Fiori.
Si fa in fretta a dire fiori…
E allora io faccio ancora più in fretta: taglio tutto e mi fermo oltre. Appena oltre.
Recisi…
Cadaveri presentabili grazie a un po’ d’acqua e ghiaccio… alchimie del fiorista.
Come stare in un obitorio.
Una stanza prima, diciamo. Perché respirano ancora.
Moribondi allora.
Si fa in fretta a regalarli.
E pensare che erano i padroni del mondo: il primo respiro intorno a 200 milioni di anni fa. Milione più milione meno.
Non c’era ancora manco un mammifero. Manco un bel niente.
E l’ossigeno l’hanno inventato loro.
Appena prima le piante, vero… comunque è ai vegetali che dobbiamo tutto.
Figli dei fiori… anche senza treccine e una raffica di cioè a disposizione di eloquio.
Si fa in fretta allora a fotografarli, come un album di famiglia.
Ma se ci piacciono tanto, perché li ammazziamo?
A fine anni ’80 ho cominciato a chiedermelo.
Guardando i fiori di Robert Mapplethorpe: bellissimi… apoteosi estetica.
La scelleratezza dei vent’anni non guarda in faccia a nessuno.
Ho preso il mio banco ottico e ho detto ”Faccio anch’io!”
Solo che era molto diverso il fiore che io avevo davanti rispetto a quello di Mapplethorpe.
Cioè, i suoi come dopo il make up delle pompe funebri americane. Come nei film.
Questo è ciò che ho percepito un giorno preciso alla Milano Libri, in via Verdi 2.
Mio luogo di pellegrinaggio in un certo periodo.
Erano due ore e almeno la terza volta che sfogliavo i suoi fiori a piena pagina.
Stampati da Dio.
E ho avuto ribrezzo.
Si può dire?
Io guardavo i miei. E sembravano urlare.
Io guardavo i miei. E mi ricordavano le Danze macabre del Baschenis.
Se guardavo solo i suoi non avrei mai fatto niente.
Il problema era quindi ancor prima di fotografarli.
E infatti non ho mai pensato fossero degli still life.
Ma dei ritratti. A della gente messa piuttosto male.
In alcuni casi malgrado le apparenze, in altri incluse.
Li ho ritratti fino a metà ’90, poco più.
Lo facevo saltuariamente, quando capitava e avevo una buona riserva di energia.
Ed ero completamente solo. Poi ho smesso.
Fino a gennaio 2012. Erano lì, omaggio di una ospite.
Erano lì in un vaso.
Li ho raccolti, sono andato a fare una passeggiata sul Ticino e li ho lanciati in acqua.
Prima però li ho ritratti.
E ieri ho fatto lo stesso con degli Iris.
Mi costa abbastanza a queste condizioni.
Ma mi è chiaro che me ne fotto.
Eccolo qua il vero senso della fotografia: al netto di tutto, me ne fotto.
E procedo.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Queste immagini sono state realizzate tra marzo 1992 e oggi.
Fotocamere: Toyo 45G con Rodenstock 180 mm, Hasselblad H3D II-39 con 80 mm, iPhone 4S.
Film: Polaroid 55, Agfapan 100, Ektachrome EPN 7058 svl. in C41.
Tulipano nero, no fotocamera: solo film + accendino Bic.
In una camera oscura che più scura non si può.
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Mi piace molto, Efrem, questa riflessione sulla fragilità della vita e sul suo tempo imperfetto, che è il primo movens dell’atto fotografico. E i fiori sono una metafora compiuta del mistero dell’esistenza, della sua crudele bellezza, dell’impermanenza. Grazie
@Gabriella – già… hai perfettamente centrato la questione. poi ce n’è un’altra. che riguarda la percezione. e la faccenda si fa tosta :)
recisi, ovvero il loro destino finale, la morte per fare concime e dare nuova vita… Mapplethorpe, non ho riguardato i suoi fiori prima di scrivere, vado a memoria, ma è già stato detto molto, però avendo da poco letto “just a kids” c’è una profonda differenza tra gli autori.
Se posso condividere il mio pensiero i tuoi fiori migliori sono quelli appassiti, è la loro naturale morte.
