Da dove partire?
Dall’urgenza.
Il motore fotografico forse è davvero questo: l’urgenza di esplodere.
Non ha importanza poi la tinta, se un acquarello pastello o dei graffi d’inchiostro… uguale. Ognuno modula come gli pare.
Ma l’urgenza non ha a che fare con gli altri, non riguarda il consenso, né tantomeno il successo: è un fatto privato. Intimo.
Fotografare è sputare l’anima. E quando la sputi te ne accorgi.
Non hai bisogno di nessuna conferma. Non servono pacche sulla spalla.
Ciò che si racconta è il presente. La matrice espressiva risiede nella nostra memoria, senza la quale rimbalzeremmo muti e frenetici.
Questo ritratto a mio padre, Luigi Raimondi, è stato fatto sull’urgenza del tempo.
Quello che non avrei più avuto da condividere con lui. Si rimanda si rimanda si rimanda… poi ti dicono che tuo padre sta morendo.
E non l’hai mai ritratto.
Questa è l’urgenza per un fotografo, o per chiunque usi il linguaggio come dinamica dell’io. Quello interiore e che non sai neanche bene dov’è ficcato. Né cosa lo spinga a imporsi con prepotenza.
E la memoria ti serve per dargli una forma. Questo almeno vale per me.
Il ritratto più sofferto della mia vita… in banco ottico, col telo a nascondere il mio sguardo allucinato.
Un camuffamento momentaneo visto che poi il risultato è questo.
Era l’ottobre del 1995. Ero molto più giovane. Era un altro pianeta.
E non ero ancora orfano.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Toyo 45 G, Rodenstock 180, Profoto flash, Agfapan 100.
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Ritratto straordinario e fortemente evocativo non c’è dubbio. Trovare la forza di farlo e risolvere così è una rarità. Magnetico.
grazie Andrea. ma appunto come ho scritto è stato dettato da un’urgenza… non potevo sottrarmi.
E’ vero Efrem!!! Dietro la macchina dimentico tutto…..non penso a nulla, prima e soprattutto dopo e’ un susseguirsi di pensieri, parole, immagini!!!
In quella cicatrice chiusa, dovuta forse ad una splenectomia(?) Ho rivisto Papà nei giorni della sua malattia. Ricordo che passavo i Sabati mattina durante la convalescenza, cercando di ritrarlo. Li, sulla sedia a rotelle..così diverso dal Padre forte e pieno di risorse che conoscevo io. Mi ci ritrovo in questa urgenza. Cercai il suo sguardo in maniera frenetica attraverso una Canon A1 dimenticandomi che non era il momento per i tecnicismi e che i Sabati passavano inesorabili.
Ancora una volta, rapito da quello che scrivi ..che in fondo non è lontano da come fotografi.
caro Fabio, quando fotografiamo dovremmo sempre NON pensare. prima e dopo è fondamentale, ma durante è un rischio che ci espone e non ci permette di essere davvero espressivi.
non è una regola assoluta ovviamente, ma a me funziona. altrimenti non sarei riuscito a ritrarre mio padre in questa circostanza.
e qui veniamo all’urgenza… che se è tale ti dà un vero calcio in culo e ti trovi a fotografare senza porti alcuna domanda.
anche se capisco perfettamente quello che dici. non è comunque facile.
ciao
L’urgenza! Mi hai fatto pensare a tutte le volte in cui mi sono fatta intrappolare nel conflitto genitori/figli. I miei genitori, che spesso hanno richiesto da parte mia relazioni impegnative, (credevo), mentre fotografarli è stato così semplice e spontaneo. Sensazione che dovrei ricordare più frequentemente quando sono con loro e il tuo post mi ha portato a pensarci. Grazie Efrem, splendida questa fotografia!
infatti Roberta, a volte può funzionare anche così.
l’urgenza comunque vale per tutto
Superlativa! Un’immagine che toglie il fiato.
Il testo una lezione vera a tutto tondo. C’è talmente tanta vita…
ma veramente grazie Fedigrafa…
Un’immagine, un deja vu che mi riconduce ad un passato, immobile nella mia memoria.
