Fuorisalone adesso tra una settimana. Ma io non capisco…
Ma tra i fotografi che conosco e che hanno abitudine al Web, cioè lo usano dialetticamente, è possibile che siamo in quattro gatti a occuparci di design?
Magari io un po’ saltuariamente rispetto all’abitudine degli altri tre, ma comunque tutti con l’intento di mettere al centro il linguaggio, quello fotografico, che ritengo coincidere, per essere tale, con una visione più ampia che riguarda l’idea di mondo. Per quello che è e per quello che si auspica. Anche utopico magari.
Non è solo una dichiarazione estetica, nella fotografia che mi corrisponde e che amo vedere, c’è una forte determinazione ideologica.
Che è roba ben oltre la quisquilia politica.
E che è insofferente a ogni forma di omologazione.
Insomma amo le prese di posizione. E la contraddizione.
A volte, questa fotografia ha modo di manifestarsi con precisione, senza doversi occupare necessariamente di buoni sentimenti e sfiga assortita.
E anche quando se ne occupa, non è allusiva di niente: è nuda.
Amo il design anche per questo, perché spesso è nudo… molto ben esposto. E se si deve in qualche modo difendere, coprire dagli spifferi delle tendenze, indossa un cappotto nero, lungo, chessò… un Ferré d’altri tempi, non un accappatoio da sfilata buono per il motel.
Non esiste una fotografia di design, non una di moda, non una di ritratto e nemmeno una di paesaggio: esiste una fotografia e basta.
Che è quella alla quale guardare.
Ma è possibile che dopo i grandi, tipo Aldo Ballo, Gabriele Basilico, Luigi Ghirri, la Cuchi White, solo per citarne alcuni che purtroppo non frequentano più – chiedo venia per quelli che manco ma vado di fretta – e che da soli erano in grado di generare attenzione, di far convergere giovani fotografi, ricerca critica, magazine e industria ogni volta che col design si cimentavano, possibile che si sia creato un vuoto? Possibile che ai giovani fotografi o aspiranti tali il design dica zero?
Io mi giro, ma non vedo un granché. A parte qualche eccezione mi tocca sempre guardare avanti.
È proprio così, e sono alla vigilia di questo Salone Internazionale del Mobile. Che anche quest’anno affronto con l’iPhone.
Diversamente dall’anno scorso non sarà mosso. Se non forse in qualche circostanza dettata dal caso.
Anche perché sarò stanziale, tra mura confortanti, quelle dell’Università degli Studi… la Statale di Milano.
A seguire conferenze, eventi, happening e altro che il programma offre. Sarà un reportage insomma. Forse più un backstage.
Forse non so.
Per capire bisogna cimentarsi, non sempre tutto è scritto.
E questo non è un copione.
Per INTERNI magazine, per Mondadori, con la convergenza di Expo 2015.
Tutto rigorosamente Web: Facebook, Twitter (pillole) Sito.
Come l’anno scorso, un social tris in tour de force…
Con sintesi cartacea poi, nel numero di giugno.
FEEDING NEW IDEAS FOR THE CITY, questo il tema.
Nutrire… alimentare se vogliamo.
Intanto ho iniziato con una preview, con cartoline dei lavori in corso.
Con un aperitivo. Leggero.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
L’anno scorso
https://blog.efremraimondi.it/milan-design-week-giu-la-cler/
Calendario eventi:
http://www.interni-events.com/
Fotocamera: iPhone 4S
Aggiornamento 5 aprile, sempre e solo PREVIEW:
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Fotocamera: iPhone 4S
L’oggetto di design non ha altro mezzo per farsi conoscere se non farsi vedere e farsi fotografare, il legame tra fotografia e design è categorico, entrambi nascono da un approccio progettuale identico centrato sull’immagine priva di ogni “pretesa interpretativa”.
Una persona può usare la voce, la mimica, l’abbigliamento e mille altri mezzi espressivi, un oggetto è neutro, non ha sentimenti, non può aggiungere niente al suo essere sé stesso se non la sua immagine, della quale ha bisogno per proclamare il suo esistere.
Più che mai la fotografia di design è “fotografia e basta”, non si occupa “di buoni sentimenti e sfiga assortita”, è nuda, come lo è l’oggetto/soggetto fotografato, che diviene così “medium dell’oggettualità pura”, usando parole di Baudrillard.
