cui, crescita in una situazione decisamente sui generi, ho la dimostrazione concreta che la differenza nell’occhio tra generi può anche non esserci affatto e dipende proprio dal contesto. La pratica della fotografia è proprio questo, e va ben oltre alle analisi dell’immagine di cui ci serviamo a posteriori “quando le frittate son già fatte”.
Quel che ho usato come poi come monito, tu lo hai interpretato come “deresponsabilizzazione” del fotografo. È proprio il contrario. E vale tanto più per il fotografo “professionista” in questo caso, che non può non tenere a mente che vive immerso in contesto in cui tantissimi fattori lo condizionano, soprattutto nella scelta dello scatto e che anche quando pensa di essere “libero” non lo è affatto. L’unica cosa di libero che ha è la consapevolezza del contesto e del suo percorso.
Poi credo che abbia poco senso parlare di estetica dei media se si ammette che ciò che i fotografi producono è ben lungi dall’essere liberamente goduti dal pubblico. :D
Ossia, condivido spesso il pensiero di Costa, così come quello di Galimberti con cui potrebbero per “nomadismo” andare a braccetto, tuttavia fa un’analisi che non tiene conto che oggi c’è una sostanziale differenza tra produzione e percepito. Ossia, i nuovi media con cui facciamo i conti hanno piegato l’immagine da quando esiste la targettizzazione (ho tentato di spiegarlo meglio nell’intervista). Siamo stati abituati ad una linearità che in questo momento storico ci è sparita sotto i piedi. La fruizione quotidiana dell’immagine non é legata ad un tempo, ma “puntualistica” ossia frammentata e separata. Questo sistema che si basa sulla “connessione semplice” crea una nuova fruibilità dell’immagine che va oltre la ricerca estetica perché la bypassa.
:) Tu dici che non basta prendere per mano una macchina fotografica per gioco, ne sono convinta, ma sono altrettanto convinta che invece sia proprio nell’educazione per gioco all’immagine che ci sia speranza per un futuro dove lo sguardo si rivolga all’individuo e il genere ne sia solo una delle connotazioni, come occhi castani, e dita nodose.
Sono totalmente d’accordo. Un altro sguardo indipendentemente dalla resa fotografica. Per esempio non tutte queste immagini mi piacciono però è comunque un’altra cosa. Grazie!
@Vilma io non prendo me stesso sul serio, prendo questo argomento sul serio perché è un fattore chiave di dove sarà l’umanità tra cento anni, o anche prima e non riguarda solo la fotografia ma il complesso del ruolo della donna nella società. A me importa di cosa lasciamo alle future generazioni, siamo responsabili e le nostre azioni di comunicazione anche per immagini sono parte di questa responsabilità.
@Efrem mi sembrava palese ma confermo, le differenze sono tra chi sa esprimere per immagini qualcosa di differente e dirompente e chi non è capace di farlo a prescindere da tecnica e attrezzature che non contano in questo senso. O ce l’hai o non ce l’hai e non c’entra nulla di che genere sei. Altrimenti se contasse come invece sostieni tu e altri qui allora ti chiedo cortesemente di spiegarmi come mai se è così vero, e dunque rilevante, che esista un punto di vista femminile, dei 31 membri con diritto di voto della prestigiosissima AFIP di cui anche tu giustamente fai parte solo 6 sono donne, tralasciando l’età media per la quale a spanne direi che tu sei uno dei giovanotti. E te lo chiedo perché forse quello potrebbe essere il luogo deputato a far si che le cose cambino visto che molti dei tuoi esimi colleghi maschi che fanno parte di questa associazione prestigiosa sono i primi artefici del mantenimento di un certo punto di vista stereotipato dell’immagine della donna. Non potreste essere voi i primi e i più autorevoli a iniziare in concerto e in concreto un’epoca di cambiamento di approccio di cui poi potrebbero beneficiare tutti e in primis le donne?
