Una pura formalità…
Non l’ho mai fatto.
E in fondo non mi piace neanche parlarne.
Di tecnica fotografica…
Ma di fregnacce se ne sentono, e se ne leggono tante.
Anche troppe. Soprattutto in epoca di didattica diffusa. O sfusa.
Che purtroppo si traducono in fatti concreti, cioè in fotografie… meglio usare il plurale, che il singolare, fotografia, appartiene a un altro genere.
E questo danneggia fortemente la salute: meno quella oculare e più, molto di più, il binomio cranio – fegato.
Che se almeno rimanessero parole a vanvera, come d’abitudine, potremmo scartarle con grande facilità vista la scarsa propensione alla lettura che, ci dicono i dati, abbiamo.
La tecnica non è il motivo principale di nessuna fotografia, e anzi non è neanche un motivo.
Ma per quanto fastidiosa, è ineludibile. Chi dice il contrario bluffa.
E più la si possiede, più è dimenticabile.
Si usa e basta. E non si è usati…
Karl Marx sosteneva che chi conosce più parole ha più potere.
E non è necessario essere dei seguaci del Materialismo Dialettico per capire che è prorpio così.
La tecnica è semplicemente uno strumento di precisione, quello che ti permette di esprimere chiaramente ciò che intendi dire.
E quando davvero lo dici, e fortemente lo ribadisci, non la si nota neanche.
La fotocamera analogica più complessa da usare è la usa e getta – disposable camera.
In digitale l’iPhone o qualsiasi altro smartphone.
Questo proprio perché l’apparato tecnico è di proprietà del mezzo.
La fotocamera più semplice, per entrambe le sponde, è il banco ottico. Proprio perché si limita a fare il suo lavoro, cioè essere uno strumento ottico che disciplina la luce.
Come, dipende totalmente da noi.
In generale, più un’immagine ci appartiene e la ribadiamo, meno notiamo intrusioni meramente riconducibili allo strumento.
Recentemente ho sentito da qualche parte, non ricordo dove, che mai come oggi la fotografia è florida. Credo che mai come oggi sia emulativa e strumentale. Profondamente taggata dal mezzo.
Il ritratto sembra essere l’ambito più esposto, forse perché il più popolare.
Il più consumato, masticato e vomitato.
O forse solo perché il modo più semplice di riproduzione della specie, senza l’obbligo della distinta femminile.
Ed è proprio sul ritratto che entro nel merito di una specifica, una sola: l’ottica. Perché è da qui che si parte. Ed è una cifra predeterminante.
A riguardo se ne leggono di tutti i colori… random una manciata di cliché a scelta.
Non sono un didatta, non ne ho la patente. Ma pratico. Siccome, e me ne stupisco, succede che mi venga chiesto, lo metto per iscritto.
Che è essenzialmente un modo per evitare di ripetermi, e qualora ricapitasse ho un link da spendere. Comodo comodo.
Sottolineando che non è una verità. In fotografia non ce ne sono, esiste solo il relativismo. Che però a maggior ragione non è confondibile col fatto che qualunque cosa abbia diritto di cittadinanza: tutto si misura sempre con la fotografia che si ha davanti. E non sostituibile da alcuna parola, da nessuna descrizione: linguaggio autonomo.
Quando parlo di ottiche mi riferisco esclusivamente alla lunghezza focale.
Ognuno faccia come gli pare, io faccio così: due sole obiettivi a disposizione, un normale e un grandangolo medio. Più, a corredo, un set di tubi di prolunga, che uso applicato al normale.
Questo lo standard, indipendentemente dal formato. E con questo set economico si va dappertutto. Si ritrae chiunque.
Il cosiddetto normale è quello che fa più o meno coincidere se stesso con la diagonale del formato. Restituendo un’immagine molto simile a quella che i nostri occhi percepiscono.
Il fatto che spesso in epoca analogica, quindi prima del boom degli zoom, fosse di default montato sulla fotocamera primo acquisto, praticamente sempre una reflex 35 mm, ha fatto sì che il 50 venisse snobbato. Perché considerato economico, sinonimo di scadente.
E anche adesso, nel pieno del testosterone digitale, soffre di questa memoria.
All’inizio anch’io, uguale: con le mie due 35 mm usavo di tutto meno il 50.
Ma è l’obiettivo più duttile che esista: una meraviglia.
