#RANDA 213 – Nino Saetti.
Fotografo e amico che se l’è vista davvero brutta l’anno scorso a San Siro prima di un concerto di non ricordo chi.
Lui lì a fotografare, cioè a lavorare.
Nino Fuori Modena, tutti i fan di Vasco Rossi lo conoscono così.
Un fastidio insistito. Un dolore. Cuore a pezzi.
Per fortuna era a un quarto d’ora da uno degli ospedali cardiologici migliori al mondo.
Sono andato a trovarlo. E non c’è stato bisogno di niente… ho capito che gli avrebbe fatto piacere lo ritraessi.
Io in realtà ero un po’ titubante. Perché lo vedevo provato.
Con l’iPhone, che è meno formale – non so se lo sia davvero – lui mi ha guardato così, e ho scattato.
Perché ci ho messo quasi un anno a mostrarglielo?
Non lo so.
Lo faccio qui, adesso che sta bene: #RANDA 213.
Nino, va’ che mi devi una cena.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Condividi/Share
Vorrei fare un abbraccio a Nino, non lo conosco ma conosco il suo percorso di ribilitazione e sò che un abbraccio fa bene, quanto vedere la tua fotografia Efrem che demarca segna fa rinascere.
Grazie a Voi due.
glielo comunicherò. grazie a te.
Grazie AMICO Efrem….
Ritratto fantastico .. mi ha lasciato senza parole e con un brivido lungo la schiena.
Sei riuscito a ri-trasportarmi a quei giorni… sei Magico !!!!
La cena è il minino…
Onorato di questo tuo ritratto,tu che per me sei stato e sei uno dei piu ‘Grandi maestri !!!
P.s Ho dovuto farmi venire un infartone ,per avere un tuo ritratto ;-)))
senza infartone non sarebbe stato lo stesso ritratto. mi fa un enorme piacere poterne sorridere insieme.
e immagino bene che a un anno di distanza trovarselo davanti così, senza alcun preavviso, sia stato un bel tuffo.
un gran bel ritratto, Efrem!
grazie mille Titti!
Nino è veramente un Guerriero.. Lo conosco da tempo..
Tu, con questo scatto, mi hai portata in quel momento..
per fortuna quel momento è passato. però vero, le immagini contribuiscono a ricordare. trascinandosi dietro tutto quello che siamo stati. e a ricordarci, a volte, che potremmo essere migliori.
perché le facciamo?
Nel caso specifico, per sfida, guardando il male in faccia senza temere di rappresentarlo.
Perché ci hai messo un anno per mostrargli quella foto?
Non è un caso che tu la mostri ora che il tuo amico sta bene, la sfida è vinta (da te e da Nino).
In una società distratta che ha rimosso la malattia (e la morte) dall’esperienza comune, ci hai ricordato che non sono due eventi che riguardano gli ‘altri’, ma ‘noi’.
personalmente so perché le faccio vilma. c’è quello che dici. anche. ma soprattutto il fatto che se la fotografia coincide con la propria vita, è ineludibile qualsiasi situazione che si ritenga significativa. e ovviamente non logico. e arbitrario. però vero che c’è chi certe situazione le affronta. e le ritrae. ma non le mostra. e questo è un altro ulteriore passaggio. e non c’è alcuna assoluta regola morale.
condivido totalmente il tuo punto di vista sulla rimozione della malattia. della morte. ma soprattutto del deperimento… dell’invecchiare.
per fortuna almeno in questo l’iconografia trascende.
Il tuo amico ha gli occhi di un guerriero.
La tua capacità di ritrarre li ha svelati
un guerriro comprensibilmente preoccupato nella circostanza. però sì, ha lottato.
Bellissima !
grazie!
Ritratto stupendo. Difficile però sono molto contenta dell’esito. Grazie Efrem, Nicoletta
l’esito è ciò che conta. grazie a te Nicoletta.
Come sempre la tua fotografia colpisce dritto al cuore (non vuole essere una battuta) ed allo stomaco. Grazie per le lezioni di fotografia che ad ogni post ci doni.
grazie a te per la cortesia Maurizio
A tempo opportuno, vorrei chiacchierarci con te di quelle foto che facciamo ma che non riusciamo a far vedere
comincio dal punto fondamentale, una domanda che dovremmo porci: perché le facciamo?
Io le faccio per ricordarmi che sono anche quello, l’essere fragile, mortale. Guardarle mi fa amare ogni foglia, ogni sasso. Guardarle mi fa alzare alle cinque e cantare. Certe foto sono poesia.
quindi poi cosa succede? le mostri? perché la domanda posta da nicola petrara è questa. a fronte di immagini che affrontano il male. il malessere. talvolta anche la morte.
se le produciamo, poi che ne facciamo, le mostriamo? le esponiamo? quale il nostro senso del pudore? con cosa coincide?
la mia risposta ce l’ho: c’è una sola unica immagine che ho ancora nel cassetto. da 23 anni. le altre, qualsiasi altra, non mi crea problemi.
ma non è un giudizio il mio. ognuno faccia come ritiene.
Ci sono due tipi di fotografia nel mio caso, l’autoritratto e il ritratto. Nel primo caso non ho problemi ad espormi, la fotografia mi ha permesso di guardarmi con i miei occhi, invece che con un presunto giudizio altrui. In questo senso l’autoritratto è una sorta di potere sul proprio corpo. Nel secondo caso, pur trovando estremamente attraente l’imperfezione, la cicatrice, il messaggio della morte (e quindi il monito alla vita) faccio fatica a mostrarle. Non riesco ad “usare” il dolore altrui anche quando è sostanzialmente una dichiarazione d’amore.
capisco. però l’immagine è stata fatta. ce l’abbiamo davanti. e se l’hai fatta, cosa ti impedisce di liberarla?
pudore? paura? inadeguatezza?
perché lasciarla sospesa e non farle fare l’intero percorso: prodotta, esposta.
quindi forse sono più le ragioni della produzioni che devono essere in grado di sostenere il seguito. e non il contrario.
per quanto a volte…