Credo che questo intimidisca un po’ il fotografo, lo faccia sentire, in un certo senso, disarmato davanti alla purezza del discorso che gli è richiesto di fare.
Forse è questo il motivo del vuoto.
mmmmm… non so vilma. sulla “pretesa interpretativa” non saprei. credo che la finalità della fotografia applicata, il suo uso intendo, faccia la differenza sull’approccio. è vero che gli oggetti, tutti, hanno in sé il loro linguaggio e quindi il manifestarsi è d’obbligo… poi però credo che abbiano, ognuno e alcuni più di altri, una peculiarità, un’essenza… un’anima. mi è capitato molte volte nel corso degli anni di interpretarli… anche di fotografarli in assenza diretta sfruttandone solo l’ombra o la proiezione. eppure alcuni erano ugualmente distinguibili. ugualmente manifesti. estenderesti il tuo discorso anche ad altri oggetti?
certo un catalogo ha delle prerogative molto vicine a quello che dici, eppure anche lì lo sguardo può cambiare molto pur mantenendo intatta la “proiezione” del soggetto-oggetto. che poi è anche una proiezione della fotografia, del suo autore.
poi c’è una questione che è anche altra fotograficamente… l’ambiente. col quale gli oggetti interagiscono per antonomasia.
discorso lungo… temo però che il vuoto che sento, sia più figlio dell’incapacità di relazione. tanto social ma poco contatto, per dirla grunge.
o no?
aggiungo solo una roba, che ha a che fare con la conoscenza: quando si ha a che fare con superfici e tessuti – questo vale anche per certa moda – non puoi bluffare… o sai come funziona o meglio evitare.
ho ben presente, e mi piacciono molto, certe tue foto di design e le tue interpretazioni che sfruttano l’ombra e la proiezione, ed è anche vero che il fotografo è sempre ed inevitabilmente presente.
ciò che intendevo dire è che l’oggetto di per sé è inerte, non è collaborativo, bisogna che il fotografo sappia forzarne il limite per indurlo a parlare, o per riuscire a parlare attraverso di lui.
e questo pochi lo sanno fare, per mancanza di coraggio o di capacità.
comunque ricordo anche splendidi cataloghi (come quelli di ballo per artemide), che dovendo essere chiaramente documentali, sono comunque un ottimo esempio di corretta relazione.
ballo + ballo… che studio che è stato!
ho un ricordo indelebile di una serata, a tavola, trascorsa tra aldo ballo a sinistra e gabriele basilico a destra… io un pischello in mezzo. dopo la presentazione del primo big calendar di baleri italia… io stavo zitto. poi ho chiacchierato di a.c. milan con basilico -grande tifoso. sembra sembra… ma quella gente lì è di un’altra categoria anche se parli di biglie. scusa la digressione, vilma. però ci stava, dai.
E’ un viaggio meraviglioso, quello che proponi, interessante quanto più utopico. Ma già da questo preview, si preannuncia grandioso !
be’… forse ho un po’ divagato claudio… aspettiamo la fine :)
Fotografare il design è difficile! E infatti è difficile vedere belle immagini che evochino e non di fissino sul prodotto! Meno riviste catalogo e spazio a quello che tu dici “visione piú ampia che riguarda l’idea di mondo” cosí forse qualcosa da vedere realmente ci sarebbe altrimenti è tutto un po’ noiso
pur non essendo a venti… anche dieci anni fa, che era roba tosta, i magazine di design e architettura restano i più creativi. e i più disponibili. questa almeno la mia esperienza
Finalmente Milano in festa! Se non disturbo vengo a trovarti in Statale :-)
E comunque è vero che la fotografia che guarda al design è poco presa in considerazione: chissà poi perché? Penso invece che sia da valutare: ci sono foto magnifiche!
la milano del design mi è congeniale, perché non è solo design… c’è un sacco di convergenza.
una delle serate pubbliche alle quali ho assistito in triennale, è stata quella della presentazione dell’autobiografia di italo lupi: c’era un bel po’ di mondo che ha detto e dice ancora cose sostanziali. non c’è confronto con altre milano. quanto alla fotografia distratta, è bene che che rimanga tale.
Cosa significa l’affermazione sulla fotografia distratta?
che evidentemente è fotografia alla quale non interessa guardare oltre lo specifico che la riguarda. quindi che rimanga a specchiarsi per fatti propri. è una situazione sempre più parcellizzata e complessa. alla faccia dei manifesti sulla condivisione e che bello che è. mia opinione diletta