Alessandro – sul fatto che la fotografia c’è o non c’è coincido chirurgicamente… e nessuna parola, nessun artificio mediatico può cambiare la questione. è da trent’anni che la vado menando ‘sta roba, quindi sfondi una porta spalancata. e il genere non c’entra. ma non mischiamo le faccende. che sono distinte… questo post non sostiene le quote rosa! sostiene, relativamente ma con convinzione, che lo sguardo di una donna SULLA DONNA restituisce un’immagine della donna diversa dalla media del prodotto maschile. anche l’esplosione di un paio di tette… tutte enormi a riempire il fotogramma. non fosse altro che per un diverso grado di proiezione.
ma il fatto che mi riguarda è che io non ho alcuna posizione ideologica. mi sono limitato a registrare e rimbalzare una cosa che io vedo. se altri non la vedono, non la vedono. cosa ci possiamo fare? nulla.
e perdonami, l’afip non c’entra niente. con lo sguardo sì o lo sguardo no, non c’entra niente.
ah, volevo anche citare un’altra fotografa che di sicuro col suo sguardo di donna ha creato delle immagini di una potenza rara, graciela iturbide, e che credo che consapevolmente l’abbia usato.
mi inserisco nella discussione a distanza di un po’, ma vorrei chiedere lumi del perchè non ci dovrebbe essere una differenza di sguardo tra un uomo e una donna. io personalmente non mi auguro le quote rosa, ma mi auguro che uno sguardo femminile venga finalmente preso in considerazione, perchè esiste, perchè c’è e anche da sempre e che è profondamente diverso da quello maschile. io non credo di volermi augurare la ‘parità’, se questa significa non vedere e portare alla luce le differenze o fare finta che non esistano. e credo che ogni donna fotografa voglia essere considerata come, appunto, donna fotografa.
EB – non sono d’accordo sull’idea del fotografo dilettante allo sbaraglio, autodidatta immaturo che ha cominciato un mestiere giocando, suggestionato dal contesto, in una società dell’immagine in cui è casualmente nato, come se la società dell’immagine fosse una scelta calata da qualche dio e non il risultato di una sommatoria di azioni umane.
Credo che ogni forma espressiva sia sempre, comunque e per fortuna frutto, almeno in parte, della “predominanza del contesto in cui siamo stati educati” e che abbiamo contribuito a creare, Richard Dawkins avanza persino l’ipotesi di una evoluzione culturale accanto a quella genetica tramandata dal meme che si affianca al gene e conserva e trasmette, appunto, le modifiche culturali utili indotte dal contesto.
Il che, mi sembra di capire in conclusione, farebbe emergere i contrasti, ammesso che ci siano, tra stereotipati schemi costrittivi (sociali? psicologici? culturali?) e libertà individuale in una sterile lotta che snatura le reali problematiche anziché affrontarle in modo responsabile. I più irresponsabili sarebbero i fotografi, paghi “del fare puro e semplice”, un po’ come i pesci, che nulla sanno dell’acqua in cui pure vivono.
E ciò mi ricorda una frase di Barnett Newman, “aesthetics is for the artist as ornithology is for the birds”, secondo la quale l’ornitologia interpreta (non si sa con quale margine di veridicità) i comportamenti degli uccelli nel loro più assoluto disinteresse.
Però, tra i pesci/uccelli e l’uomo, ci sta in mezzo la coscienza che conosce e giudica, l’uomo è consapevole e questo carica il suo operare di una serie di responsabilità che i pesci e gli uccelli neanche se le sognano.
A differenza dei pesci, l’uomo è una ‘esseità’ dove nulla va perduto, da quando si è sollevato sulle zampe posteriori a oggi, è scrittore, poeta, pittore, architetto, da poco anche fotografo perché questi passaggi evolutivi sono scritti nel suo DNA memetico.
Tornando alla mia obiezione iniziale, prima che i lettori comincino a sbadigliare: migrazione e ibridazione sono le parole chiave della contemporaneità, oggi più che mai è ” [.….] pressoché impossibile e privo di senso delineare un’estetica dei media come entità separate, al pari, ad esempio, di un’estetica della pittura o della scultura; ogni medium si presenta qui, infatti, come un sistema complesso di relazioni e di interazioni e non come un’entità inerte e isolata. [….] E’ maggiormente vero che mai si è verificata una interpenetrazione ed una modificazione delle essenze specifiche come quelle che è dato riscontrare nell’attuale universo dei nuovi media.” (Mario Costa, “Estetica dei media. Avanguardia e tecnologia”)
Nuovi media con i quali la fotografia dovrà fare i conti.
E non basterà prendere in mano per gioco una macchina fotografica (come del resto non è mai bastato).
Vilma: concordo pienamente con la tua critica a Sartori!