Thanks
❤️
Dove trovo le foto del ’66 Efrem?
eh… ma proprio per mano Gabriella :)
https://blog.efremraimondi.it/football/
Mi inchino al tuo post e a questo ritratto. Tutto molto intenso, vivo, sublime. Non aggiungo altro perché molto è stato già detto anche nei commenti; molto bello leggero la sinergia che si respira, quando uno scritto raggiunge altre vibrazioni e scende in altre profondità. Quello che oltre il già detto non so dire, resta silenzioso, perché le parole raggiungono un limite, almeno per me, certe cose ti attraversano , ti smuovono e tuttavia restano mute.
molto gentile janas.
infatti tutto parte dalla fotografia… le parole dopo. e comunque appunto raggiungono un limite. anche la fotografia, ma è un altro
E’ verissimo tutto quello che dici Efrem. Il cortile di gioco è comune a tutti. ti abbraccio.
già claudio… e per questo se sappiamo usare la fotografia, se arriviamo persino a coincidere, dobbiamo farlo.
ricambio l’abbraccio
Non riesco a smettere di guardarla. Vado su altre pagine, mi alzo, faccio altro e poi ritorno qui e osservo il tuo papà. La sua cicatrice e il suo sguardo, quell’accenno di sorriso quasi malinconico che ti lancia, orgoglioso che dall’altra parte ci sia tu, suo figlio. E le sue mani in tasca… La guardo e la riguardo. Mi commuove. E non sono solo le tue parole. E’ l’amore che c’è che mi commuove.
@Antonella – grazie! forse in effetti è un po’ ipnotica anche. e anche se non spetta a me dirlo, lo dico lo stesso: condensa elementi di linguaggio trasversale e comuni. grazie ancora
<3
li conosci i ritratti del Fayum?
molto superficialmente… perché?
la consapevolezza di quello sguardo. anche se qui non è diretto, forse proprio per via di quella assorta pensosità, la consapevolezza è la medesima. è un ponte.
tu dici? non saprei…
Non ho un vocabolario abbastanza ricco per poter esprimere quanto mi abbia toccato questa fotografia.
Grazie!
il vocabolario, a volte, non serve mario. almeno credo… grazie a te!
si, l’urgenza di esplodere, si…
hai fatto bene a ritrarlo.
ho perso il mio lo scorso fine aprile, la mamma a 14 anni…ok del babbo ho foto, di lei poche in b/n, sai che bello se fosse ancora qui ritrarla?
hai fatto bene, sono attimi che non ritornano e vanno fermati nel tempo.
“E la memoria serve a dargli una forma” questa tua frase mi rimanda a Barthes…quando muore sua madre e cerca nelle fotografie quel certo qualcosa che gli rimandi il suo ricordo e alla fine la trova…La memoria ha dato forma ad una foto di lei bimba, l’ha riconosciuta in quella foto.
Scatti e basta, non c’è altro da aggiungere.
mi spiace per questa doppia perdita, lubi.
per ciò che riguarda la storia di questo ritratto in fondo è semplice: non potevo sottrarmi. è comune a molti fotografi.
un tentativo ultimo di fissare il tempo. quel bastardo che si porta via tutto.
era solo per congiungere la risposta che l’ho scritto, come condividere la morte…purtroppo è la vita…volere o volare…boh…
hai fatto bene a ritrarlo!!!
Ciao Efrem, ho pensato prima di scrivere tanto tempo. Non mi mancavano le parole ma l’emozione nel vedere questo ritratto di tuo padre mi ha condizionato. La forza. lìenergia che sprigiona è enorme. Si vede anche tanto del rapporto forte che c’era tra voi. Non so come tu sia riuscito però a farlo. Io non sarei stato capace. Ma è anche vero che io non sono un fotografo. Forse mi colpisce tanto anche perchè è una situazione che ho vissuto, non lo so, però riesce a trasmettere tanto.
Ti ringrazio di cuore per averla pubblicata nel tuo bellissimo blog.
