Vivian Maier. Non ci volevo neanche andare.
E sbagliavo.
È che c’è questa incredibile straordinaria storia che la riguarda.
Troppa per essere vera.
Quindi verissima.
Ma in qualche modo ha dopato la questione vera, cioè la fotografia che la riguarda.
Di fronte a certi exploit mediatici sono sempre un po’ scettico.
E riluttante ad assecondarli in un sol impeto.
Come un sospetto…
Mi viene in mente la Dama con l’ermellino e i chilometri di coda per vederla esposta a Milano.
Anno 1998… un delirio: gente sicura di trovarsi di fronte alla rivelazione del ritratto.
La sua essenza.
Chilometri sprecati.
Qui la storia è diversa. Vero.
Ma restava quel battage che mi allontanava…
Due carissimi amici mi hanno cooptato.
Ed eccomi qui.
Però ho fatto una cura prima: mi son detto e ripetuto che sarei entrato solo per vedere.
E sia quel che sia.
Una solitudine troppo rumorosa, parafrasando Hrabal.
Un silenzio assordante lungo tutto il BN dei ’50 e ’60 e poi ancora col colore dei 70’.
Una consapevolezza assoluta.
Un’attenzione ossessiva, lucidamente reiterata e magistralmente modulata intorno alla fauna umana. E ai suoi dettagli.
Una patologia struggente…
Che però trova forma.
A differenza di altri – soprattutto altre, soprattutto oggi – che a furia di osservare SOLO il proprio ombelico ci precipitano.
Semplicemente perché esauriscono le pagine del racconto, breve e di intensità prossima allo zero, che alla quarta mi vien da dire sì va be’ e allora?
Così dalla Sherman, almeno un po’ ironica, alla Woodman zero ironia, più tutte le epigone… che noia!
Là sul loro terrazzino a guardarsi allo specchio.
E la fotografia come strumento di autoanalisi.
E perché mai ce ne dovrebbe fregare qualcosa?
Ho bisogno di vedere cos’hai da dire sul mondo.
Di te e della tua patologia non me ne frega un cazzo.
Attrezzati e dalle forma.
Che la masturbazione ha anche un suo grado di piacevolezza… poi però basta, si va al sodo.
I fotografi partono da sé. Tutti.
La differenza la fa il ritorno. Che per essere autenticamente espressione è un circuito aperto.
Che neanche sai bene dove va a parare.
Forse non t’importa neanche.
Un po’ come Vivian Maier.
Ed è qui che mi sono ricreduto.
Perché ho guardato la sua Fotografia.
Autenticamente potente.
Disperatamente commovente.
Zero autocelebrativa – che son mica quella decina di autoritratti…
Finalmente ritrovata.
Forse suo malgrado.
Ben oltre la sua storia più o meno romanzata.
Che passa in secondo piano.
E non m’interessano neanche un po’ le illazioni che non la vorrebberro realmente autrice in quanto lei non ha sviluppato.
Lei non ha stampato.
Lei non ha diretto la sua visione solida.
Questo forse riguarda solo le sue paure.
Non le nostre.
Guardiamo queste fotografie.
Punto.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
E sono davvero contento che ci sia di nuovo Fondazione Forma.
Uno spazio in più. E non in meno.
A cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, sino al 31 gennaio
© Efrem Raimondi. All rights reserved
Nota: tutte le immagini in iPhone 6.
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Anche perché esplorare se stessi può essere interessante, ma tanto alla fine siamo quello che siamo anche per colpe e meriti altrui, e finito lo “sguardo interiore” resta quindi un mondo esterno da indagare che è vastissimo e sarebbe un peccato perdere..
spesso, Maurizio, guardando fuori vedi te stesso. ma davvero.
“I fotografi partono da sé. Tutti. La differenza la fa il ritorno.” Bellissima.
l’ho vista a settembre a nuoro, ci sono andata con molta curiosità e poche sovrastrutture (o forse è solo che sono ignorante!! :D ); a me è piaciuta molto e, se pur concordo con il mantenere separata la storia dell’autore dalla sua opera, devo dire che anche la vicenda personale mi ha affascinata molto
le foto mi hanno colpito molto per la lucidità e la “continuità espressiva” (non omogeneità, intendo una impronta ben definita) anche se questo essere scoperta suo malgrado come dici tu mi sembra quasi una violazione.
(dopo tanti commenti articolati e ricchi,questo è sicuramente superficiale, ma mi faceva piacere cogliere l’occasione per ringraziare te Efrem e i tuoi visitatori per i continui spunti…qualcosa imparerò?)
paola – superficiale? ma dove? francamente apprezzo.
e fai bene a puntualizzare la continuità espressiva. che è esattamente l’impronta che dici. la cifra che ogni autore dovrebbe avere.
certo, la storia è affascinante… ma tu pensa se poi le fotografie fossero state una ciofeca? mica saremmo qui a parlarne.
anche se a volte in effetti succede, ahinoi.
grazie!