….. amen!
ps: accidenti, Alessandro, non è che ti prendi un po’ troppo sul serio?
Ecco qua uno dei colpevoli negazionisti che per aver detto che trovavo qua troppa retorica sia nei concetti che nei lavori portati ad esempio si è dovuto giustificare visto che la risposta iniziale di Efrem al mio commento è stata un perentorio: ora basta parlare a gratis!
Entrato nello specifico del mio pensiero è arrivata a ruota Vanessa a dire che ho sparato a zero concetti banalotti e superficiali su alcune delle autrici qui presentate. Per tirarmi dentro la discussione qui sul blog leggete più su il pistolotto su superficialità, mancata conoscenza adeguata di Leibovirz e Arbus e in altra sede altre punzecchiature tra cui vaghe accuse che io non lascerei spazio a pensieri diversi dal mio. Allora perché sono ora qui? Per dire solo una cosa: io non ho insultato nessuno né ho messo in dubbio le capacità delle autrici qui presentate, anzi direi che ad opera di Vanessa è stata fatta proprio l’operazione contraria sul sottoscritto. Non credo che io abbia compiuto il reato di lesa maestà nei confronti di Efrem che ho invitato ad un confronto vis a vis che spero possa interessargli. Vi lascio con una considerazione: il giorno che sarete capaci di guardare oltre il fatto di essere maschi, femmine o qualsiasi altro genere e guarderete all’essere umano e alla sua capacità di avere un occhio fotografico veramente innovativo e libero allora avremo davvero una possibile chance di cambiare le cose anche in ambito commerciale. Fintanto che farete mentalmente riferimento a differenze di genere rimarrete al palo perché lo status quo della società mondiale, con esclusione della sola Israele, è quello di una società a stampo maschile e così facendo non la cambieremo e resteranno chiacchiere da salotto intellwttualoide. La rivoluzione è l’annullamento dei generi, la parità effettiva e il riconoscimento di chi ha le doti e chi non le ha senza zone di protezione e avvilenti quote rosa. Abbiamo tutti un destino ed è finire in polvere. Il tempo è un galantuomo e dirà alle generazioni del futuro chi ha veramente inciso con le sue immagini sulla corteccia della memoria visiva dell’umanità. Ecco il brutto, sporco e cattivo ha finito e torna nella sua melma. Statemi bene, vi voglio a tutti un mondo di bene anche solo per aver sollevato l’argomento.
Alessandro – solo per verità di cronaca se citi la mia risposta a un tuo commento dovresti appunto citarlo… se no è un po’ monco. o no?
però fa niente… après. con una domanda: vuoi dire che non esiste uno specifico sguardo femminile sulla donna? che poi è l’origine e il senso di questo post…
Laura – “Homo videns – televisione e post pensiero”, anch’io lo ritengo un libretto passatista (peraltro datato 1997!), restaurativo e retrogrado, basato su una conflittualità tra l’uomo che legge e l’uomo che guarda inventata ed insensata.
il concetto di “conoscenza” del mondo dell’ “homo sapiens” e di “visione” del mondo dell’ “homo videns” non sono poi così distanti e proprio nell’arte visiva si annida il germe di quello che Sartori chiama, con ingiustificato timore, il post-pensiero, il linguaggio del video-bambino, che integra concetto astratto e visione, percezione visiva ed intelligenza cognitiva.
“homo videns”, pessimo libro – tra l’altro.