Un po’ tetro come post, il mio, sarà l’inizio dell’autunno.
non ho letto il libro in questione stefano… ciò non di meno è certo che puoi condividere ciò che vuoi.
ma perché tetro?
bhe ho parlato praticamente solo di morte…
la fotografia ha un vantaggio: ispira per come la vedi. c’è chi ci vede invece…
per come la vedo io (e non solo), la fotografia non può fare altro che spostare il presente al passato (per preservarlo, ricordarlo, trasmetterlo ecc.), e così facendo ci dice che è già morto.
“La fotografia è la forma per eccellenza….. una forma che dice il passato, conferisce significato al presente, predice l’avvenire: identifica cioè di fronte alla storia, di fronte a Dio, di fronte al destino. È la morte, in definitiva: e lo scatto dell’obiettivo è come lo scatto di un’arma micidiale.”, così scrive Leonardo Sciascia in una sua riflessione del 1969.
shot…
shooting…
Ho condiviso una grande ammirazione per i fiori di Mapplethorpe, ma in questa ammirazione c’era qualcosa di conflittuale. Probabilmente è proprio questo: lui risolve tutto su un piano puramente estetico, non c’è traccia di etica. E’ come se ci dicesse: è esteticamente superbo quindi al di sopra di ogni morale. Certo si tratta solo di fiori, ma perché fotografarli, se non per comunicare qualcosa. Naturalmente non voglio fare paragoni blasfemi, ma personalmente mi sento più vicino al tuo approccio.
in realtà è molto semplice per quel che mi riguarda, e in parte rispondo anche a vilma: questi fiori sono dei ritratti… degli autoritratti anzi. se fossi questo fiore, cosa racconterei di me, adesso? sono dei fiori, ma la proiezione che attui diventa determinante. anche per la forma. etica e estetica sono coincidenti.
perché giancarlo ti senti più vicino al mio approccio? mi interessa.
Caro Efrem la tua risposta è più che eloquente. Non ho mai fotografato fiori, ma ho accarezzato spesso l’idea. Ma perché fotografare fiori? Sono già belli di per sé, tutti li conoscono, si può godere della loro bellezza direttamente, senza la mediazione della fotografia. Fotografarli è chiaramente un pretesto per altro… un autoritratto appunto, una proiezione di sé. Ecco se mi decidessi a fotografarli lo farei con questo spirito, e naturalmente estetica ed etica coincidono. Tornando a Mapplethorpe, che è un grandissimo, la mia impressione (umilissima) rivedendo le sue foto è che mentre nelle altre foto c’è una perfetta coincidenza tra estetica ed etica in quelle dei fiori l’estetica abbia un peso maggiore. Ma si cambia: anni fa le amavo moltissimo, oggi direi che apprezzo di più i fiori di Kertész o di Weston o di Penn… li trovo più “autoritratti”.
in effetti giancarlo il rapporto coi fiori, fotograficamente è strano… ci vuole coraggio per ritrarli. azzerare i pregiudizi. a quel punto il più è fatto. poi chiaro, la misura la danno gli altri. coraggio! cimentati… io sono contento di aver ripreso dopo lunga interruzione.
bene, confesso che sulla mia scrivania, accanto al monitor, c’è sempre un piccolo mazzo di fiori. Recisi, ovviamente.
In realtà il fiore è per le piante un modo di farsi notare dagli insetti che pensano all’impollinazione, ma è anche un modo per farsi notare dagli uomini. Non concimerei con tanta cura i bulbi di narciso se non pensassi al profumo che spargeranno per casa quando li coglierò, non ripulirei con tanta attenzione il roseto se non mi aspettassi di portarmi in casa un pò della sua bellezza, non taglierei certi rami per dare sole alle ortensie…. e poi, i fiori muoiono comunque, non li resusciti buttandoli nell’acqua del Ticino, per questo sono il simbolo della caducità, se muoiono vicino a me, magari tenuti in vita il più a lungo possibile con qualche accorgimento terapeutico, che male c’è? sui fiori c’è tanta retorica e tanta ambiguità, di un fiore bellissimo diciamo che sembra finto e di un fiore artificiale ben imitato diciamo che sembra vero, noi stessi non sappiamo cosa vogliamo, da un fiore.
I fiori di Mapplethorpe sono mummificati, Efrem propone il tema in termini più concettuali (so che la parola non gli piace, diciamo ‘animistici’?), il fiore appassito, il fiore spezzato, l’ombra del fiore, il ricordo del fiore, l’esperienza estetica sconfina in quella etica, si allarga in una riflessione sulla vita (e sulla morte), il lancio nel Ticino è un funerale, un addio, una fine. Un modello umano proiettato sulla natura, come facciamo con i nostri animali quando diciamo che ci amano nell’unico, limitato modo in cui noi poveri uomini possiamo concepire l’amore.
