La prima volta che ho incontrato Giovanna Calvenzi era il 1981.
Lei si occupava dell’iconografia de Il Fotografo, il magazine di Mondadori dedicato alla fotografia, e io fresco di militare, ancora universitario, mi guardavo attorno cercando di capire come fare il fotografo. Non c’era ancora la figura del photo editor.
Ero un outsider e non avevo fatto nessun percorso tipico: no scuola, no corsi, no workshop, no assistente. E qualcosa di tutto questo mi è mancato.
Se non altro perché avrei risparmiato del tempo.
No niente, avevo solo delle fotografie da mostrare.
Resto ancora un outsider con delle fotografie da mostrare.
È stata, Giovanna Calvenzi, in assoluto la prima persona che si è occupata del mio lavoro.
Non a chiacchiere… pubblicandolo.
La sua disponibilità di allora è invariata adesso. E questo è un elemento molto importante per chi fa il suo stesso lavoro.
Ha una grandissima dote: guarda.
Era da tempo che pensavo di intervistarla per il mio blog, perché non è semplicemente interessante il suo patrimonio professionale e, se mi è consentito, personale… ma è anche utile. A tutti.
A tutti quelli che a diverso titolo con la fotografia si relazionano.
Figura di spicco del panorama fotografico internazionale… farle un’intervista obliqua, di quelle che attraversano le sue diverse competenze, non solo è complesso, ma si rischia di produrre un saggio – intervista.
Il che sarebbe auspicabile, solo che questo è un blog. Con uno spazio in proporzione.
Ho quindi pensato di concentrarmi sui giornali, sui periodici, sul mestiere di photo editor. Che è roba attuale vista la situazione editoriale.
Più in là, chissà…
Intanto, domenica 5 gennaio sono andato a trovarla.
Verso la fine ci ha raggiunto la regista Marina Spada.
A margine:
il ritratto sopra è del 1997, quando Giovanna Calvenzi collaborava con il magazine Lo Specchio diretto da Paolo Pietroni. E io pure.
Questa l’intervista, in forma integrale: Calvenzi-Raimondi.Interview
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Che intervista! Divorata! Che donna! Piena di carica e di grinta.
Posso dire o è sconveniente, una photo editor con le palle? Adesso con il digitale è tutto diverso, ma ciò che ha fatto lei e altri o altre photo editor, nell’analogico…aspettare, scegliere, visionare, inviare, aspettare, confermare, stampare, i contatti con i fotografi, e altro…senza cliccare un tasto e via, mi ci sono tuffata in pieno…Le tue domande sono state significative, non è semplice intervistare! Complimenti a Giovanna ma complimenti a te Efrem! Solo chi è capace sa tirar fuori i contenuti.
ma veramente, lubi, io ho fatto solo delle domande. tutta la struttura ce l’ha messa lei. una struttura densa.
Bravo Efrem, a volte le piccole cose sprigionano grandi sentimenti.
Una intervista splendida! Altro che i giornali che sono indietro indietro!!! Ma ci vuole così tanto a capire che non funziona e che imparino dai blog se proprio non sanno. Copiare anche: perchè no?
Ah! Dimenticavo!! Sono molto concorde con Francesca e Vilma: l’immagine ultima, quell’interno é meravigliosa…
grazie Efrem per questa intervista densa di contenuti, una conferma che i blog siano oramai il luogo principale di produzione di senso.
Ho un bel ricordo (come già ti accennai) di Giovanna, una lettura portfolio a Modena nel 2001 in cui fu molto gentile con me e con le mie foto. Ma soprattutto ricordo bene la qualità iconografica dello Specchio della Stampa, di cui conservo ancora dei numeri, e ricordo come le copertine di Sportweek, con il suo ingresso, divennero “umanamente” e non solo sportivamente comunicative.