Caro Efrem, certo, ogni confronto arricchisce tutti. Grazie a te per la Tua “tribuna”. La nostra partecipazione, rarissima in generale per troppa passione (ahimè anagrafica) al confronto “dal vivo”, è la prova più lampante della stima per Te e i tuo argomenti. PdP
PdP – perdonami carissimo, né agitatore né moderatore E… possiamo discutere di tutto. ma questo è abbastanza noto
(per Laura A., Vanesa e l’agitatore, pardon moderatore E.) …”I cosiddetti primitivi sono tali perché nel loro linguaggio primeggiano (fabulazione a parte) le parole concrete, il che da comunicazione, ma pochissime capacità scientifico-conoscitive. E, di fatto, i primitivi sono fermi da millenni al piccolo villaggio e all’organizzazione tribale. Per conto, i popoli avanzati sono tali perché hanno acquisito un linguaggio astratto – che è anche un linguaggio a costruzione logica- che consente la conoscenza analitico-scientifica..”(Giovanni SARTORI) …………..alcuni considerano le citazioni mancanza di fantasia o supponenza. Data l’oceanica vastità dell’argomento che sembra essere stato l’ispirazione per Moebius penso sia la sintesi migliore di quello che penso. PdP
PS: se si prende la cosa dal lato positivo, come spero partecipando ad un sano sereno e amichevole confronto (legittimato, ricordate?) affermo che le risposte delle autrici sono “ancora” più interessanti delle loro fotografie.:-)
Concordo sul discorso che l’argomento porti naturalmente su troppi fronti, tutti a mio avviso degni e importanti, ma vorrei rimanere sullo sguardo della donna sulla donna, i commenti sparsi (social e qui) non hanno fatto altro che confermare l’idea che avevo, anzi l’hanno amplificata: il tema è scomodo, muove tanto…
O si snobba, che cmq è una reazione, che nega da una parte ma che sottolinea dall’altra, o si attacca. Si snobba perchè si va al nocciolo della fotografia, bypassando logiche di mercato e di marketing, per cui: ma chi se ne frega, le solite boiate… si attacca perchè accettando la diversità, riconoscendola, si mette in discussione tante cose: verità, status… potere… spaventa perchè sembra voler parlare di merito o di superiorità, quando invece si parla di diversità…
Sempre in alcuni post, mi dispiace che la conversazione poi si sia frantumata in vari Social, ma fa parte del gioco, per cui fidatevi, viene citata una Leibovitz (perchè lesbica e non donna) e mi chiedo se davvero chi la cita conosce il suo lavoro, se ricorda ad esempio le critiche subite subito dopo l’uscita del Calendario Pirelli 2000 dove la Casta non rientrava nello stereotipo classico della donna Pirelli, viene citata una Arbus, oggi assolutamente (spero) assorbita, ma non certo nel momento della sua uscita, io vorrei citare una Sherman, una Goldin… e far notare numericamente quanti sono i nomi… insomma credo che si si vuole affrontare seriamente l’argomento, bisogna uscire da una certa posizione di politically correct e dall’ipocrisia.
Condivido totalmente il punto di vista di EB, e il tema è vastissimo… e sì c’entra la cultura ma spingo volontariamente l’accelleratore e chiedo di fare un giro su un altro fronte: i media… in fondo c’è una domanda su questo no? perchè lo stiamo accuratamente evitando?
Dove è lo sguardo femminile nei media? Quello che io ho intercettato qui in queste fotografie? Non si parla di gusto, qualcuno ha preso e commentato alcune autrici, non qui, ma spero che un giro se lo faccia presto, dicendo che qualcuna assomiglia a questo o a quel fotografo umano e deducendo quindi che la diversità non c’è… ma il metro non è questo a mio parere, la domanda è sullo sguardo… Esite una diversità e secondo me questa diversità porta nuovi orizzonti, porta nuove riflessioni, ma che spazio ha questa diversità?
Quali sono i media che danno spazio a questi sguardi?
Anni fa ho partecipato a Belvedere Festival, Festival interanzionale organizzato dallo IED di Roma sulle visual magazine, per due edizioni, mi ripeto, Visual magazine da tutto il mondo, tante donne, tanti uomini tante ricerche interessanti, coraggio degli editori, non solo donne di plastica, non solo operazioni di marketing, ma Fotografie, ricerca… Ossigeno vi assicuro… e no non sto andando fuori tema, questo c’entra e c’entra con la Fotografia…
EB si credo ci sia da camminare tanto, in tantissimi argomenti trasversali… personalmente continuo a fare quello che sento, provo a non accettare compromessi, fotografo la donna da donna, mandando quello che io penso e vedo… Potete dire tutto ciò che volete, ma nel mio percorso, nella mia esperienza (ho 44 anni, ho iniziato a 18) mi scontro quotidianamente con la differenza del mio sguardo con quello maschile… la cosa cmq non mi ha fermata, non mi ha bloccata, ho avuto anche una gran fortuna, crescere con grandi donne fotografe e aver studiato molto… concludo dicendo che non parlo di “buona” fotografia, parlo di Fotografia…
Chi scriveva che crescendo lontane da certe dinamiche si cresce più vicine a se stesse, io a un certo punto ho chiuso, come fece Luoise Bourgeois, non per frustrazione, ma perchè volevo fare. Dite ciò che volete io faccio… Ci si deve difendere a un certo punto. Nessun rimpianto. Davvero, all’estero, purtroppo, ho trovato interlocutori più disponibili a ascoltarmi… nessuna velleità nelle mie intenzioni se non voler fare fotografia… scusate parlo di me, ma di me conosco e del mio lavoro, per cui mi viene meglio.
