Io resetto tutto e me ne vado.
Anzi, prima me ne vado, poi all’imbocco di un viale qualunque di qualsiasi agosto il mio cranio passa in ora legale.
E questa è la mia vacanza. Un tempo sospeso nel quale mi disintossico alimentando relativismo e distacco.
E una sola certezza: finché anche qui, qualsiasi qui sospeso, trovo il motivo della fotografia che mi riguarda, sono vivo.
Lo trovo anche in altri sguardi, mentre girovago tra social e blog, con un Internet non sempre accondiscendente.
Lo trovo in alcune, rare, immagini… e poi lo trovo, spalancato nella sua compostezza, in un Facebook post di Francesca Stella, fotografa e blogger:
Verrà mai un giorno in cui si dovrà ammettere di aver detto tutto?
Come una fucilata.
Infatti scarso consenso e nessun applauso. Un commento uno, quasi imbarazzato, il mio. Che è giovane la fanciulla, perché si pone questa domanda adesso?
Ma è una domanda che chiunque abbia a che fare col linguaggio non può non essersi posto, anche distrattamente. Anche poi risbattuta a calci e insulti nello sgabuzzino da dove è venuta.
Che prevede però due cose: che tu abbia davvero detto qualcosa, e che lo stesso tu non abbia più niente da dire.
E che a questo punto te ne renda conto, ti inchini e ti appendi da qualche parte.
Perché di finire su un piedistallo mobile, supposto che te lo diano, avanti e ‘ndre per palcoscenici a sparare cazzate e aneddoti, equivarrebbe a una veglia funebre itinerante.
Ci tieni?
Una questione intima quella di avere o no ancora qualcosa da dire.
Che non riguarda il consenso, per quello spesso basta il mestiere, forse più di comunicatore/trice che di fotografo.
Riguarda solo te stesso e la certezza che non stai bluffando.
Qualsiasi strada è buona e io uso la vacanza estiva… le fotografie delle vacanze, sissignore.
Che non so perché siano così snobbate… ma quando mai hai così tanto tempo a disposizione per fotografare in santa pace, senza dover rendere conto a nessuno? Potendo persino scegliere la pubblica incomprensione: è la cartina di tornasole del tuo sguardo, che ti frega del resto del mondo? È allo specchio che ti stai riflettendo, e non c’è nessuno, nemmeno nascosto dietro la tenda alle tue spalle.
É di questo che ti devi convincere: non c’è nessuno.
E nessuna fotografia è mai stata fatta.
O sono state fatte tutte… la condizione è la stessa.
Non pensare… dai retta allo stomaco che insiste e ti chiede DI COSA HAI FAME?
Chiudi gli occhi. E poi scatta.
Se quando li apri non ti rifletti, sei arrivato e non c’è altro che tu possa aggiungere.
Appenditi.
Una vacanza per venti immagini.
Venti come capitano.
Venti che mi servono.
Più una dell’anno scorso, visto che è sempre Pinzolo, Valle Rendena, Trentino.
Che non c’è come misurare lo sguardo negli stessi luoghi.
Cos’è che non ho visto ieri e che invece oggi mi è evidente come una decalcomania?
Quest’una è perché ho un dubbio. E i dubbi li manifesto.
Succede. A me succede.
Quando non accadrà più, quando mi rifletterò in sole certezze mi appenderò anch’io.
Che tanto non avendo alcun piedistallo è più facile.
Garantito.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
f/64 – il blog di Francesca Stella
iPhone 4s e Nikon D800 – per la prima volta in vacanza…
Efrem, queste foto lasciano senza fiato da quanto sono belle…
grazie sara emma! anche le foto ringraziano ;)
“misurare lo sguardo negli stessi luoghi. Cos’è che non ho visto ieri e che invece oggi mi è evidente come una decalcomania?” : non vuol dire ripetere le stesse cose, ma vederle con occhi diversi, non perché le cose sono cambiate, ma perché è cambiato il nostro modo di vedere il mondo.
E questo accade incessantemente, ogni giorno, panta rei, e non è mai la stessa acqua.