E a farmelo scoprire è stato il banco ottico. Nel formato 10/12 col 180 mm, mentre col 20/25, di rado e solo in studio, il 360 mm. Quindi in realtà in entrambi i casi leggermente più lunghi delle reciproche diagonali. Come del resto lo è il 50 per il full frame.
Dall’uso pressoché esclusivo del banco nel decennio 1986 – ’96 ho mutuato la necessità, vitale, del tubo di prolunga per gli altri formati.
Il mio modo per avvicinarmi…
Per me estremamente utile e accondiscendente nello ”sfondare” i piani mantenendo volume. Cosa non altrettanto vera per i teleobiettivi, non nella stessa misura. Che mi danno l’impressione di appiattire troppo. Come di schiacciare.
E poi a me piace il contatto quando fotografo. E un tele, anche se medio, allontana.
Quanto al grandangolo giro intorno all’equivalente di un 28/30 mm, in subordine al formato.
E qui conta molto la distanza dal soggetto. Ma se usato con attenzione non c’è deformazione, solo una leggera spinta: lo trovo un obiettivo dinamico, tanto che spesso col medio formato digitale lo preferisco al normale.
Piuttosto, non so perché ma trovo ostile, o quantomeno ostico il piccolo formato – full frame – nel dialogo col ritratto. Soprattutto se verticale. E infatti appena posso mi rifugio nell’orizzontale, che mi sembra alleggerirne la compressione.
Tutto ciò detto è indubbiamente una faccenda mia, una nota tecnica poco significativa. Certamente indegna per qualsiasi forum o consesso fotografico.
Se però a qualcuno può interessare, adesso è a disposizione.
Così come il Rodenstock Sironar-N 360/6,8 di cui ho parlato prima: lo vendo.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Nell’ordine:
Emanuele Filiberto di Savoia, 2007 – Men’s Health mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N
Alice von Platen, 1998 – Primo Piano mag
SMC Pentax 105 + extension/Pentax 67
Noel Gallagher, 2005 – Sport Week mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N
Renato Dulbecco, 1997 – Capital mag
SMC Pentax 105 + extension/Pentax 67
Fernanda Pivano, 2005 – Personal work
SMC Pentax 55/Pentax 67
Cat Power, 2012 – Rolling Stone mag
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII
Massimo D’Alema, 1996 – Capital mag
Rodenstock 180/Toyo 45G
Jovanotti, 1999 – GQ mag
Rodenstock 180/Toyo 45G
Valentino Rossi, 2001 – GQ mag
SMC Pentax 55 /Pentax 645N
Nicky Hayden, 2006 – Men’s Health mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N
Francesca Piccinini, 2011 – Playboy mag
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII
Fiorello, 2000 – GQ mag
SMC Pentax 105/Pentax 67
Ron Arad, 1989 – Stern mag
Rodenstock 90/Toyo 45G
Alessandro Zanardi, 2007 – Men’s Health mag
Hasselblad 80/Hasselblad H3DII
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII
O mio dio. Che bello. Che bello parlare di tecnica che diventa così importante da diventare secondaria. Che bello sentire paralare di distanza dalla persona come elemento fondamentale per un ritratto. Magnifico. Un po’ di di più antropologia, un po’ empatia, un po’ meno microcontrasto, un po’ meno nitidezza.
VIVA!
a tratti ho capito, a tratti no nicola. ma è un mio limite. se però…
beh con ‘paralare’ intendevo parlare.
Se invece non hai capito i riferimenti a ‘microcontrasto’ e ‘nitidezza’ meglio così è solo il tedio dei forum dedicati alla fotografia, dove chi sostiene che non si possono fare ritratti con ottiche più corte del medio tele (85 mm su 35mm) e che meglio farli dal (solito) 135 in su. Costui si ritrova con i soliti milioni di commenti positivi.
Nessuno. Nessuno osa chiedergli se non pensa di perderci qualcosa dal lato umano, se non pensa che essere a 6 metri da una persona implichi in distacco che nella foto sarà la cosa più visibile. Il ritratto come stilema e non come incontro.
Le tue parole e tue foto a me sembrano invece degli incontri molto interessanti.
Parole e foto di chi conosce Flaherty e Vertov e così si interroga per fare una foto migliore e non parole di chi guarda i test MTF per fare migliore.
Insomma o s s i g e n o.