Un’ultima cosa a quel messaggio che parlava di amicizia tra le autrici e Efrem Raimondi (questo la dice lunga su come stanno le cose,no?): Si potrebbe trattare di stima fotografica invece di amicizia?
In pace…
e disposta a continuare a parlarne a lungo…
Ciao Pdp, ovvio garantisco! Avrei bisogno di più elementi perchè se prendo solo quello che mi arriva, non condivido il discorso Cronaca/Interpretazione, anzi forse per come la vedo io si può arrivare anche all’opposto… ma come dici spesso “bisogna accordarsi sulle parole”… per cui spiegami, fammi capire… però almeno ammetti che la differenza c’è, la registri, questo è già il punto, e sullo studium e l’arroganza, la vuotezza, ok può essere, non stiamo facendo un elogio a tutta la fotografia femminile in assoluto, ce ne sarà di buona e di pessima, ci mancherebbe, si parla cmq di registrare una differenza, che invece viene negata, snobbata, se richiamata citata come femminismo… EDIOSAPERCHE’ lo vorrei capire invece, perchè registro paura (non dico di te, parlo di tante reazioni, sul social ad esempio ho letto attacchi neganti: banale, inutile, a questo articolo), registro chiusura, si pensi alle riviste, perchè tutta questa collera, perchè questa vivisezione su ogni foto o intenzione? perchè questo enorme no? Forse i peggiori sono poi quelli che dicono di non sentire la questione, di vederla superata… oggi non è più così… sarà…
Su questa affermazione: “L’uomo, con il rispetto e la umiltà di affrontare un Argomento Sacro, difficile, tortuoso e PERICOLOSO, affronta profondamente se non religiosamente l’argomento e ne da forzatamente un’ INTERPRETAZIONE” bhe dipenderà dall’uomo no? ma si lo dici… intelligenza… da fammi capire… alla fine nel confronto si cresce e poi dai tu ammiri lo sguardo femminile…
Ecco centrato il punto della questione dal mio punto di vista. Questione di educazione all’immagine. Ma soprattutto al fare immagine. Sono cose molto diverse tra loro.
Provo a spiegarmi. Come approda al fare fotografia una persona (chi ha letto le interviste sa che non mi interessa affatto il genere perché fin qui siamo davvero tutti uguali). Ebbene in genere le persone non si approcciano alla fotografia come accade ad esempio con lo scrivere.
Ho 4 anni, imparo a scrivere per segni puri l’uno di seguito all’altro a comporre quello che è il nome con cui mi chiamano, e – l – i – s – a. È puro esercizio di copiatura e gioco, che col tempo si trasforma in padronanza della forma di ogni lettera sulla pagina bianca. E nel crescere lettere diventano parole, le parole frasi, le frasi testi. E oggi quando scriviamo un testo riflettiamo, non pensiamo più alle lettere ma al contenuto, perché la padronanza della tecnica è acquisita. È così per ognuno di noi, non ci badiamo più è ormai scontato il processo che ci porta alla stesura di una frase. Un processo acquisito attraverso anni di piccoli step, e mai completamente finito. Ciò che è veramente interessante è il fatto che allo stesso modo, diamo per assodato il processo, ben più complesso, che ci permette la comprensione di un testo, un giornale, una recensione, uno slogan.
Ma in fotografia? Io scommetto che la maggior parte dei fotografi approda alla fotografia quando qualcuno gli da in mano la macchina fotografica, con la reverenza del mezzo tecnico e gli fa capire cosa e come deve inquadrare. Quanti dei fotografi di oggi hanno giocato? Quanti hanno iniziato godendo del fare puro e semplice?
Siamo in una società dell’immagine dove paradossalmente veniamo catapultati da “formati”. Arriviamo davanti ad essa tutti da autodidatti e impreparati. E ci forma il contesto. Per assurdo, impariamo in questo modo a maturare una capacità di lettura delle immagini, e anche del farle, proprio in una società che basa gran parte della comunicazione sull’immagine, in ogni sua forma.