Vilma la sua citazione di “Uno, Nessuno e Centomila” è la migliore conclusione – e parlo per me – di questa discussione.
Credo ci sia una bella differenza tra pietismo e la richiesta di utilizzare toni meno violenti di un “Di te e della tua patologia non me ne frega un cazzo” che comunque la si voglia girare ed interpretare, per me resta una cattiveria gratuita.
Non ho chiesto sconti speciali per nessuno ma semplicemente rispetto, soprattutto da parte di chi potrebbe essere inteso come un maestro.
Vilma, io ho la certezza che lei non ha capito “ciò che volevo dire secondo il senso che volevo dare alle mie parole”. E me ne dispiaccio.
Vi ringrazio per lo spazio che mi avete dato e per il tempo che mi avete dedicato. Le vostre riflessioni ed i vostri punti di vista, così diversi dai miei, saranno qualcosa con cui comunque continuerò a confrontarmi.
Maurizio – non mi sembra che il rispetto sia venuto meno…
a margine: a volte certi toni sono necessari. per cui ne faccio uso. anche e soprattutto fotograficamente. solo che l’immagine non so perché risulta sempre più mediata. a meno sì, di gratuita violenza. resta un punto di vista opinabile, concordo.
in qualsiasi caso il mio blog è uno spazio aperto.
e questo, nel caso, è un invito
vilma – parlo per me… io capirò
Maurizio, neanche a me è piaciuto il suo commento, e le ragioni sono molte, la principale è che vi ho colto una nota di pietismo, una “fatua ricerca di un universale “vogliamoci bene” verso chi è più sfortunato di noi, che automaticamente ci mettiamo presuntuosamente dalla parte di quelli che hanno fatto bene i compiti.
Io credo che:
– non esiste un perimetro fotografico e uno extra-fotografico, le espressioni creative degli uomini sono ibride, contaminate, imprecise, a cavallo tra cultura, memoria, vissuto ed esperienza, nel campo visivo, poi, gli sconfinamenti sono continui, ogni uomo, e specie ogni artista, è profondamente egoista (“I fotografi partono da sé. Tutti”), vuole e può esprimere solo sé stesso, non gli frega niente della “attenzione verso l’altro”, se si stabilisce un contatto è puramente empatico ed emotivo, casuale e non intenzionale.
– guardare dentro di sé è doloroso e faticoso per tutti, artisti e non artisti, normali o folli, tenendo conto che la normalità è un concetto solo statistico e che se, in termini puramente quantitativi, il maggior numero di persone si suicidasse, la norma sarebbe rappresentata dal suicidio. Quella che lei giudica insofferenza “verso chi al momento non sa esprimersi in modo consapevole” è in realtà riconoscimento di un limite. “Di te e della tua patologia non me ne frega un cazzo” dice Efrem, ti posso conoscere solo se/quando darai forma alla tua visione del mondo, folle o normale o genio che tu sia.
– alcune patologie possono influenzare in modo determinante sia la possibilità di estrinsecazione del potenziale creativo di un individuo, sia le modalità espressive secondo le quali egli lo materializza, Semir Zeki, fondatore della neuroestetica, alla domanda “Il cervello degli artisti è morfologicamente diverso da quello dei non artisti?” risponde: “…..una ricca aneddotica ci fa pensare che sì, ci siano delle differenze….”. Ebbene, viva la differenza, ben venga la patologia, un terreno del quale apprezziamo il paesaggio, ma nel quale non possiamo entrare, non perché siamo sani, normali ed equilibrati, ma solo perché ciascuno di noi è diverso da tutti gli altri.
– Il concetto di art therapy, che mi sembra vicino a quello che lei dice quando associa immagine-autoanalisi-psicanalisi, mi sembra possa ricondurci all’idea di un rapporto diretto tra patologia e creatività artistica, rapporto che nessuno disprezza o critica o nega, e che, secondo me, resta un fatto personale dell’artista, rappresentando la sua opera, per gli altri, una sorta di test proiettivo in cui ognuno riflette sé stesso, o le sue personali paure.
Ovviamente, ho espresso la mia personale lettura sia del post di Efrem che dei commenti di Maurizio, non ho garanzie che loro capiranno ciò che volevo dire secondo il senso che volevo dare alle mie parole, moltiplicando ogni comunicazione gli equivoci e i fraintendimenti.
Perché le parole di per sé sono vuote, “…….. Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto”.
Ringrazio Efrem e Vanessa per i loro commenti.
E’ vero, non conosco così a fondo Efrem e la sua vicenda umana per poter sapere da quali abissi di pensiero possono emergere le sue affermazioni. Ma se quanto da lui vissuto lo ha indotto a scrivere ciò che ha scritto nel modo in cui l’ha scritto, io per contro ho cercato di evidenziare che la forza di alcune affermazioni può oltrepassare il perimetro fotografico in cui l’autore intendeva circoscriverle. E andando oltre tale recinto può causare sofferenza in chi, del tutto lecitamente, da un interpretazione extra-fotografica a tali affermazioni. Personalmente ho dato una interpretazione extra-fotografica a quanto affermato da Efrem nelle frasi che ho estrapolato ed ho voluto condividerla con lui.
