e migliaia di altre persone

E migliaia di altre persone.
Cioè, oltre a Anta de Laporta che capitana, ci sono altre migliaia di persone al seguito che hanno laicato lo stesso post IG, la stessa immagine, lo stesso video.
Nulla da aggiungere a riguardo, se ne prende atto.
Però non spiega nulla. E a meno di essere sempre inclini a prendere atto di qualsiasi status quo – che vita del cazzo – magari almeno una curiosità potrebbe venirci.

In primis: siamo disposti a ritenere Instagram il luogo social per eccellenza di accoglienza del pianeta fotografia comunque la si declini?
Al punto per esempio di ritenerlo, il pianeta, sostitutivo del proprio sito come alcuni fotografi hanno detto?
Non so se poi siano passati dalla dichiarazione ai fatti, e se sì sarebbe interessante sentirne la ragione.
O forse no.

Ogni tanto sfoglio l’offerta iconografica del catalogo IG.
E a fronte di alcuni stop, prodotto di un effettivo interesse per l’immagine che ho davanti, il resto è uno scorrere rapido e indistinto.
Salvo la riga Piace a Anta de Laporta e migliaia di altre persone.
Che ha una sua grafica riconoscibile e densa di aspettative…
Disinteressarmi delle premesse quali che siano – se i numeri che vanti siano un pacco o meno… se sei famoso/sa… se… se tutto.
Guardare solo il prodotto iconografico visto che IG è un luogo iconografico dove la parola sembra bandita e per tutto questo tanto apprezzato.
Esattamente di ciò che mi occupo, è il mio lavoro produrre fotografia, relazionarmi direttamente col prodotto visibile.
E allora che prodotto sia.

Anche a sforzarsi di prendere tutto sul serio mi sembra emergere un distinguo fondamentale tra ciò che è stile e ciò che è linguaggio.
Tanto stile, poco linguaggio.
Dove per stile intendo alla maniera di.
Di ciò che detta il costume; di ciò che è di immediata fruibilità; di ciò che è fresco – fresco?; di ciò che è nel mood. Nel mood…

Di ciò che è facilmente replicabile.
Di ciò di cui a me non frega un cazzo.

E il punto è esattamente questo: Instragram è solo un luogo di accoglienza.
Che proprio nel conforto dell’accoglienza prevarica il peso specifico dei contenuti qualsiasi essi siano.
Dove semmai i contenuti, estetici per ciò che mi riguarda, si mischiano alle mutande o alle tette della qualsiasi o a qualsiasi altra cosa.
E se è alla fotografia che miriamo, occorre mirare bene per districarsi da una produzione mainstream di bassa, bassissima lega. Nella migliore delle ipotesi aggrappata, appunto, allo stile.

IG ha un contenuto, una qualsiasi visione, un solo elemento intellettuale di distinzione?
Zero. Il suo numero perfetto: zero. Che è tutto.
E così ti accoglie.
E così mi accoglie.
Ma non penso che sia alcun strumento.
Molto semplicemente vedo gente. A volte faccio cose.
Ogni tanto intercetto un fiore che urla.
Per il resto siamo un po’ tutti muti.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

E migliaia di altre persone…
Ognuno tragga le conseguenze che vuole da questa sintesi visiva.
Che è tutto dire affiancata a Anta de Laporta e le altre migliaia di persone.

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12 thoughts on “e migliaia di altre persone

  1. Premetto che sono abbastanza rincoglionito da aver cercato su Google – giuro -Anta de Laporta che immaginavo come una sorta di David LaChapelle e grande amica del connazionale Joan Fontcuberta…
    Comunque, quel che leggo in questo post corrispone alla mia sensazione davanti alla maggior parte delle fotografie in rete, ma anche quelle selezionate in premi, per esempio i Sony Awards, un senso di completa estraneità come se quel che vedo non avesse nulla a che fare con la fotografia. Manca una relazione col mondo, un tentativo di conoscerlo, e la ricerca di un linguaggio per dare forma a tutto questo. Vedo invece manierismo (nel senso peggiore del termine) e estetiche convenzionali, dei ritornelli da ripetere continuamente per sentirsi sicuri. Non c’è invenzione, rischio. E’ manierismo del nulla.
    Ma quel che mi dispiace è il pensiero che forse non è solo questione di fotografia buona e fotografia bella, ma di una radicale diversità, incomunicabilità, tra le persone che producono questi due tipi di fotografia.