Con affetto, Ermanno
buongiorno ermanno, che dire… le tue parole mi commuovono.
e capisco che non tutti avrebbero fatto la mia scelta, quella cioè di ritrarre il padre data la situazione.
ma questo vale anche per i fotografi: ho ricevuto testimonianza diretta di un collega che purtroppo si trova nell’analoga
condizione. spero per lui con esiti diversi. e anche lui mi diceva che proprio non ce la fa a slittare sull’ambito fotografico il
suo percorso emotivo. capisco anche questo. per me non è stato così. per me era invece urgente ritrarre.
è così, non so giustificarmi. ciao ermanno.
i always share your sites post with my friends. keep posting and i will follow you…
grazie!
Bellissima foto! Bello anche l’articolo: in poche parole hai detto tanto.
Era un altro pianeta, hai ragione. Sono ansiosa di vedere queste fotografie del ’66!
Come avrai notato non sono una tua “amica di facebook”. Anzi non lo frequento affatto. Ciao Efrem.
a breve diletta… a breve le fotografie del ’66. promesso.
ciao!
Ciao Efrem, io sono quello che ha fissato x 20 minuti il tuo scatto e, per cercare di avvicinarmi alla tua prospettiva, ho immaginato intensamente che il soggetto fosse mio padre, pensando che solo così sarei riuscito a comprenderne il messaggio. Ora, io non ho la certezza che quanto abbia percepito sia la tua stessa visione; ma posso solo esprimerti quello che ho dedotto: Al principio potrebbe risaltare l’amore che nutre un figlio verso il padre, ma, dopo averlo studiato con più attenzione, sono rimasto sorpreso dal risultato; guardando intensamente il soggetto, sono emersi lampanti alcuni dettagli. Vedo fragilità, vedo stanchezza, vedo paura e vedo consapevolezza della fine….ma soprattutto vedo fierezza, vedo orgoglio e coraggio in quest’uomo…e non sono i primi dettagli ad impressionarmi, bensì i secondi. Non so se quanto abbia scritto sia facilmente comprensibile, ma il tuo scatto mi dà un messaggio chiaro e tondo: siamo parte di qualcosa di molto più grande di ciò che pensiamo, e questo è il volto di un uomo che sà di aver dato il suo contributo a quella grande, infinita e misteriosa sostanza che chiamiamo vita.
la capacità evocativa fabio! esattamente quello che dici. e non è importante che le visioni coincidano…
ognuno ha la propria memoria dove attingere. ma il cortile di gioco è comune.
Finalmente…capacità evocativa, evocazione…finalmente si parla della natura della fotografia. Quel piattume modaiolo “evocato” da Giulia Degoli (che è riscontrabile in tutti i generi della fotografia) è generato proprio da chi ha il terrore
nei riguardi di una fotografia dai tratti evocativi.
La fotografia di Efrem su cui stiamo discutendo sembra molto chiara e decifrabile ma in verità evoca qualcosa di tragicamente inafferrabile, un abisso che accomuna tutti noi che la guardiamo in modo diverso. Ogni autore ha il suo abisso così come ogni fruitore di un’immagine ha il suo.
uno dei motivi di questo blog risiede proprio nella voglia di parlare di fotografia. in primis da parte mia…un fotografo cazzo! (fatto anomalo).
e poi sono davvero stufo di sentire e leggere una marea di minchiate atte a giustificare delle fotografie mediocri. per riviste mediocri zeppe di ciao caro.
è profondamente giusto maurizio a ognuno il suo. e a noi il nostro.
Trovo straordinaria questa fotografia. Un regalo per il quale non ci sono parole adeguate per ringraziarti. Trovo anche meraviglioso il tuo testo, forte e commovente: forse davvero punk come dici tu ogni tanto. E mi piacciono anche le parole di Maurizio De Bonis: “ogni autore ha il suo abisso così come ogni fruitore di un’immagine ha il suo.”
Mi piace molto questo tuo spazio. Verrò ancora a trovarti se me lo concederai. Grazie!
posso solo ringraziarti per l’apprezzamento valeria…ehi, se passi di qua è solo un piacere!