Ma non tutti se ne accorgono.
“la veggenza del fotografo non consiste tanto nel ‘vedere”’quanto piuttosto nel trovarsi là”, scrive Barthes, però io mi permetto di dissentire: sono convinta che possono essere molti a ‘trovarsi là’, ma pochi a ‘vedere’ proprio là qualcosa che si possa/debba fermare in un’immagine.
Le foto di paesaggio di questo post avrebbe potuto scattarle chiunque di noi che si fosse trovato negli stessi luoghi, il problema è che nessuno di noi lo avrebbe fatto (mucca a parte!)
Questa differenza è ciò che fa di una persona ‘normale’ un (grande) fotografo.
c’è un libro di Jean d’Ormesson che si intitola “Un jour je m’en irai sans en avoir tout dit” (Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto) centrato sul ricordo e sulla memoria, senza rimpianto, con uno sguardo dolce sul passato.
Io credo che chi ha vissuto veramente la propria vita avrà sempre qualcosa di dire e se ne andrà senza aver detto tutto.
sarebbe la condizione ideale! lasciare in sospeso un po’ di robe. che magari, forse, chissà, un giorno qualcuno raccoglierà. mi piace l’idea vilma.
edizione italiana?
non toccatemi la mucca! è stata l’immagine più complessa. però è vero: sei tu che cambi. ed è un vantaggio finché accade
Ma a me sembra che quelll’aver detto tutto equivale a non aver più la possibilità o forse la capacità di dire più niente. Almeno, io ho capito questo e quindi non è molto positivo.
Non ho capito invece se è un problema che ti poni tu Efrem? E comunque a me queste fotografie piacciono moltissimo e c’è chiara la tua mano: lo sguardo gira ma la capacità di vedere è di pochi. Tra parentesi il “ritratto” alla mucca è meraviglioso! Anche le due del cimitero e gli sfuocati.
esatto diletta! hai capito bene… e certo non è positivo. è una domanda che resta sospesa ma che riguarda molti. se intelligenti, tutti.
non posso più fare a meno di questo ritratto di vacca. o mucca, come si usa dire
In uno dei suoi tanti artifici, Jorge Luis Borges scrive una serie di recensioni di inesistenti racconti altrui, totalmente immaginari, la cui trama è soltanto frutto della sua fantasia, ponendosi contemporaneamente dentro e fuori dalla propria opera.
questo racconto nel racconto è un po’ quello che fai tu quando dici di voler “misurare lo sguardo negli stessi luoghi”, ri-leggerli, ri-fotografarli per trovare ciò che ti era sfuggito, metterti alla prova per verificare se sono cambiati…….. loro no, tu sì, per questo hai ed avrai sempre qualcosa da dire ancora.
Paesaggi, alberi, monti sono presenze frammentarie che potrebbero appartenere ad un altro mondo (non so come altro definirle), quelle umane puramente casuali, unico ritratto convenzionale la mucca, diligentemente in posa, con la madonna affissa all’albero e, forse, la gallina potrebbe costituire una trilogia a sè stante.
Non ci hai messo la volontà di provocare, ti viene in automatico.
ma in effetti vilma è un paesaggio-pretesto. e la mucca mi piace proprio… mi sono affezionato subito.
era meravigliosa e cazzutissima… mi guardava con una vena di sfida. non si è mossa di un millimetro. mentre la gallina scappava. e la madonna piangeva. questo il back del trittico. che hai ragione, ci sta.
poi quando vedo un cimitero…
@eloj dimenticavo: avresti fatto molto bene a spryare sulla parete bianca… bel gesto ;)
Forse ho usato un termine troppo forte e definitivo, ma l’ho fatto solo perché – di nuovo – “conosco” il mio interlocutore.
Penso alle fotografie di Robert Frank che sono poi diventate “The Americans”. Alcune di esse, non certo tutte – che si riducono in numero ad ogni successiva lettura – sono fotografie poco significative che sviluppano tutto il loro valore espressivo e direi deflagrante solo e soltanto se osservate insieme alle altre e visualizzate nella sequenza del libro.