Ringrazio a tal proposito Lara. La sua interpretazione di quanto scritto da Efrem mi trova sostanzialmente d’accordo. Obietto solo che la mia non è fatua ricerca di un universale “vogliamoci bene” per cui tutti sono belli, buoni e bravi ma piuttosto la richiesta di attenzione verso l’altro, per quanti limiti possa avere. Ognuno di noi al massimo può esprimere un parere, un punto di vista che, anche se ben argomentato, non è mai un dogma inappellabile. Ognuno conta come uno. Se ci si dimentica questo, se ci si dimentica di aver rispetto del proprio interlocutore, a prescindere dal suo valore, allora la nostra sarà solo arroganza.
Mi siano consentite alcune precisazioni.
Non avrei mai azzardato il binomio Woodman-Maier se non l’avessi trovato nel testo del post. In merito alle epigone sono per definizione inferiori al riferimento; dunque perchè stupirsene? Andrebbe loro spiegato che la vera e unica sfida è cercare la propria via e non cercare di ripercorrere inutilmente strade già percorse da altri che seguivano la loro propria via. Efrem sono convinto che lei sappia quanto sia difficile porsi dinnanzi ad uno specchio ed in un attimo di lucida follia incominciare a porsi delle domande su di se e non riuscire a trovare delle risposte.
E’ difficile e a volte doloroso guardare dentro di se e non tutti vi riescono. Richiede un duro ed intenso lavoro personale ed ognuno ha i propri tempi. Quindi non sarei così insofferente verso chi al momento non sa esprimersi in modo consapevole.
E la fotografia che ognuno produce non può che essere il risultato di questa consapevolezza. O sbaglio?
E’ arte? Non è arte? E’ fotografia? Non è fotografia? Mi sento vicino al pensiero di Vanessa. Sono dilemmi che accompagnano la storia della fotografia dal suo nascere. Io intravedo il desiderio di capire chi siamo e di essere rassicurati. Il resto è grammatica espressiva, nella speranza che, condividendo un codice, qualcuno capisca quanto stiamo cercando di dire. Se troviamo il codice giusto la nostra arte esploderà ed avrà forma riconoscibile. Altrimenti è oblio.
Efrem lei mi chiede a quale terapia faccio riferimento. Anche qui mai mi sarei permesso di citare la fotografia come strumento di autoanalisi se non avessi trovato tale riferimento nel suo articolo. La terapia a cui faccio riferimento è ovviamente la terapia psicoanalitica. E ne parlo per esperienza personale. Visto che anche in questo caso nel processo comunicativo ritengo si sia andati oltre le intenzioni dell’autore, valgono le considerazioni di cui sopra.
Stasera ho imparato un nuovo termine che non conoscevo: OT ovvero off-topic. Perdonate l’ignoranza. Spero a questo punto di dire qualcosa di on-topic. Ritengo che l’attenta operazione di marketing con cui si è costruito il mito della Maier sia alquanto discutibile e per certi versi fastidiosa. Ritengo poi che la figura della Maier ed il suo rapporto complesso con la fotografia non siano stati indagati nella mostra di Milano ed al riguardo ho trovato più spunti di riflessione su questo blog che alla mostra. Infine, non essendo in grado di trovare adeguati strumenti interpretativi sull’opera della Maier come fotografa, ho inteso le sue fotografie come meri documenti di un epoca e come tali non mi hanno entusiasmato. A tal proposito le considerazioni che ho letto su questo blog mi hanno indotto a riflettere con maggiore attenzione.
Trovo molto interessante il punto di vista del Signor Maurizio, la sua lettura. Io non ho letto questo articolo come un affronto – né confronto – alle e tra le autrici citate. Nè uno sminuire La e Le patologie. Ma una riflessione su quella fotografia che gira in superficie, in una sorta di confort zone strettissima, senza mai scendere in profondità. Lo Sporcarsi le mani.
Tra l’altro chi è affetto da patologie, quel che io ho visto da vicino – parlo solo di quel che so – le mani se le sporca perché non se lo pone neanche il problema di.
Questa è la lettura della caduta dentro il proprio ombelico che ho dato io: la fotografia è un linguaggio – e questo non lo dice la sottoscritta – che sia anche solo per se stessi. La potenza di questo linguaggio sta quando ad un certo punto (per tutti strettamente personale) si prende coscienza di ciò che si sta dicendo e lo si dice, sapendo cosa si vuol dire, anche se non si ha la più pallida idea di dove si sta andando. Forse ho una mente semplice, troppo anche. Ma ritengo che ci sia una differenza sostanziale tra quel “dare forma alla propria patologia”, anziché buttarsi nel proprio ombellico. In senso di linguaggio, e non come giudizio universale.
Il mondo dell’arte è zeppo di persone affette da patologie che hanno trovato un loro linguaggio per raccontarSi. Gli hanno dato forma. A prescindere da e chi.