Questa intervista per certi versi sembra il riflesso di quello che ho sentito ieri a Firenze dove, in una giornata dedicata alla fotografia, ho sentito parlare alcune photoeditor del loro lavoro e della condizione della fotografia – intesa ieri soprattutto come reportage. Ne veniva fuori un quadro disarmante, dove la linea editoriale della rivista non è decisa dal direttore, e neanche dai manager o dal Cda, ma (come appunto detto anche qui) dall’inserzionista pagante, senza il quale la rivista evidentemente non esisterebbe. Quello che però sgomenta di più è che una photoeditor confessi di essere rimasta sorpresa scoprendo per caso (!) quanto l’immagine pubblicitaria (che ovviamente non è lei a scegliere) prevarichi i contenuti fotografici. “Ho capito che i contenuti non possono essere troppo forti per non disturbare la pubblicità” è stato detto in pratica. Questo è desolante per il photoeditor quanto per il lettore. “Non sappiamo cosa vuole il lettore”, ho sentito dire ieri, e qui leggo conferma e leggo anche di una “ricerca” volta a scoprirlo. A me pare la prova di un mondo oramai chiuso in se stesso, e autoreferenziale. A cosa serve la rete, se non per capire di cosa parla la gente, cosa vuole vedere, cosa vuole leggere?
Qui parlate di Internazionale, e anche ieri la photoeditor di Internazionale era l’unica a dire cose diverse della sua testata: che viene letta da un pubblico vasto perlomeno a confronto delle altre due (un settimanale “politico” e due mensili “femminili”), perlopiù giovane, e fonte di stimolo continuo.
E in effetti lei sembrava l’unica di buon umore….
Si è molto apprezzata l’onesta confessione delle altre, ma veniva una certa rabbia, da lettrice, nel sentire certe cose.
Contenuti, ecco cosa vogliono i lettori. Ma l’idea che un contenuto possa avere un ritorno economico è diventata oramai evidentemente fantascienza….
sembra una resa incondizionata. che decreta la morte di tutti. ma molte redazioni paiono non rendersene conto. altrimenti interverrebbero, appunto, sui contenuti. e per quanto riguarda la fotografia, tutta, mica solo il reportage, verrebbe rimessa al centro. la fotografia! non le figure! non le immaggggini! poi, si parla e si parla… di rete e di blog… solo che non si conoscono. ci si invaghisce di quattro robette importate. e si sventola la bandiera del made in italy. quale made in italy?
le responsabilità hanno nomi, cognomi e ruoli.
Amen.
Bella intervista ad una bella persona.
Hai ragione: Giovanna è disponibile e guarda. E aggiungo: ascolta.
Sono doti rare nella frenesia di auto-affermazione contemporanea.
Bel pezzo. Un unico pensiero laterale, per questo:
“La fotografia digitale è di per sé indifferente, neutra rispetto alle cose, mi vien da dire esattamente come lo è la pellicola…”
Concordo sulla neutralità della fotografia digitale: è un mezzo, e come tale va saputo usare. Mi è capitato di fare una profonda riflessione (quanto posso andare profondo io, in apnea cerebrale, ovvio) sulla differenza tra lo scattare in pellicola o in digitale, non ricordo se l’ho già scritto: Ho scattato chilometri di T_Max, EPR, EPP, Velvia, Provia e avanti, poi col digitale ho riempito scaffali di cd, dvd, hard disk etc. Mi sono trovato a scattare dall’altra parte del mondo, dove osano le papere, in diapositiva, a 18 euro a rullo (diviso 36 pose sono mille lire a foto+sviluppo, e ci pensi quando spari foto a caso), senza sapere quanto sarebbe durato il viaggio.
In pellicola scatti meno.
Stai più attento alla foto che abbia un senso, che sia un momento particolare del rapporto che hai col soggetto, l’empatia la vivi in maniera piena.
Trovo il digitale eccessivamente assertivo: controlli la foto sul visore, controlli il fuoco e ok, ce l’ho. You’ve got it, visto che parlavamo di marketing. Quando magari lo stesso soggetto, l’istante dopo che tu ti sei perso nel tuo autismo autoreferenziale, ha sorriso o ha cambiato l’intero senso della foto, e del reportage.
Siamo chiusi dentro il frame, ok, lo sappiamo, ma col digitale siamo chiusi nella sua ripetizione infinita. Dimenticando il soggetto. Il mondo è fuori.
Ti “vien da dire come la pellicola” perché è un mezzo, hai ragione, e anche lei va saputa usare. Prendendo le distanze dalla bulimia di immagini che viviamo nel frame digitale magari ci accorgiamo che anche ascoltare il soggetto è importante.
