Una poesia che non c’entra.
Due appunti che non c’entrano.
Una Polaroid che c’entra eccome.
Luogo e data fermi lì.
Una visione unica.
C’entra tutto.
E ciao.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
Bertolt Brecht
Das Schiff – La nave
Da Libro di devozioni domestiche, 1927.
Ed. It. Einaudi, 1964.
Traduzione Roberto Fertonani
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Valerio, come si dice dalle mie parti, aspè!!!
Non mi partire per la tangente sui misteri dell’umanità! Sono un’anima semplice io, con “mi sfuggi” facevo riferimento solo e soltanto al tuo pensiero riguardo questo articolo :)
Iara… Sono un mistero anche a me stesso.
Vilma.. Siamo tutti liberi di fare tutto ciò che il destino ha previsto per noi.
Né più né meno di scoprire noi stessi.
Andare lontano? Ma se non mi sono mosso da me stesso..
Noi siamo la nostra storia, il nostro presente e il nostro futuro.
Valerio
“…… Caminante, son tus huellas
el camino y nada mas;
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar ”
versi di Antonio Machado che mi piace leggere come un modo di conciliare i due opposti: non esiste alcun cammino tracciato, ma le orme che lasciamo definiscono comunque un cammino…. alle nostre spalle.
ps: come spesso accade, i post di Efrem portano lontano
ciao Valerio, se la tua è una domanda aperta, personalmente ho sempre tifato per libero arbitrio. Perché non lascia spazio ad alibi. E ritengo che siamo noi a stabilire cosa fare e quindi cosa essere. Destino, mi è sempre sembrata una filosofia un po’ “paracula”.Ma ovviamente è un mio pensiero.
Nel tuo primo commento parlavi di “siamo solo sangue e merda” e di restituire al “mondo” e “solo la poesia forse” Per questo non ho capito chiaramente il tuo discorso – ti confesso che non ho ancora capito bene cosa vuoi dire. mi sfuggi – e, sono intervenuta dicendo che, a parer mio, non ci sono risposte assolute. Né mezzi assoluti.
Ciao!
cara Vilma, togli il mi sembra, lo è una posizione fortemente autoreferenziale.
Non sono portatore della Verità Assoluta, non voglio imporre a nessuno la mia se non a me stesso. (anche se sono disponibile ed aperto ai cambiamenti)
però, Noi siamo quello che facciamo, è attraverso le nostre azioni che ci definiamo e che restituiamo a noi stessi ciò che siamo. Non c’è nulla da creare, dobbiamo solo riscoprire.
in sintesi… destino o liberto arbitrio?
Valerio – mi sembra una posizione radicalmente autoreferenziale, che peraltro condivido, e credo la condivida anche Efrem quando dice “si restituisce a sé stessi, in primis. altrimenti, giuro, io non fotograferei”.
Tuttavia questo non deve essere una comoda scappatoia attraverso la quale deresponsabilizzare le nostre azioni, “l’uomo piglia a materia anche se stesso, e si costruisce, sissignori, come una casa. Voi credete di conoscervi se non vi costruite in qualche modo? E ch’io possa conoscervi se non vi costruisco a modo mio? E voi me, se non mi costruite a modo vostro? Possiamo conoscere soltanto quello a cui riusciamo a dar forma…..”
E ancora Efrem : “Ho bisogno di vedere cos’hai da dire sul mondo. Di te e della tua patologia non me ne frega un cazzo. Attrezzati e dalle forma.”
Fotografare è ‘dare forma’ nel senso letterale del termine, trasformare in visione, costruire una realtà che ci corrisponde, sapendo che “una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.”
‘Dare forma’ è forse il senso della vita, viviamo solo se diamo forma.
«A Lampedusa siamo tutti pescatori e i pescatori accettano sempre tutto ciò che viene dal mare».
Vilma… Ho superato l’angoscia della morte.
Prova a leggerla con questa chiave di lettura.
Siamo qua solo per dare/restituire a noi stessi.
Valerio – “inter faeces et urinam nascimur” scrive sant’Agostino, ed è quello a cui ho pensato, una frase considerata sessuofobia, anche se la psicanalisi sposterà l’origine della sofferenza psichica della condizione umana all’angoscia della morte, a sua volta vissuta come punizione divina. Il tabù sessuale sarebbe il lasciapassare per superare quell’antica paura.
Ma mi pare che tutto ciò non c’entri e a maggior ragione non capisco cosa vuoi dire.
Si.
Ma non lo do per scontato. In genere, intendo.
che poi la differenza si “vede/sente” si.
Secondo me il mezzo è “relativo”, secondo me la restituzione parte dalle domande che ci sono state poste: e tu… chi sei? E cosa vedi?
E secondo me forse ha senso anche domandarsi a chi si vuole restituire.
E, secondo me, non ci sono risposte assolute.
Ciao a tutti!
iara – si restituisce a sé stessi, in primis. altrimenti, giuro, io non fotograferei
(“scusa”) Efrem,
forse hai ragione, la poesia un pò aiuta a restituire altro..un pò.
io sento sangue e merda.
che è oltre un vedere e resituire
la vita è solo sangue e merda.
l’unica cosa che siamo in grado di restituire a questo mondo,
un po’ drastico valerio…
“…… corrono in me le acque……”
tu vedi e tu restituisci, sei un tramite in cui ‘corrono le acque’, incubatore di nuove vite, “…. luna e pianta, balena e squalo”
Ma “se non sai accogliere” non vedrai nulla e nulla farai.
La foto sfuocata e il testo sfuocato (significativamente, delle parole annotate si legge solo “ciò che vedi”) stanno a significare che solo ciò che vedi si può leggere e raccontare?
vilma – è l’unica che ho mirato. le altre sono casuali. per me sta a significare la coincidenza tra ciò che vedi e ciò che sei. se lo restituisci è meglio
Restituire il percepito, all’infinito. E’ vivere, è fotografare, quando sono una cosa sola.
assolutamente claudio. è un duro lavoro. decisamente più utile che tante fotografie cosiddette utili
Sono felice di ritrovare questa poesia e per questo grazie!
Quei due appunti sono ficcanti e ci riguardano un po’ tutti.
Ma questa Polaroid è speciale! L’ho sempre amata perché è forte e leggera. Mi lascia senza fiato
Valeria… mi fa davvero piacere. riprendi però fiato, aiuta per tutto il resto