Ho fatto vedere questo post e questa foto a due persone. Una ha pianto, l’altra è rimasta ammutolita per 20 minuti; entrambe hanno pensato al loro rapporto col padre. Credo sia la chiara dimostrazione che la comunicazione, a livello profondo, a volte personale, funziona! C’è qualcosa di ancestrale in questa foto, Raimondi!
la fotografia, giulia, ha nel suo dna la capacità di evocare sentimenti comuni. alcuni, è vero, ancestrali.
quando accade il transfert è immediato. e potente.
quando accade.
La lucidità di quello che scrivi sulla fotografia come urgenza di definizione di un essere prima che di uno sguardo, la forza spiazzante e commuovente di questo ritratto, mi ricordano con enorme piacere cosa voglia dire essere un autore. Una boccata d’ossigeno nel piattume modaiolo della produzione fotografica che si vede in giro!
ti ringrazio per l’apprezzamento giulia!
il piattume modaiolo della produzione fotografica, come tu dici, risponde alla necessità di rendere mediatico il contenuto della foto.
non espressivo: m e d i a t i c o . cioè presentabile e esportabile ovunque.
e tutto è possibile. anche far passare il cammello per la cruna dell’ago.
Già, e mi piacerebbe capire un giorno se dietro questo pensiero ci sia l’idea che il fruitore “tipo” ha bisogno di un prodotto dalla lettura semplice e immediata o la mediocrità di chi sta dalla parte della produzione delle immagini.
Oh, questo è un blog polemico :)
la cosa tragica è che non viene prodotta fotografia semplice. la semplicità, raggiungerla, è fatto complesso. che ha bisogno di impegno.
mentre siamo di fronte a un prodotto ampiamente artefatto. complicato e ormai schizofrenico.
la fotografia è autoreferenziale. quello che accade è che le si vuole impedire di esserlo.
probabilmente anche per mediocrità.
fare fotografia e usarla sono percorsi convergenti. pare che i magazine tendano a sottrarsi all’impegno.
Non c’è distanza, non ci deve essere distanza, ma solo urgenza di esplodere…sì…
Quanto è potente questo concetto ! In effetti è la garanzia del peso reale di un’immagine, che è già dentro noi stessi, ma richiede di uscire allo scoperto, e dipende sempre dalla consapevolezza di aver stabilito un legame tra il dentro e il fuori, il passato e il presente, è un filo teso tra questi due estremi, ma l’unica via possibile…
esatto claudio… è che non riesce sempre. ma quanto più riduci la distanza di cui parli, tanto più l’immagine passerà da latente
a evidente. a volte dirompente.
” E la memoria ti serve per dargli una forma”. E’ interessante questa tua frase. La memoria da forma, e la forma diviene contenuto nel presente. Memoria (degli affetti) come attualizzazione del passato nel presente, un presente che in fotografia può durare nel tempo, perché (ri)generato da ogni nuovo sguardo. Per me questa tua immagine, che ovviamente ha per te un grande valore privato, è anche un atto filosofico-poetico (il che aumenta il valore privato dell’immagine).
Sophie Calle fece un video alla madre nel momento del trapasso…
che grande piacere maurizio!
esatto… è la dilatazione del tempo presente. la cosa più estranea all’attualità (di cui non me ne frega niente).
ed è vero quello che dici sul gesto… forse il tentativo di rendere meno privata questa fotografia. altrimenti non credo l’avrei fatta.
che credo sia l’esigenza primaria: fare per sé e poi liberare senza patemi l’immagine.
questa fotografia è stata a suo tempo nel cassetto un anno. non è stata immediata la sua liberazione…
Vale per tutti, ma non tutti ne sono capaci…
Peró, pensandoci, anche il non essere pienamente capace è immagine di se stesso…
ci si prova. poi semmai ci si arrende.
La tua urgenza parla chiaro di te… Fotografia che è fotografia di te stesso…
vero! ma credo valga per tutti l’autoreferenzialità.
soprattutto in un ritratto. lo so… è un paradosso. ma ci credo.