E non è un giudizio sulla più o meno cattiva patologia, semplicemente osservare chi ha saputo dare forma e chi no. Cosa c’è di scandaloso in questo? Di brutto o cattivo? Io non ho letto verità assolute ma un senso critico su cosa ci – personalmente – piace o no. Ci dice qualcosa oppure no. A prescindere da. Così ho interpretato io questo articolo.
Penso anche ad un’altra cosa, la comprensione umana è una cosa, ma questa non mi impedisce di smarrire il mio senso critico: io non mi sento di dire “è una buona produzione” – da fruitrice, l’unico titolo che ho – se non la ritengo davvero tale solo perché. E centra niente chi ha cosa ha. Ma quel che vedo.
Il buonismo, per me, è tra le peggiori vanità umane.
Vilma, ha ragione… il mio non è un “lei” che vuol mettere distanze, anzi!
… prometto di lavorarci! :)
Non ve ne fregherò nulla, ma per i miei enormi pregiudizi, la mia snobberia mi rifiutai di andare a vedere LA GRANDE BELLEZZA, l’ho visto molto dopo… e L’HO RIGUARDATO 6 VOLTE DI FILA, è uno dei miei film preferiti…
EFREM non mi moderare PLEASE!
Parlo di quanto è bello ricredersi, di quanto bello scoprirsi zeppi di pregiudizi limitanti e imparare a bypassarli e ti sto dando anche ragione…
nonostante tu non abbia neppure nominato la divina
NAN…ahahahah
Ciao Maurizio!
Potrei essere d’accordo con lei, se non conoscessi Efrem e il suo lavoro.
Le assicuro che di masturbazione, terrazzini, e autoanalisi ne so parecchio…
Sa come ho risposto ad Efrem?
Che io continuo a preferire tutte le epigone e tutte le masturbazioni sui terrazzini, e non me ne può fregare di meno se a lui non piacciono… che poi… non gli piacciono?
Sta parlando di un eterno conflitto della storia della fotografia, dal tempo dei pittorialisti, la Photo Secession o il Linked Ring… o così credo di aver compreso.
Cosa è la fotografia?
Quando è fotografia?
Per me ad esempio queste sono pippe.
Per me è tutta fotografia. Semplifico.
Unico presupposto per me: passione e voglia di fare fotografia.
Dovrei scrivere mesi per spiegare questo concetto.
Perchè è ovvio che trovo cose che dico: ma no, questa non è fotografia, è una una tantum… il resto mi piace o non mi piace…
E’ stato forte?
Si
Ha detto la sua…
Che neppure io condivido ma mi dia retta vada a vedersi il resto del Blog così capirà.
Colgo l’occasione per ribadire cose che scrivo da mesi, io detesto la Maier, anzi specifico: detesto il fenomeno Maier, che ci verrà propinato per chissà quanto, come avvenne per Mc Curry. Maier di qui, Maier di la, brava la Maier… Mi da particolarmente noia quando lo dicono quelli che di fotografia non sanno nulla, che gli piace tanto il gregge, che non possono neppure criticare la Woodman perchè non sanno neppure chi è…ma tant’è, siamo tanti…
Fondamentalmente non amo la Street, non amo il reportage, amo poco tutto ciò che è classico, adoro la sperimentazione, le fusion, la ricerca di nuovi linguaggi, ma non è detto che ho ragione io, io sono così, punto.
Detesto la noia italiana dei fotoclub, (che devo dire cmq stanno migliorando!) che se la cantano e se la suonano sulle grandi verità della fotografia.
Che ci si vuol fare Maurizio?
Il mondo è bello perchè è vario.
E io la fotografia la amo tutta per cui può succedere che mi piaccia anche un lavoro di street, di reportage, classico…
Ma forse no.
E allora BESTEMMIA… NON GLI PIACE SALGADO?
NO, riconosco il valore del suo lavoro, ma dopo 5 minuti mi annoio.
Ho iniziato a 17 anni ne ho 44 e forse ho preso la strada sbagliata!
:-)
No non mi sto contraddicendo, credo che uno dei limiti della fotografia italiana, quella di massa per lo meno, sia il bisogno di incasellare, di avere certezze…
Non c’erano neppure prima del digitale, non ci sono mai da nessuna parte.
Ci sono le opinioni, sempre più uguali purtroppo, ci sono i punti di vista.
In fondo la fotografia parla sempre del fotografo, è sempre concettuale, ma si ha paura a dirlo, si ha paura a uscire da certi recinti…
Ammiro Efrem anche quando mi rimane antipatico, perchè conosce la fotografia, perchè in mezzo a tanti che sbraitano del talento della Maier, lui, venendo da dove viene e facendo la fotografia che fa mi dà la certezza che in quelle fotografie vendute ad OC ci sia davvero qualcosa.
NB
Cmq #DETESTOlaMAIER
Esistono altre correnti fotografiche oltre a quella della street…
Vi voglio bene!
ah.. Maurizio Grazie per il suo intervento, mi ha dato la voglia di scrivere il mio post.
vabbè, Iara, ma se tu continui a chiamarmi Signora Vilma……….
