Non c’è più niente da porgere.
Le guance sono finite.
Almeno per chi ne possiede due.
E cosa può fare un fotografo?
Magari fermarsi.
Dare un’occhiata a ciò che ha prodotto negli ultimi due, tre anni.
E per chi. Che persone sono e che competenze hanno.
Quale patente esibiscono… se propria o ereditata.
Se afflitte dalla patologia del momento, il restyling… in rapido contagio.
Con esiti imbarazzanti in molti casi.
Confusione sovrana. Pochi che sanno cosa fare.
Ci torno, ci torno sull’argomento.
Perché esporsi è inevitabile.
Per tutto il resto e per tutti quelli a due guance e una faccia: resistere!
Esattamente come da snap. I vegetali la sanno lunga.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
Già dalla prima lettura dell’articolo, mi aveva colpito la frase: “E per chi. Che persone sono e che competenze hanno”. E’ una riflessione ontologica da fotografo, credo, che mi riporta a quanto recentemente letto nel bellissimo libro ‘La mia fotografia’ di Grazia Neri, in cui si parla diffusamente dei recenti cambiamenti nel mondo della fotografia e della sua crisi…
non ho avuto il piacere di leggere il libro di grazia neri… che è stata la mia prima agente. e che ricordo con grande affetto. lo farò quanto prima.
Nel libro si parla anche di te, infatti…
ah sì? non lo sapevo…
‘la solitudine del tarassaco’.
il tempo è circolare, tutto è già stato fatto, già stato detto, già stato visto, scopriamo solo quello che già sappiamo, trasformando sempre la stessa matrice.
non scopriamo nuove vie, guardiamo con occhi nuovi.
il tarassaco è vegetale tosto…
per alcuni, in ambito editoriale, non è neanche circolare il tempo… una retta in salita. e la forza di gravità ha sempre la meglio. il tempo è fermo. loro sono fermi. e quando si muovono fanno danni. questi alcuni…
vedere, termine di radice indoeuropea (weid), vuol dire vedere ma anche sapere ed anche narrare i fatti (trasformandosi nel latino historia).
l’occhio incomincia nel cervello, vedere-guardare-narrare è un’operazione della mente.
per questo è preclusa agli stupidi.
sarà anche preclusa ma non impedisce la riproduzione. e l’inondamento.
Riesco a sentire il grido, viene dalla voce più interna, quella di una coscienza (del fotografo) che se non è inquieta non è nulla. E per farsi sentire ha bisogno di trovare una propria pur mutevole dimensione, costruita dalla percezione degli altri (gli osservatori).
Il sovraffollamento mediatico semina pregiudizi (visivi), con la velocità ruba tempo all’affettività, alla razionalità, alla coscienza: strumenti necessari per apprezzare e dare spazio e dignità alla fotografia.
inquieta per natura…
come scrive Jackie Wullschlager, la fotografia pare desinata a soggiornare “tra il museo e il chiosco dei giornali, lo studio e la strada, l’eternità e l’effimero”.
ormai da più di 100 anni.
i fotografi, se ne faranno mai una ragione?
mettiamola così: ficchiamo il museo nel chiosco. alias, che i magazine tornino a fare il loro lavoro, con la fotografia in primis, visto che dicono di usarla.
quando ho iniziato (1983) il magazine era il medium ideale per fare portfolio. e farsi vedere. non più.