    • urca andrea! io non ho controllato la reale presenza di Anta – confidenzialmente la chiamo così, solo per nome – perché davo per scontata l’improbabilità.
      quindi ti chiedo: c’è? esiste? in qualsiasi caso mi hai fatto sorridere, e di questi tempi è molto. per cui ti ringrazio.
      quanto al resto condivido. anche su diversi contest internazionali. sai cosa vuol dire sentirsi fuori luogo? aggiungerei, piacevolmente fuori luogo?

  2. Caro Efrem, denso di temi il tuo post. Tento di articolare una risposta.
    Una amica, nota studiosa della comunicazione, mi scriveva tempo fa che il panorama del social è come una spiaggia in inverno, dopo una forte mareggiata. Camminando trovi sacchetti di plastica, oggetti di plastica, immondizia. Raramente, camminando, un ramo, levigato dalla corrente, attrae la tua attenzione per la sua forma, per una sua intrinseca bellezza. Lo raccogli, lo osservi, ritrovi qualcosa di te nel pezzo di legno. Penso che anche IG non sfugga a questa logica. Scorriamo veloci le immagini, qualche raro stop, come tu lo chiami, tutto il resto è noia e ripetizione. Difficile pensare che possa essere diverso. La logica a monte è quella dell’hic et nunc. L’incapacità di uscire dal presente che provoca una indigestione di immagini. Un parossismo della produzione.
    D’altra parte la raccolta di immagini è sempre esistita. I vecchi album di fotografie, incollate con triangolini trasparenti. Poi le diapositive e le insopportabili serate di proiezione di immagini di un viaggio o di una vacanza. Sostituite presto dal digitale e dalla sopravvivenza dell’immagine sullo schermo del pc prima, sul display dello smartphone dopo. Una breve apparizione di flickr, quasi immediatamente mangiato e digerito da IG. Il presente e il presentismo. La qualità (presunta) certificata dal numero dei follower. Piace ad “Anta de Laporta e migliaia di altre persone” appunto. Chi siano poi le migliaia di altre persone è tutto un’altro discorso probabilmente molto complesso da approfondire.
    Resta il paradosso che un luogo nato per la fotografia, meglio sarebbe dire per la produzione di immagini, alla fine c’entra ben poco con la fotografia. In sintesi non credo che IG sia o possa diventare un “paese per fotografi”. Tutti lo usiamo però. Perche?

    • ma infatti Beppe non è un luogo per la fotografia. è un contenitore di fotografie. lo usiamo per motivi diversi che però tutti alimentano il contenitore. dulcis in fundo è il senso della riflessione. che andrebbe sviluppata. con più spazio e più tempo a disposizione. qui a volte per me si tratta di appunti. e poi… poi boh

  3. Il tutto molto evidente. il tutto molto deludente. ma qual’è secondo te il futuro? non puo’ essere l’autoreferenzialità dei circoli di vecchio stampo, ne IG che conta la qualità in laicate.
    non si puo’ negare che IG funzioni a livello commerciale, nel senso lapalissiano che c’è chi ci guadagna.
    noi ce ne freghiamo, tanto che i laic non glorificano i fotografi affermati ma talvolta i trendisti di turno.
    ma quindi, il futuro qual’è. come si farà ad affermare un linguaggio, una visione, che viene travolta dalle migliaia di immagini p/m?

    • il futuro della fotografia? non saprei lorenzo. ma francamente mi vien da dire che ha poca importanza. almeno per me.
      quello che mi preme è la fotografia autoriale. dove forma e contenuto dialogano dando vita a una chiara idea di estetica.
      è un bivio. è tutta così la vita oggi.

  4. sarebbe interessante verificare quale sia il minimo di visualizzazioni possibili di una fotografia a parità di contatti, darebbe valore ad un’indagine demografico-fotografica su quella che potrebbe essere la comparsa di un nuovo stile o espressione

    • a me sembra abbastanza evidente anche senza indagine. ma stile è una roba. espressione, se intesa come capacità di modulare un linguaggio, è altro

      • e questo ci porta all’oceano di immagini che ogni giorno ci offuscano la vista, oltretutto non permettendo al nuovo di emergere, o quantomeno, a quello che potrebbe aver qualcosa da dire, e tutti ci sguazzano ben consapevoli

  5. Un fiore urla in mezzo alla mutanda
    nella pancia una lisca di pesce ripiena
    langue ai colori del tramonto
    Intanto c’è un usignolo su rami dorati
    rutta.

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