Signora Vilma, certo che può darmi del tu!
Concordo con lei sulla difficoltà di dividere i due piani, l’umano dalla produzione. I segreti di Vivian sono dei vuoti che è umanamente “impossibile” – per noi che vediamo quel che questa donna non ha potuto/ o voluto vedere di sè stessa – non riempire in qualche modo. Tuttavia, mi sento vicina anche al pensiero di Efrem, perché secondo me il rischio è di contaminarci la pre-visione delle fotografie, là dove invece basta semplicemente guardarle per capirne il valore assoluto. Al di là di tutte le congetture possibili, (e polemiche: non ha stampato lei e quindi – non ha mai visto le sue foto per cui – era una tata buona? Cattiva?), il linguaggio fotografico di Vivian ha una potenza gigantesca. Quello che non sappiamo possiamo immaginarlo, da umani quali siamo trovo umanissimo rivendicare la nostra immaginazione e le nostre domande, ma la sua visione è. E prescinde. E forse è possibile goderne a prescindere, provare a lasciare fuori dalla galleria tutto il resto, almeno durante la visione. “Ascoltare” quello che ci è possibile ascoltare, perché le foto esistono e sono e ci parlano.
Spero di essere riuscita a spiegarmi – La mia patologia… Devo sbrigarmi a dargli una forma! :)
Grazie Signora Vilma per questo confronto.
ciao Raimondi io credo che siamo stati fortunati a poter vedere qualcosa che probabilmente Vivian Mayer non avrebbe mai mostrato ad alcuno. trovo spettacolare la sua “scelta” di affidare al futuro, al caso la possibilità di essere o meno visibile oltre la sua vita:-)
fabio – affidare al caso mi sembra descrivere esattamente la questione. che a parer mio in realtà non è così kafkiana
Buonasera Efrem, potrebbe spiegarmi a che pro scrivere le frasi che seguono nel contesto di un più che apprezzabile commento su Vivian Maier?
“Così dalla Sherman, almeno un po’ ironica, alla Woodman zero ironia, più tutte le epigone… che noia!
Là sul loro terrazzino a guardarsi allo specchio.
E la fotografia come strumento di autoanalisi.
E perché mai ce ne dovrebbe fregare qualcosa?
Ho bisogno di vedere cos’hai da dire sul mondo.
Di te e della tua patologia non me ne frega un cazzo.
Attrezzati e dalle forma.
Che la masturbazione ha anche un suo grado di piacevolezza… poi però basta, si va al sodo.”
Le trovo stonate.
Come lei ben sa Francesca Woodman morì suicida a soli 22 dopo aver pubblicato un unico lavoro fotografico. Al pari di Vivian Maier, l’attenzione sul loro intenso lavoro fotografico è stata postuma e in nessun modo indotta dalle autrici stesse. Il mio convincimento è che ad entrambe non importasse assolutamente nulla di quello che gli altri potessero pensare del loro lavoro. Fotografavano per se stesse ed alla Maier non interessava nemmeno vedere il risultato del proprio gesto.
Per quale motivo qualcuno che fa fotografia a qualunque livello dovrebbe preoccuparsi del suo “bisogno di vedere cos’hai da dire sul mondo”, se, come afferma, a lei di quel qualcuno non gliene frega un cazzo?
Come fa ad affermare verso chi fa fatica a vivere “Di te e della tua patologia non me ne frega un cazzo. Attrezzati e dalle forma”?
Perché tanta violenza? Crede che sia così semplice? E’ forse convinto che certe malattie dell’animo siano vezzi di chi ha buon tempo da perdere? Dalle sue affermazioni parrebbe di sì. Lei forse ritiene che da certi stati d’animo si possa entrare ed uscire semplicemente con la forza di volontà. Le posso assicurare che sbaglia.
Mi creda la fotografia è un potente strumento di autoanalisi e se non ne ha mai avuto bisogno può ritenersi fortunato. Chi vi ricorre lo usa per indagare il proprio mondo che probabilmente è molto diverso da quello che ha in mente lei. Se realmente ha a cuore cosa ogni fotografo ha da dire sul mondo, dovrebbe accettare che la definizione di ciò che ognuno intende per mondo non è univoca – per fortuna, aggiungo io.
Se poi lei vuole classificare il risultato di tanta fatica come masturbazione, faccia pure. Ma lasci perdere il piacere, non c’è nulla di piacevole in certi stati d’animo. E comunque credo che nessuno la obblighi a prendere in considerazione tale genere di fotografia se non le aggrada. La ignori semplicemente.