Cioè il valore di alcune di esse è sviluppato dal contesto di pubblicazione, e fuori da quel determinato contesto, quelle fotografie, come testo autonomo e significante sarebbero ben poca cosa.
In quel caso c’è un tema di fondo che accompagna l’osservazione e che consente di effettuare un travaso di significato da una fotografia alla successiva aggiungendo ogni volta un po’ di liquido in più. E di nuovo quel tema di fondo, cioè l’america degli anni 50 è un altro contesto.
In queste tue immagini che niente affatto leggo come provocazione ma che invece esprimono – credo – un tuo profondo sentire espressivo, il contesto fruitivo e significativo è dato dal testo – che è un po’ un atto dichiarativo, una chiave di lettura – e dalla loro unità di “visione” (intesa nella duplice veste di contestualità fruitiva e visione dell’autore).
Insomma credo vi siano foto che nascono per star da sole e poi magari vengono affiancate ad altre per sviluppare un ulteriore argomentazione; e poi ci sono foto, come queste, che nascono e si materializzano già per produrre un corpus e quel corpus è il prodotto unico e finale a cui l’autore ha teso sin dall’inizio.
Non certo per tutte le foto di questo lavoro vale pienamente il discorso sopra: ve ne sono alcune che hanno le corde per cantare da soliste, ma la maggior parte danno il loro migliore e forse unico risultato nel contesto in cui tu le hai proposte, e aggiungerei: un risultato che pienamente mi appaga!
Questo intendevo quando ho usato il termine “cestinare” e ovviamente sono solo e sempre considerazioni soggettive.
Eloj
concordo @eloj sul fatto che ci siano immagini che hanno un respiro autonomo e altre che no, che hanno bisogno di un recinto. e vale, hai ragione, anche per alcune di queste. non so dirti quali, o forse sì… anzi sì per ciò che mi riguarda. e credo che se facessimo un test il risultato non sarebbe univoco… così va la fotografia. però il testo in questo caso non ha alcuna relazione con le immagini, se non che è di vacanza che si parla. ma anche questo è un pretesto, giusto per indicare un tempo. ma alla fine sono semplicemente fotografie senza luogo e la montagna è solo un pretesto. e hai ragione, non le ho intese come una provocazione
Guardato e riguardato! Tante sensazioni e siccome non so da dove iniziare vado alla fine e cioè al ritratto meraviglioso della mucca: è stupendo e fortissimo! Ma si può dire “ritratto” essendo una mucca e non una persona?
@valeria. assolutamente sì!!! è un ritratto a tutti gli effetti. ambientato :)
grazie @andrea!
Si, nello stesso anno, e non mi hanno ancora diagnosticato bipolarità. :D
Credo sia una domanda necessaria a creare una condizione fertile per la creatività, come una sfida interna. Lo stesso vale per la competizione: la manifestazione del sè spesso avviene per differenziale, ovvero per armonia.
Sono diversi livelli e strumenti di percezione.
E possibili punti di vista.
@fabiano. il linguaggio è in fondo questo: la capacità di espressione di punti di vista diversi. se no sai che palle!
Io credo in realtà che tu passi in ora solare: ti lasci alle spalle le regole “legali” per vedere se sia possibile, in quello spazio sospeso, cogliere un reale altro, non quello che sin dalla nascita ci continuano a dire sia il reale degno di essere ammirato; quell’altro, tutto il resto, che è enormemente maggiore: il reale di passaggio, di transito, di sbieco, graffiato, quello storto, quello sfocato; un reale altro osservato in un modo altro. Non in piedi, con la testa vuota di pensieri davanti ad un vetro spesso, accanto a sconosciuti a guardare un quadretto che ci hanno detto essere uno dei risultati migliori che l’uomo abbia mai prodotto; ma solo, con la testa piena di pensieri senza alcun vetro davanti a guardare quello che nessuno ci ha mai detto di guardare e provare a farlo sdraiati, a testa in giù, appesi ad un filo, correndo, in tutti i modi in cui nessuno mai lo farebbe.