E poi, non avremmo il vaso di Aalto entro il quale Efrem ha ‘ritratto’ i suoi iris, che lo disegnava a fare, se non serviva?
Molto vero: sui fiori c’è tanta retorica. Anche i fiori di Mapplethorpe li ho sempre trovati retorici, più che mummificati. Ma non mi sembra che questi di E.R. siano concettuali: perché Vilma? In quanto al Ticino sì certo è un funerale ma chissà poi se Raimondi si aspetta una resurrezione o se è solo un rito puramente estetico. La cosa certa è che queste fotografie sono uno shock.
Concettuali nel senso che hanno un significato al di là dell’immagine riconoscibile, un metasignificato che sollecita la partecipazione dell’osservatore. Possiamo infatti chiederci: perché fotografare un fiore appassito? o un’ombra, o un mazzo di fiori dove si vede il pannello di sfondo, o un mazzo di iris mozzato?
Con i fiori di Mapplethorpe questo non può accadere, dicono tutto, in modo chiaro e inderogabile, possiamo solo guardarli ed apprezzarne la bellezza, non è poco, ma tutto finisce lì, non ci sono riflessioni, interrogativi, dubbi, l’intento è esclusivamente estetizzante.
Il tuffo nel Ticino l’ho visto come una discesa nel Gange, una morte dignitosa, un addio doloroso, lasciare andare, accettare la separazione.
Ma non si esclude un ritorno.
ciao Francesca
Suggestiva l’immagine del Gange: ciao Valeria
non è estetico francesca… però rito forse sì. forse.
ma nessuna resurrezione. che io sappia.
ciao Efrem, ho letto tutto, con attenzione, e prima di scrivere qualcosa, sono andata a vedermi i fiori di Robert Mapplethorpe, perdona la mia ignoranza se non li conoscevo, sono molto belli, è vero, ma mi trasmettono freddezza, non perché certi in b/n, ce ne sono tanti a colori…, ma perché sembrano… “studiati”, messi in posa, non spontanei, seguono le diagonali all’interno della foto, quasi formano semicerchi, linee, curve geometriche. I tuoi invece sono presi così come li vedi, felici, tristi, delicati, intensi, con pathos, danzanti, ballerini, sembra di sentirne la melodia, ad ogni fiore il suo canto. Hanno sentimento, emozionano, una loro vita, si, proprio come dei ritratti, di bimbi, di anziani, un ciclo vitale che ha un suo inizio e una sua fine. Sono vere opere d’arte, per il mio modesto parere, ovvio! la foto del tulipano nero + accendino Bic l’avevo già vista mi sembra qui nel tuo blog, e mi aveva colpita tantissimo, alla prima occhiata mi era sembrata un’ombra e invece mi ero sbagliata. A me non piace recidere fiori, anche se, abitando in campagna, ne ho a iosa! ma li vedo dalla finestra o quando esco…per cui…per me, non avrebbe senso reciderli, togliere loro la vita. A Marco dico sempre…non regalarmi fiori
mi piace molto “… non regalarmi fiori”. davvero molto. ciao lucia.
:-) ciao Efrem, grazie!
a te!
efrem, un pò di comprensione per il povero marco, i fiori sono un regalo semplice ma non banale, il linguaggio dei fiori è molto variegato, un mazzo di fiori può dire molte cose….
senza contare che “non regalarmi fiori” richiama cupamente un’altra formula che nessuno di noi vorrebbe pronunciare, “niente fiori, ma opere di bene”…….
nell’ultima ipotesi mi contraddico: una strage di fiori. nessuna opera di bene.
dio, stanotte avrò gli incubi…
(su Mapplethorpe, sempre pensato uguale)
dai! sono solo fotografie…
e’ bello il tuo racconto efrem….e mi piace molto l’ultima foto nella galleria.
grazie!pensa terri che è la prima che ho fatto quando ho ripreso a ritrarre fiori… 2012. quei fiori, lì nel vaso, in realtà mi struggevano.
Questi fiori non sono più fiori. Cadaveri forse è un po’ esagerato anche perché a me queste fotografie piacciono molto anche se non amo i fiori recisi!
sono i miei fiori, diletta. una faccenda complessa. per fortuna la fotografia è un’ottima sponda.