Cordialmente
Maurizio
Maurizio – innanzitutto la ringrazio. anche per il tono. questo tono…
ma soprattutto perché mi dà l’occasione per precisare alcune cose.
dunque… lascerei perdere il binomio maier – woodman, che non hanno nulla in comune.
vero… violento. ma il focus non è la woodman. non la sua patologia. non le patologie in generale.
e non so cosa le faccia pensare che non abbia idea di cosa sto parlando. anche a proposito di suicidio.
il focus è la fotografia che viene prodotta. mica solo dalla woodman, che almeno le capita anche un abbozzo di forma, di gesto estetico a differenza di un bel gruppetto di epigone completamente analfabete.
un po’ come dicevo sul mio account FB in risposta a una fanciulla: fotografie che affrontano esclusivamente il sé senza mai restituire nulla di veramente intimo. nella più assoluta privazione di qualsiasi forma di linguaggio articolato. costantemente in giro con uno specchio davanti.
alla terza rappresentazione di un tale mutismo, io mio dissocio.
anche per questo nessun paragone con la maier è possibile.
ognuno può usare come gli pare la fotografia. anche come strumento terapeutico.
poi vero che molto ha a che fare con la grammatica artistica. solo che per essere tale non implode. ma esplode.
se è solo di terapia che parliamo: quale? perché qui sì, si entra in un ambito davvero delicato. e tosto.
clinico direi.
che non è il mio e neanche il motivo della mia violenza.
Mi hanno detto che con ogni probabilità la mostra sarà portata a Roma, sapete nulla?. Grazie.
Daniele – io nulla. ma certamente a fondazione forma ne sapranno qualcosa
Salve Iara, bentornata!
Concordo su quanto scrivi (ti posso dare del tu?), certo, come dice Efrem, Vivian ha paura dell’immagine rivelata, forse ritiene che la rivelazione sia inutile, forse, come dici tu, non ha mai avuto nessuno con cui condividersi, non è mai riuscita a vedersi attraverso gli occhi di un altro ….. ma tutto ciò costituisce un coerente insieme di ‘cause’ e nessuna ‘risposta’.
Che non è necessaria, ma che ciascuno di noi cerca nelle azioni proprie e degli altri, magari a livello inconscio e puramente empatico, come sempre per l’esperienza estetica.
Vivian ci dà un messaggio, ma non il codice per decifrarlo.
E allora mi chiedo: cosa penseremmo se Verdi avesse scritto lo spartito della Traviata e non l’avesse mai ascoltato, se Leonardo avesse dipinto la Monna Lisa al buio e non l’avesse mai guardata, se Gaudì avesse progettato la Sagrada Familia e non l’avesse mai costruita (solo la morte lo ha interrotto!)?
Dovremmo, ammesso che si possa, separare i due percorsi, come suggerisce Efrem? Il quale tuttavia non si esime da “una riflessione sul piano umano”.
Che è inevitabile perché il ‘piano umano’ è l’unico terreno su cui avviene la comunicazione tra ‘umani’.
Anche con Vivian, che nega di volerlo, il che è già di per sé una importante ‘comunicazione’.
Il suo comportamento, spia di disadattamento socio-relazionale ed incapacità comunicativa tra il proprio mondo interiore e la realtà esterna, cozza con la sua immagine di tata attenta ed affettuosa ed anche con la sua perizia tecnica, la sua abilità razionale nell’utilizzo di uno strumento meccanico per produrre immagini che a noi oggi appaiono impeccabili.
È misterioso come avvenga la con-fusione tra questi diversi momenti, tant’è che avviene, altrimenti non avremmo le opere di Van Gogh, Libabue, Kubin, Ensor…..
Anch’io decisamente OT per un blog di fotografia.
vilma – perché OT per un blog di fotografia? quando poi, insisto, si ha a che fare con una visione del mondo?
Salve signora Vilma, mi ha colpita molto questo suo passaggio “mi chiedo se il ‘gesto fotografico’ possa bastare per soddisfare quella esigenza di interazione col mondo che spinge alcuni a cercarlo in fondo ad un obiettivo” e la domanda/risposta di Efrem “credo avesse paura dell’immagine rivelata… che farne poi?”
Dal mio punto di vista, la distanza che Vivian pone tra lei e la sua fotografia è affine a quella che pone col mondo. Le ragioni sono e restano segrete, anche per chi l’ha incontrata, chi l’ha avuta come tata.
Alla domanda se il ‘gesto fotografico’ puó bastare per soddisfare quella esigenza di interazione col mondo a me viene da affiancarci: se non si ha modo di imparare a vederci attraverso l’altro – in senso umano – è possibile poi non sentire l’esigenza di vedersi – vedere le proprie immagini?
Per paura forse – come riflette Efrem, o magari non te lo chiedi neanche, perchè non sai come si fa. Non vuole essere assolutamente un trattato di psicologia, che ne so niente. Ma umanamente pensando, il fatto che non abbia mai sviluppato un solo rullino forse trova senso col non aver mai avuto una sola persona Familiare. Con cui condividersi.
Pensieri i miei che vanno decisamente OT con quella che è la Fotografia di Vivian, chiedo scusa :)
Franz Kafka non finì nessuno dei suoi romanzi, bruciò circa il 90% di ciò che scrisse e in punto di morte chiese all’amico Max Brod di distruggere gli scritti incompiuti. Max non lo fece.