E Giovanna sa ascoltare.
per quanto la neutralià non esiste… o meglio, è virtuale. perché, come dici mi pare, i due mezzi, il loro uso anzi, cambia il tuo rapporto col tempo. quello che dedichi all’ascolto. col digitale, nel dubbio intanto scatti e sia quel che sia. poi si vedrà. è la bulimia di cui parli. non è facile tenerla sotto controllo. devi proprio importelo.
In equilibrio sopra la follia.
Mi sono innamorata dell’ultima fotografia postata! Non so cos’ha ma emana qualcosa di grande.
ritratto di un interno.
la pittura ambientale di Vermeer, de Hooch, de Witte……..
Bellissima intervista Efrem!
Tralasciando il discorso del digitale che ha inciso molto nel cambiamento di questo settore vissuto negli ultimi 10/15 anni mi ha colpito molto leggere della fondamentale importanza delle intenzioni umane, l’uomo col suo bagaglio di conoscenze che mira a un obiettivo nobile. Mi fa pensare che non tutto è perso, che c’è speranza e che l’uomo con la sua intelligenza è ancora al centro di tutto, nel bene e nel male.
invidio il tuo ottimismo andrea. dico davvero. sperém!
l’intervista è molto interessante, anche per chi, come me, non sa nulla sull’argomento e non ha le necessarie competenze per porre domande.
Una però ce l’avrei: questa figura così importante che può incidere enormemente sulla qualità, la credibilità, la coerenza di un giornale con il suo ruolo cardine di ‘traghettatrice’ che si occupa “di produrre delle immagini in sintonia con il giornale”, oltre che per la carta stampata, esiste anche per altri media (cinema, televisione, internet ecc.)? Mi capita spesso di chiedermi, seguendo un notiziario o uno dei tanti programmi-contenitori di informazione, attualità o cultura, chi ne ha scelto le immagini, come può essere possibile che mentre il cronista ci racconta quasi in tempo reale una notizia del giorno, sullo schermo passino immagini che non c’entrano niente, gente in infradito su una notizia di gennaio, giacche a vento a luglio, scene di repertorio già viste, se poi vogliamo ”qualcosa che parli dell’IMU”, allora via con le infilate di strade, balconi, finestre, sempre le stesse, si riconoscono dagli stessi fiori sul balcone, dalla stessa signora affacciata…..
una specie di accompagnamento visivo senza relazione alcuna con ciò che dice la voce ‘narrante’.
Ma il termine ‘audiovisivo’ ha un qualche significato per la nostra televisione? Il subdolo senso di straniamento provocato da questa discronia tra udito e vista non costituisce un attentato alla salute mentale degli spettatori, oltre che una palese manipolazione dell’informazione a scopi illeciti?
Insomma, se la carta stampata è in crisi, mi pare che in altri ambiti ci siano molti posti vacanti, o malamente occupati.
personalmente non so dire se all’interno delle redazioni tv sia prevista la figura del photo editor… in attesa di smentita, a naso, direi di no. per le edizioni web dei giornali, alcuni certamente prevedono la figura. a parte ciò è verissimo: l’attenzione giornalistica all’immagine, lascia a desiderare. più in generale intorno all’immagine tutta c’è un diffuso pressapochismo. poi ci sono le differenze. che sono fatte dalle singole persone. appunto come si diceva nell’intervista. tempi duri cara vilma!
Intervista davvero ok. Che dà luogo a varie altre domande: una intervista-scatola cinese :-) A un paio PERÓ sarebbe stato meglio approfondire di più. Mi piace molto il ritratto che le hai fatto e anche l’ultima: grande atmosfera.
anche più di un paio avrebbero avuto bisogno di altro spazio, alessia… ma come fare? qua ci sono c.ca 14 pagine A4!
di più?
Attenta ed intelligente analisi, offre ottimi spunti: Giovanna immensa, basta leggerla per capirlo.
Interessantissimo!
Grazie per questo post, Efrem.
parafrasando proprio giovanna calvenzi, direi che in questo caso ho fatto il traghettatore, michele