Appunti per un viaggio che non ricordo è un lavoro che ha un inizio e una fine: 1986-2002.
Poi non so se è esattamente 2002… diciamo che coincide con la morte della Polaroid. Quella che conoscevo. Quella che le matrici le ho ancora intatte, custodite negli anni in piccoli libricini plastificati che ogni tanto, quando mi ricordo, arieggio.
Io sono cambiato, loro no.
Un percorso che nasce da un’esigenza precisa: stracciare qualsiasi certezza.
Era il 1986 e avevo iniziato a lavorare in banco ottico. L’ho fatto per il decennio successivo: solo banco.
Non ho mai sofferto la relazione con la monumentalità della mia Toyo, che usavo in doppio formato: 10/12 e ogni tanto 20/25 cm. Una delle rarissime fotocamere che ho amato.
E che amo tutt’ora imballata com’è.
Ma la necessità di mettere in discussione ciò che acquisisco è vitale.
Talvolta autolesionistico. Però giuro, ne vale la pena.
Perché solo così, saltando nel vuoto, ridimensiono l’insieme.
E quindi acquisto una SX-70 usata.
Come passare dal trabattello e l’affresco al graffito e il metrò. In un attimo.
Solo così può funzionere, senza pensare.
Ogni tanto la 690-SLR.
Un tourbillion. Un andare il più lontano possibile dalla definizione e navigare a vista sul filo della percezione pura.
Come essere sempre in uno stato di allucinazione.
E di equilibrio precario.
Ma era tutto ciò che cercavo: la precarietà. L’instabilità. La dissolvenza di ogni certezza.
E una domanda, una sola, senza risposta: ma dove sto andando?
Questo video la sintesi https://youtu.be/ik0BdHsFHjQ
Il tuo articolo è un viaggio nel passato. Un passato che ahimè mi manca molto. Mi hai dato belle emozioni. Grazie.
infatti è un capitolo chiuso. poi però magari potrebbe succedere qualcosa… vallo a sapere?
Già…comunque sia, buone feste caro. Alla prossima!
altrettanto!
Grazie. E’ stato meraviglioso viaggiare tra le tue immagini. Talmente bello che l’ho ripetuto una, due, tre volte e che rifarò ancora. Una piacevole allucinazione tra i contorni sfocati e le immagini, dove i colori si fondono e si sovrappongono senza soluzione di continuità.
Grazie Efrem, come sempre.
Beppe
grazie Beppe.
Ce la posso fare!
Efrem Raimondi – page più veloce della luce si dice sia solo il pensiero. Ma parliamo di dominii inconoscibili alla scienza attuale. Ora posto sul blog.
ce l’hai fatta Fabiano. il pensiero dopo. prima ciò che si produce. e qui si apre un bel capitolo
questo lavoro è il mio preferito, me lo riguardo periodicamente come un film. Ma non è che in quei libricini plastificati c’è roba anche per una Part 3?
ho fatto una selezione proprio per evitare una part 3. mi spiace laura
Quello che stupisce della mente umana è come il dettaglio minuto del particolare che dell’insieme ci colpisce, diventi nitidissimo, come un rasoio affilato taglia la scena e la rende percepibile nel suo complesso
una mente allenata, educata, Roberto. però è proprio così. magari non proprio sempre. ma è così.
Sono quasi tutte miopi, tutte molto belle (o buone come dice qualcuno). Usi ancora Polaroid?
sul belle/buone si aprirebbe un capitolo a parte. se proprio, mi è più affine belle. tutte, mica solo le mie. se mi piace dico bella. buona no. non lo penso neanche.
no, non uso più polaroid da allora. salvo un paio di volte occasionalmente. ma non c’entrano molto con quelle polaroid là. e mi dispaice molto.
Ciao Efrem, ho scritto belle e tra parentesi buone perché molti fotografi sostengono che una fotografia non deve essere bella ma buona. Sono cose condivisibili ma secondo me non devono essere dogmi ed è giusto che ogni fotografo la pensi come vuole. Giusto l’altro ieri mi sono imbarcato in una discussione sul ritratto in cui io cercavo di capire perché il mio interlocutore affermasse senza alcun dubbio che il ritratto è uno solo, quello in cui fotografo e soggetto si conoscono bene e impiegano giorni, settimane per realizzarne uno. Quello – invece – fatto in pochi minuti non è un ritratto ma una fotina carina venuta bene più per culo che altro. Purtroppo questo ritrattista dalla carriera trentennale non ha saputo spiegare e andare oltre.
La vecchia Polaroid la ricordo bene anche io. Le nuove sono solo prodotte nello stesso stabilimento di un tempo. Ma io sono innamorato delle mie 600 e della Spectra e chiudo un occhio.
ciao nnnnaaaa. sì sì, avevo capito il distinguo. e la tua posizione estranea alla querelle – che un po’ condivido.
quanto alla discussione sul ritratto fa testo ciò che si produce. quanto tempo, quale il grado di conoscenza, contano poco. o comunque enormemente meno di quanto comunemente si possa pensare.
certo che se il bacino sono gli amici e i parenti magari non basta una vita. nel mio caso – come per tanti altri – non conosco personalmente le persone che ritraggo. tranne alcune. e non vado in vacanza con loro, per cui il tempo è sempre quello che è. e varia.
però sempre all’interno dello shooting che si sta affrontando. ma in fin dei conti ognuno faccia come gli va o può. basta non esprimere giudizi e verità assolute.
sulla pola gli ho chiusi entrambi gli occhi. un peccato.
Anche io penso che faccia testo il risultato finale e vorrei vedere, fotografie alla mano, chi sa distinguere tra un lavoro fatto in anni di frequentazioni e un lavoro fatto in poco tempo (i motivi possono essere molteplici). Ma ho faticato molto ad avere spiegazioni minime e risposte non eccessivamente supponenti. Io sono qui per imparare. Per Polaroid il legame esiste ed è forte, nonostante le delusioni.
Grazie di tutto, davvero.
ma sai che mi incuriosisce il soggetto?
se vuoi scrivimi in privato
o anche qui. ovvio che non pubblico
Poi hai capito dove stavi andando?
in realtà, Anna, mi sono accorto che non aveva alcuna importanza saperlo
Poetico, come sempre ☺️
grazie Federica
Un bel salto dal banco ottico alla polaroid. Ci vuole coraggio. Scusa la domanda: traumi?
ma più che il coraggio è stata una necessità vitale: volevo davvero strappare un po’ tutto. a partire dalla definizione.
no, nessun trauma. anzi conciliavo benissimo il passaggio dall’uno all’altra. non è così difficile giorgio.
Ragazzi che lavoro! Complimenti Efrem
grazie Enrico