C’è una analogia con la vicenda della Maier nelle circostanze romanzesche del ritrovamento delle migliaia di negativi mai stampati e rullini mai sviluppati, delle montagne di vecchi giornali con fatti di cronaca nera, della quantità di vecchie ricevute e di biglietti del tram…. tutto un passato dimenticato o abbandonato o nascosto, non lo sapremo mai, Vivian si è portata via il suo segreto.
Non so quale fotografo, prima dell’avvento del digitale, avrebbe resistito alla tentazione di non stamparsi le foto scattate e avrebbe archiviato il rullino in una scatola (a te, Efrem, è mai capitato?), mi chiedo se il ‘gesto fotografico’ possa bastare per soddisfare quella esigenza di interazione col mondo che spinge alcuni a cercarlo in fondo ad un obiettivo e mi chiedo anche quale madre sceglierebbe una tata così per i propri figli….. E cosa la trasformerà, in vecchiaia, in una disadattata vagabonda che fruga nell’immondizia, mangia saltuariamente e fa lunghe soste solitarie sulle panchine dei parchi pubblici?
In fondo, non ci importa niente di conoscerne le ragioni, né importava a Vivian, ma tutto questo ci spinge a cercarla nei suoi autoritratti (centinaia!), dove si nasconde, secondo me, la vera Vivian o quanto meno la sua doppia personalità. Sconosciuta a sé stessa, si mostra e si cela in un continuo gioco di riflessi, di rimandi, di interferenze, deformando la propria immagine mentre dà forma alla sua “patologia struggente…Che però trova forma.”
Tu, Efrem, che, mi pare, non ami farti ritrarre o autoritrarti, che ne pensi?
vilma – separerei i percorsi. ed è proprio separandoli che ho potuto affrontare la parte che mi interessa di più, cioè le fotografie. per scoprire che è davvero di Fotografia che si tratta.
che però una riflessione sul piano umano me l’hanno rimandata: credo avesse paura dell’immagine rivelata… che farne poi?
questo è uno scoglio. purtroppo per moltissimi, oggi, no. e ce le sbattono addosso.
ma anche, forse, non le importa vederle. è tale la coerenza iconografica che forse non aveva neanche bisogno di vederle rivelate.
insomma questo, come dici, non lo sapremo mai.
e i suoi autoritratti sì, sono un po’ quello che dici. ma per fortuna sua e adesso nostra, si è rivolta soprattutto altrove.
io? no infatti. non amo più farmi ritrarre. non è più tempo.
Anche io ho visto la mostra e concordo su quanto hai scritto di Vivian e sulle sue fotografie. Complimenti anche per le tue foto qui esposte.
Irzio – grazie! ma sono foto giusto così… un affresco insomma. però grazie ancora
Efrem, ti leggo arricchendomi ogni volta, ma non lascio mai commenti… altri lo fanno molto meglio di me.
Oggi però – dopo aver letto questo tuo ultimo ‘messaggio’ – devo dirtelo che mi sono ritrovata completamente nelle tue parole e mi sento meno sola, con i miei fastidi verso le ‘mostre’ che bisogna vedere, verso le grandi o le piccole fotografe degli autoritratti etc… e che sì di Vivian non basta vedere il film o il libro ma le sue foto, lì appese davanti ai nostri occhi e commuoverci davanti a quella patologia struggente che però trova forma… Grazie Efrem, farò di tutto per andare a Milano.
Roberta – valla a vedere la mostra… è ricca.
mi fa piacere che questo spazio serva a qualcosa :) ciao!
“E’ un peccato che in tanti musei e gallerie siano realizzate mostre fotografiche su pareti bianche e in ambienti con alto grado di riflettanza.”
(A.A. La Stampa p. 165)
Ci sono andato ieri, forse con meno pregiudizi rispetto a te, lo sguardo pulito, i miei pochi rozzi strumenti di lettura. Conoscevo la storia e la sua opera ma mi sono immerso nel suo punto di vista stupito di come si possa acquisire tanto materiale dalla realtà vissuta senza l’intento di volerlo divulgare; senza considerarlo strumento di comunicazione ma solo la soddisfazione di un bisogno privato. Ho apprezzato quasi tutto, scoprendo una attualità incredibile delle sue fotografie fin dagli anni 50, una precisione formale nel linguaggio fotografico e una potenza nel contenuto del messaggio che mi hanno entusiasmanto. .Ho pensato a Robert Frank e ai suoi Americans su commissione, a Eggleston e a tanti altri americani tra i quali si sarebbe potuta inserire come una voce degna di essere ascoltata. Sono stato contento che sia stata finalmente scoperta e di aver potuto godere della sua visione.