Le conseguenze sono che il genere emerge sia nella creazione dell’immagine, sia nella rappresentazione del soggetto, in base alla predominanza del contesto in cui siamo stati educati.
Ne consegue una responsabilità sull’affrontare lo stereotipo di genere che emerge spesso solo in contrasto con l’intollerabilità a sopportare uno schema in cui non ci si riconosce, finendo per proporre spesso una rappresentazione sterile per dicotomia.
In poche parole, e dette da chi la sa ben più lunga di me:
“Una cosa di cui i pesci non sanno assolutamente niente è l’acqua” – Marshall McLuhan
Vilma: posso dubitarne anche io, tanto che sul tema sentii il bisogno di aprire un intero blog :-) ma di quello si è appunto discusso nelle risposte di ciascuna alle domande, e non mi pare ci fosse lo “sdoganamento” di cui parli.
la fotografia per come la intendo, è un sistema di valori che trova nelle fotografie la propria espressione. è materica. è linguaggio totale. poi, non sempre c’è, non sempre si vede, non sempre si esprime. ma quando si esprime lo fa con grande chiarezza. temo che il problema sia un diffuso analfabetismo
Laura, personalmente ho seri dubbi che si possa fare un dibattito fotografico che non sconfini anche in un ‘altro genere’.
sulla questione “cronaca/interpretazione”….è una coppia di concetti interessante. A mio avviso però andrebbe ampliata. Si vuol dire che la donna fotografa attenendosi di più alla “realtà”? mentre l’uomo spazierebbe maggiormente nel campo delle proiezioni di fantasia? intanto obietterei che la cronaca può farsi reportage, narrazione, così come l’interpretazione può diventare idealizzazione, e sconfinare nello stereotipo.
Ma a parte questo….non riesco a vedere nella storia della fotografia una conferma di questa classificazione…nelle donne che hanno fotografato le donne vedo molto più che cronaca.
bisognerebbe secondo me sgombrare a monte il campo dal rischio di un equivoco a monte…qui non si vuol sostenere una diversità di sguardo “biologica”, “essenzialista”….su quello si può dibattere in altre sedi. Quella di Efrem mi pare una considerazione che deriva dalle sue osservazioni della realtà. E le differenze, come mi pare la maggior parte delle pur variegate risposte sostengano, sono semmai frutto di vissuti diversi, libertà diverse, diverse mappe fisiche e mentali.
Questo secondo me va ribadito, altrimenti diventa un dibattito non fotografico ma di altro genere.
Efrem – PdP – Ricordo che una decina di anni fa “Casabella” dedicò alcuni numeri agli architetti donne, nelle intenzioni dei redattori doveva essere un omaggio, in realtà erano tanti “i distinguo, le precisazioni, le cautele e le scuse: è vero che abbiamo fatto questo numero…però non lo volevamo fare…noi badiamo alla qualità…il sesso c’interessa relativamente… tuttavia è vero che…ma è anche innegabile che…d’altra parte non si può certo dire che…”, che alla fine, come un boomerang, l’omaggio ritornò al mittente sull’onda del sagace umorismo di Ugo Rosa che ci scrisse un divertente articolo su Antithesi. Allora mi chiesi: se gli architetti, come gli angeli, non hanno sesso, perché mai Casabella distingue? E se invece il sesso ce l’hanno, perché Casabella non ha mai dedicato un numero agli architetti uomini?
Oggi abbiamo ormai sdoganato l’idea che le donne hanno rispetto agli uomini priorità diverse, un cervello strutturato diversamente, una diversa visione del mondo, una costituzione fisica diversa, interazioni ormonali specifiche, partoriscono, hanno il ciclo mensile, la sindrome premestruale, insomma sono DIVERSE.
Per questo esiste “uno specifico sguardo femminile sulla donna”, ma non solo, anche sui gatti, i fiori, i bambini, l’arte ecc.
Così come, sulla donna e su tutto il resto, ne esiste uno specifico maschile che, per quanto posso aver visto, non sempre “affronta profondamente se non religiosamente l’argomento (donna)”.