Poi, il compito più difficile arriva dopo; e quel dopo è un breve intervallo tra l’ora solare e l’ora legale: prima che tutto torni ordinario anche nella mente di chi ha sperimentato l’extra-ordinario o meglio il sub-ordinario, che è ancora meglio perché allude alla straordinarietà dell’atteggiamento. Prima…… che le vacanze scolastiche dove si guardano solo i bei monumenti, i depliant che mostrano soltanto le belle spiagge, i cartelloni pubblicitari che mostrano soltanto belle famiglie e bei corpi, le guide turistiche che ti guidano verso il bello….prima che tutto questo prenda di nuovo il sopravvento.
Non c’è niente di legale in questo tuo lavoro è tutto stramaledettamente illegale, è una continua trasgressione dello sguardo e della narrazione.
Sono felice di averti conosciuto e di aver parlato con te, perché altrimenti queste foto non le avrei nemmeno viste, ma non perché non mi sarebbero state proposte: perché se le avesse fatte qualcun altro sarebbero state da cestinare.
Questa per me è la chiave di lettura: la fiducia.
E con questa chiave, io redivivo Neo mi sono gettato nelle braccia di Morpheus e ho assaggiato un po’ di quella insipida pappetta al posto della solita succulenta bistecca: mi è piaciuta il giusto devo dire, ma mi ha lasciato un piacevole sapore in bocca e soprattutto ora sono più leggero.
“La fotografia che mi riguarda”
Per un solo istante mi è venuto voglia di prendere una bomboletta di nero e scriverlo sulla parete bianca del mio studiolo.
“aver detto tutto”
è un privilegio riservato a pochi: molti affrontano l’ultimo sonno senza essersi mai svegliati veramente, qualcuno avrà detto qualcosa, ma solo pochi avranno detto tutto quello che avevano da dire….non ci si può sempre superare: arriva un momento anche per questi Messner del pensiero o dell’espressività, nel quale dovranno rinunciare a scalare la vetta successiva e cominceranno a ricordare lentamente tutte le vette fino a quel momento conquistate.
Grazie, come sempre.
eloj
@eloj, per me è anche un esercizio. mi capita di riprendere questa illegalità – interessante considerazione – anche in ambito direttamente lavorativo. quindi mi alleno :)
ma perché da cestinare se le avesse fatto un altro?
Vedi Efrem,
credo che il “non aver più niente da dire” sia sempre una utile riflessione riferibile a sè stessi. Spesso il vuoto ci è necessario per trovare quell’intimità che ci riconduce a provare la meraviglia del vedere. Riuscire poi anche a descriverla quello è un dono vero e, come dico da tempo: non ha titolari o piedistalli.
Siamo solo un punto di vista sulla stessa cosa (almost): due mani, un corpo, dei piedi, e non ci vediamo la faccia (l’altrove che custodisce parte della nostra vita).
E siamo in tanti:
http://www.worldometers.info/
Quanto a me sono rimasto “basito” rimbalzando tra alcune mie fotografie, sai quelle che dici: “ma davvero le ha fatte lo stesso fotografo?”. E allora capisci che sai parlare e che è anche ora di cominciare a dire le cose. Non solo ripetere il mantra della solitudine: siamo in tanti.
Un abbraccio.
f.
https://dl.dropboxusercontent.com/u/47262222/FOTO/Fabiano_avancini_duo.jpeg
siamo in tanti, vero fabiano… ma evidentemente con occhi diversi. per fortuna. ed è inopinabile: è una domanda che va rivolta a se stessi quella di avere o no qualcosa da dire… troppo facile pensare che riguardi solo gli altri. ma il test migliore risiede in ciò che facciamo. sempre credo.
sono contemporanee le due immagini?
Così mentre siamo in macchina e si torna a casa mi arriva la tua mail del nuovo post! Lo leggo e soprattutto lo guardo: sono fotografie forti e commoventi tanto sono belle e “intime”. Adesso le riguardo e più avanti aggiungo qualcosa perché lo sento che devo farlo: grazie Efrem!
Sono foto di una bellezza disarmante. Davvero disarmante. Davvero.