Spero di aver fatto meno errori e di essere più comprensibile. Grazie
ohhh… così mi è chiaro. in effetti le allusioni al microcontrasto ecc non ero in grado di coglierle.
devo però confessare di non conoscere flaherty… non escludo di aver visto qualcosa, ma non ricordo al momento. mentre vertov l’ho visto una marea di anni fa in una rassegna sul cinema sovietico. in un cineforum, come si usava.
in realtà sono abbastanza istintivo quando fotografo. e trovate le mie due ottiche + tubi vado dritto. con qualche rara eccezione.
è strano però che si continui a pensare per cliché. sul ritratto poi… che è davvero ambito dove il tuo sguardo diventa importante.
poi ovvio, tutto è discutibile. la fotografia non parliamone!
sei stato chiarissimo. grazie nicola
top!
Quante emozioni osservando le tue foto. Ti ringrazio!
ti ringrazio io cristiana!
50ino orrizzontale..colpito e affondato. me lo insegnò qualcuno eheh
50ino… evoca adolescenze d’altro mondo :)
Da possessore di reflex con obbiettivo zoom -uno solo, per scelta, non voglio avere troppi orpelli da portarmi in giro-, da un po’ stavo meditando sull’acquisto di un ottica fissa “normale”.
Forse è per avere un risultato diverso su alcune foto, più simile a ciò che ho in testa, o forse è la voglia di ridurre ancora di più l’attrezzatura.
Togliendomi la possibilità dello zoom, posso usare solo cervello, gambe e schiena per ottenere la composizione che voglio.
Credo che questo post velocizzerà la mia decisione…
A parte questa nota personale, credo di scarso interesse per tutti, voglio ringraziarti per i continui spunti di riflessione che ci offri.
Concordo pienamente quando dici che “La tecnica non è il motivo principale di nessuna fotografia, e anzi non è neanche un motivo. […] E più la si possiede, più è dimenticabile.”
E’ un concetto che distrugge con solennità e leggerezza milioni di discussioni da cui siamo inutilmente bombardati ogni giorno.
Ed è anche un concetto che (purtroppo) non viene quasi mai trasmesso a chi si avvicina al mondo della fotografia, forse perchè è più consolante pensare che un buon risultato fotografico si possa ottenere solo con una buona attrezzatura ma con poca tecnica e poca applicazione.
mi fai venire in mente le parole di ernst haas: il miglior teleobiettivo sono le nostre gambe. rende no?
è vero, lo zoom semplifica, ma sul ritratto credo di no… anzi complica. solo un’opinione la mia, naturalmente. che si basa solo su come affronto il ritratto.
sulla tecnica hai ragione… ci si perde in un sacco di parole. e poi non la si affronta. io, sinceramente, guardo con molto sospetto anche chi però teorizza che se ne può fare a meno…
credo, appunto, che basterebbe non accorgersi della sua presenza. semplice no?
Applausi!
e allora m’inchino
Forse la parola”normale” non induce attenzione e si snobba? Di tecnica confesso di non capirne niente ma per l’utilizzo “famigliare” che faccio della fotografia mi sembra non avere problemi :-)
Tu Efrem non sarai un didatta però le tue fotografie insegna! Stupendo il ritratto alla Pivano. Ma anche a Jovanotti e Cat Power, ma anche tutti. Quello a Alice von Platen mi ha molto toccata e non sapevo chi fosse! Poi ho capito perché. Naturale che a un certo livello la tecnica diventi importante e è così per tutto.
poi hai capito perché… cioè? giusto per capire anch’io :)
Beh una psichiatra Tedesca che ha fatto parte del Processo di Norimberga! Nella tua fotografia con la testa abbassata e Lo sguardo celato c’è tutto. Commuove per intensità
anch’io ho interpretato la fotografia nello stesso, identico modo di Valeria, una donna che ha guardato negli occhi il peggio del genere umano e che ci nasconde il proprio sguardo…… forse è una resa davanti al potere del male, o un’accusa per l’orrore col quale ha dovuto confrontarsi, o un modo di estraniarsi da ricordi insostenibili……
e il fotografo, perché ha scelto di fotografarla così?
esattamente per lo stesso motivo. anche se c’è un’altra immagine, e l’ipotesi, come a volte faccio, era quella di comporre un didittico. in effetti è il dittico che venne allora pubblicato
Anche se è molto che non commento, leggo sempre, totalmente d’accordo su tutta la linea…
ma in effetti ci si chiedeva che fine avessi fatto :)