Sarebbe utile un post “Uomini sulla Donna – 1,2,3….”, forse esiste già all’interno del blog e io non l’ho trovato?
vilma – ma infatti quello di casabella fu un errore. per il resto vero, se rimaniamo allo sguardo punto, è estendibile a tutto.
la differenza è che poi lo sguardo ha una trasposizione. e diventa materia. fotografie nel caso specifico. e qui la faccenda è appunto COME. come diavolo si traspone? che materia è? perché sì, possono essere diversi anche gli sguardi sui gatti ecc. ma è del tutto casuale. quello che cambia in fotografia, e in qualsiasi altra MATERIA iconografica, è che si tratta di uno sguardo su di sé. ed è macroscopica la differenza rispetto allo sguardo maschile.
poi come ho scritto, fuori da questo non ritengo che l’arte abbia un sesso.
A parte la soddisfazione che sul paraculo ci possiamo accordare..Eheh, l’argomento, lo sai, in quanto appunto “come concordato” è oceanico e scabrosissimo. Perché per “accettare” certe cose bisogna LEGITTIMARE il proponente. e si fa male, senza conoscerlo. Come quasi sempre succede nei social. Mi devo appellare quaindoi alla Tua stima con un testimone che è una della Autrici “legittimata” istituzionalmente. Diciamo. Vanessa Rusci. Che, (spero) possa garantire per me (oddio….) Ripeto è solo una parziale estrapolazione di un discorso più grande. Ma, per sintesi, scomodando Roland Barthes, la donna “convinta” (o sedicente convinta) di avere lo Studium dell’argomento spesso, ripeto spesso risulta vuota, ambulatoriale e veniale. CRONACA. L’uomo, con il rispetto e la umiltà di affrontare un Argomento Sacro, difficile, tortuoso e PERICOLOSO, affronta profondamente se non religiosamente l’argomento e ne da forzatamente un’ INTERPRETAZIONE. Meglio se…intelligente. Lo ammetto…PdP 
PdP – credo sia solo una questione di intercettare o meno le diverse matrici. è l’unico caso in cui credo sia fortemente percepibile… e quindi il problema è uno solo: vederlo o no. c’è chi no, e non gliene faccio una colpa. io sì. anche se qualcuno – non tu – me ne fa una colpa. che per me equivale a una medaglia.
non dello stesso metallo di quando alcuni magazine mi hanno chiaramente detto che non mi avrebbero più passato una donna da fotografare… questo sì è metallo da biografia. così la vedo. e lo so…
un post molto bello che meriterebbe un numero speciale di isozero
Giancarlo – ahahahahah! lo dirò a claude fisher
Non è “elegante” commentare il post su un commento. Ma credo (mi permetto di credere?) che Gabriella Martino abbia messo una tessera interessante sull’argomento. Certo Efrem, da par Tuo (Grande e non solo para……qualcosa) tocchi un argomento di facile “conflittualità” e di altrettanto rischio di sterilità in un terreno che non è mai stato favorevole al dialogo. (DIOSAPPOIPERCHE’ :-) In maniera oracolistica, dato che da 1000 anni ho affrontato l’argomento con uomini e donne dichiaro: SI. la differenza è visibilissima. Specie a chi si occupa appassionatamente (e con un minimo di risultati) di linguaggio fotografico. Generalmente (ho detto generalmente perché statisticamente le eccezioni restano meritevoli ma tali) lo sguardo della donna sulla donna appartiene al genere CRONACA. Lo sguardo dell’uomo sulla donna INTERPRETAZIONE. Per ovvi motivi. Conoscenza, rispetto e ricerca. E sto parlando serio e in cerca di confronto. Non ho bisogno di faccine, qui. Io parlo SEMPRE serio di “queste cose”. Specialmente idi queste cose. E Ti prego di credere che la mia attività sociale mi fa conoscere perfettamente il linguaggio di genere e l’applicazione della “presenza e l’atto linguistico” politico delle donne all’interno dei messaggi di…qualunque genere. Gradito/a chi concorderà e chi non concorderà. Vorreivedé PdP
Pico de Paperis – no dai! paraculo no… ma a parte questo che ho capito, e della tua serietà della quale non ho mai dubitato, è il resto, mi perdonerai, che non ho capito. in particolare il binomio cronaca/interpretazione. dico davvero. e m’interessa invece capire
tendenzialmente tutto ciò che sa di “problema” viene elegantemente evitato….e le poche voci che cercano di parlarne relegate nel girone dei rompi*. :-)
Come ho detto altrove, non ho idee chiarissime in proposito. Certamente la differenza tra uomini e donne non sta nella qualità e finezza di pensiero. Però siamo biologicamente diversi, e questo dovremmo poterlo dire liberamente e senza la paura che la diversità nasconda pochezza intellettuale.