Diego – convinto che sí, avrebbe avuto voce in capitolo. ma forse è ciò che la spaventava. o più semplicemente non le interessava . comunque adesso le cose stanno cosí
Per quante siano le immagini esposte, sono uscito dalla galleria con il desiderio di vederne di più, e di più ancora. Come se la pur numerosa serie di immagini avesse solo stimolato la mia curiosità senza soddisfarla, nemmeno parzialmente. Venivo tirato dentro la scena, anche se messo in disparte, venivo portato in mezzo e al luogo e al tempo, ma senza che risultassi una presenza invadente. È stata un’esperienza di prossimità e distacco, l’immedesimazione in uno sguardo particolare per ogni cosa comune di una vita silenziosa. Un segmento di percorso. Eppure così forte, senza uno scopo, un progetto, se non quello di vivere, cioè prendere parte alla propria esistenza, cercando continuamente se stessi, senza trovarsi mai. Al di là di ogni pregiudizio, semplicemente bella.
claudio- proprio cosí
mi piace così tanto quel che hai scritto, che vado a rileggerlo un’ultima volta… quella storia del circuito aperto poi…
ciao Efrem! :)
simona – dovevo farlo. non ce n’era. ciao
Splendida recensione. Che bello vedere i fotografi che si premurano della fotografia di altri! Ciao!
valeria – grazie!
Nel senso che la buona norma direbbe che per mostrare delle fotografie, ma anche qualsiasi altra cosa, i muri attorno non dovrebbero riflettere la luce.
Ma non e’ mica farina del mio sacco. :-)
Luciano – la differenza cromatica delle pareti intermedie, o comunque mobili, non mi sembrava però incidessero molto. credo ci abbiano comunque pensato e fatto le considerazioni opportune, essendo una galleria :)
una frase racchiude quello che una fotografia può raccontare di ogni singolo individuo :
I fotografi partono da sé.
Annalisa – credo sia inevitabile. almeno…
Grazie andro’ certamente a vederla, anche se i muri bianchi……. la vedo solo io la differenza con le quattro che dietro hanno il pannello crema?
Luciano – in che senso la differenza?
Dentro come un coltello. E lì a girare la lama nello stomaco:
“I fotografi partono da sé. Tutti.
La differenza la fa il ritorno. Che per essere autenticamente espressione è un circuito aperto.
Che neanche sai bene dove va a parare.
Forse non t’importa neanche.
Un po’ come Vivian Maier”.
Efrem, ne hanno parlato tanto la stampa quotidiana ed i magazine generalisti. È stata alquanto snobbata (quasi fosse un fastidio) dal mondo della critica fotografica e dai fotografi professionisti. Anche per questo ho aprrezzato la tua posizione. Ciao.
Roberto – ciao! grazie
Grazie per le sue parole…
vorrei tanto poter vedere le sue fotografìe in mostra. La sua forza arriva e va oltre il tempo. Spero con tutta me stessa che questa mostra diventi itinerante lungo tutta la Penisola.
Biba – grazie a lei per la cortesia. volendo potrebbe sentire fondazione forma – se clicca INFO in fondo la rimbalza direttamente – loro sanno certamente se è previsto un tour
purtroppo… :-(
Ecchecazzo! Era ora che qualcuno che non sia un fotoamatore parlasse di Vivian Maier per quel che è! Io ho visto le sue foto a Londra per caso quattro (tre?) anni fa. Ero andato a vedere la mostra di Street Photography now…e l’ho trovata li vicino. Potente, elegante, intensa. E mi son detto…e questa da dove se ne esce? Non sapevo niente di VM. Il battage era ancora minimo. L’ho amata subito per le sue foto e poi ancora di più per la sua storia…questa magnifica ossessione che l’ha portata ogni giorno per strada, in incognito, con la sua Rolleiflex…lei (lo sguardo), la strada, la macchina. Stop. Il resto non conta. L’essenza della fotografia! Grazie Efrem e bravo per aver superato i preconcetti ed esserci andato!
Roberto – mi sono rivolto alle sole fotografie. grazie a loro ho capito di avere sbagliato. se stavo al solo battage, ciao!
comunque credo che ci sia un sacco di gente che ne ha scritto e parlato. io sono proprio l’ultimo e senza patente
Ho trovato la mostra di una freschezza unica
Rossana – assolutamente
Al di là di tutte le storie tv, questa donna rimane misteriosa e inconoscibile. Ma restano le foto, che purtroppo non posso vedere dal vivo, che raccontano il suo sguardo acutissimo, tagliente come un rasoio
Gabriella – infatti. le foto. e vederle dal vivo… be’, provaci alla prima occasione
Efrem adoro Vivian…attendevo le sue foto e finalmente una domenica le ho viste…una dopo l’altra riempirmi gli occhi. avevo visto il minifilm/documentario su di lei, sulla sua storia e mi ha presa tantissimo che quando ho letto: è a Milano mi pareva di vederla. sono andata per me, per ciò che immaginavo di lei, non per moda, perché adesso è un po’ il suo momento. credo che le sue foto debbano vedere la luce di tante città che vorranno esporle. come vorrei averla conosciuta… certo si tra l’immaginario e la realtà c’è differenza… non saprò mai… ciao Vivian! grazie Efrem per aver dato voce alle tue impressioni e pensieri su di lei
lubi – ma la questione vera, è che è LEI che non saprà mai…