Gabriella – qui però sto su una sola specifica differenza: lo sguardo sulla donna. e la sua differente restituzione. non indago altro
Questo tua ricerca mi piace molto; dal numero 1 capisco che approfondirai. Non mi sembra che sia mai stata avanzata la tua idea, né che alcuno ci abbia mai lavorato. Arriva a proposito; ieri altrove (:-)) si era profilato l’inizio di una discussione sull’argomento che merita una riflessione. Grazie Efrem
Gabriella – ma in effetti ho anch’io l’impressione che non sia stata affrontata la questione. chi perché la nega… ça va sans dire.
chi perché boh. a me invece la questione ha sempre interessato. sempre. da quando i magazine hanno cominciato a non farmi più fotografare donne. evitano elegantemente diciamo…
sono in ritardo anch’io. cerco di riparare dal mio modestissimo angolo. grazie a te!
poi ti faccio una domanda…
Una sola parola: stima. Ci vuole coraggio a fare un intervento così: complimenti! A te e a tutte le autrici
Valeria – grazie! non ci vuole tanto coraggio poi… solo la voglia di uscire da tanta ipocrisia
Gentile Vilma, La ringrazio moltissimo e sono felice delle Sue considerazioni sul mio lavoro, un lavoro a cui tengo ovviamente tanto e che, nonostante sia trascorso tempo dalla realizzazione e sia riuscita anche a realizzarne un libro che poteva considerarsi come la chiusura di un cerchio, continua ad accompagnarmi quotidianemente per diverse, strane e meravigliose vicissitudini della vita e mi manda messaggi, belli come il Suo. Grazie.
Alessandro – lo è in grande misura, appannaggio delle donne. raramente intercetto su altra sponda uno sguardo che restituisca una centralità. una. pulita e diretta. ed è vero, c’è più mettersi in gioco. uscire dagli equivoci
Mi sembra che Antonella Monzoni interpreti il femminile molto efficacemente, eppure non c’è il corpo, né lo sguardo, né alcuno degli stereotipi a cui inevitabilmente si finisce per alludere, anche negandoli, quando si fotografa un ‘essere’ vivente (donna o uomo o animale). Perché non si sfugge alla memoria, specie alla propria, ognuno è quello che ha visto.
Quelle foto sono ‘ritratti’ di donna più espliciti di ogni nudità, più intensi di ogni sguardo, in quegli interni non può abitarci che una donna, intimità, ricordo, accumulo, accoglienza, accudimento, rimpianto, materni per come ci accolgono, silenziosi di assenza, carichi di attesa. Insomma da ‘donna’.
Un pò mi viene in mente Ghirri, che al confronto fotografava i suoi interni da ‘uomo’ teso “all’ individuazione di un punto d’equilibrio tra la nostra interiorità – il mio intento di fotografo -persona – e ciò che sta all’esterno, che vive al di fuori di noi, che continua a esistere senza di noi e continuerà a esistere anche quando avremo finito di fare fotografia.” Le donne si preoccupano meno di ciò che continuerà ad esistere dopo di loro, forse perché sono loro a fare i figli, e tanto basta.
Pingback: Donne sulle donne – un’indagine di Efrem Raimondi | Un'altra Donna. L'impudenza dello sguardo.
Ottima disamina come al solito. Credo che però che un approccio come quello che descrivi non sia appannaggio delle sole fotografe donne. La discriminante è il rispetto della donna come “intero” e non sommatoria di punteggio tette/culo/gambe. C’è poi spesso l’indagine su sé stesse, diverse foto femminili sono autoscatti, non votati alla limitante fotogenia ma a un confronto con la realtà del proprio corpo, non sempre accettata. Cose che a me, ad esempio, si gelerebbe il sangue al solo pensarci, soprattutto se sentissi sempre incombente e inevitabile lo standard “classico” 90/60/90. Ho sempre riscontrato, anche nei progetti personali, un coraggio e una voglia di mettersi in discussione molto superiore da parte delle donne. Insomma. Bella panoramica. Chissà che ci riserverà la parte 2.