Ritratti in luce ambiente. Ladies mag, aprile 2012.

Marva Griffin. Marzo 2012.                                                 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Due i temi di questo lavoro: la luce ambiente e la semplicità.
C’è, è vero, anche questo sdoppiamento dell’immagine.
Cosa che peraltro faccio da anni. E indipendentemente dalla persona che ritraggo
( http://www.efremraimondi.it/portrait_snaps.php e anche nella sezione ONE per chi ne ha voglia, che già che ti trovi nei paraggi…).
In questo caso un escamotage, confesso: per la rivista Ladies dovevo ritrarre donne diverse tra loro, che in comune hanno un rapporto privilegiato col design. Il magazine mi chiedeva di ritrarle con un loro oggetto d’affezione. Qui sta l’escamotage, perché a me non andava proprio di fare una sorta di didascalia, e gli oggetti avevano dimensioni diverse, alcuni mignon. Allora ho scattato separatamente un up e un down.
Fregandomene delle proporzioni, dei piani e delle coincidenze. Per andare poi a formare un’unica fotografia.
Ma la questione fondamentale è stata usare la semplice luce ambiente.
Semplice… è più semplice usare flash, altro che balle.
Ma cos’è che davvero volevo io? Tranquillità.
Donne, nel loro ambiente, con la luce che c’è, che posano per una fotografia.
Tutto bello dichiarato e lontanissimo da qualsiasi anche lontana velleità di ricerca.
Una bella dose di normalità. Ho l’impressione che a volte ci capiti di produrre della fotografia arrogante. Che si parla addosso. Autocelebrativa. Super ganza, ma niente intelligente.  E io sono stufo. Anche di vederla. Figuriamoci farla.
Molto semplicemente, questa è stata un’occasione.
Malgrado tutto è primavera. Però adesso piove…

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Credit: foto ass. Giulia Diegoli e Lucia Iannuccilli

No make-up artist.

58 thoughts on “Ritratti in luce ambiente. Ladies mag, aprile 2012.

  1. Riflettevo sul senso di questo servizio fotografico e sul fatto che non conoscevo la rivista Ladies, che ho ovviamente comperato: quello che mi colpisce è la luce e la naturalezza delle donne che hai ritratto. Non so se è la posa o la luce ma certamente il senso di tranquillità al quale accennavi come tuo obiettivo è perfettamente centrato. Ma perché dici “lontanissimo da qualsiasi anche lontana velleità di ricerca”? Penso che invece ci sia ricerca semmai, come ancora dici, non c’è arroganza, non c’è la prepotenza del fotografo. Nel senso che c’è il fotografo e c’è la sua mano, ma è come un osservatore. Mi piacciono molto, mi piace questa leggerezza e questa aria primaverile. E poi finalmente delle donne che sorridono!

    • lontano dal sottolineare forse è meglio. lontano dalla spasmodica necessità di esserci… non so cosa intendi valeria per prepotenza del fotografo: chiunque faccia una fotografia assume un ruolo estremamente significativo… se è di fotografia che stiamo parlando. è vero poi che la voglia di leggerezza e semplicità
      era il mio primo obiettivo. sul fatto di sorridere è semplice: ma perché diamine bisogna essere sempre incazzati davanti a una fotocamera?

      • Prepotenza del fotografo per via del fatto che capita spesso di vedere immagini troppo forzate e non credo che sia il soggetto a decidere, ergo è il fotografo. Mentre qui io non avverto niente di tutto ciò.

  2. Luce ambiente, omogenea, diffusa, tenue, semplicità, poche cose, chiare, senza niente intorno. Se “trituri” e “impasti” tutti questi ingredienti, otterrai una torta con un gusto “immediato” e “facile da capire”, anche per chi non mastica fotografia. Ma la cosa divertente, secondo me, è che il “facile da capire” ti porta al “bello”, questa incomprensibile parola e impagabile aggettivo. Le tue fotografie sono tutte “belle” e il tuo stile del “sottrarre” fa la differenza.

    • sei gentile paolo… quello che è certo è che sottrarre rende più chiaro ciò che racconti. almeno per me. e a quanto pare anche per te.

  3. Efrem, devo dire che questo tuo lavoro mi ha fatto riflettere. Mi interessa molto il tuo discorso sulla semplicità ma guardando e riguardando i tuoi ritratti sezionati (definiamoli così) non ho potuto fare a meno di andare con il pensiero a Gilles Deleuze e al suo discorso sulla “piega” e su Leibniz. Ho l’impressione che il senso di queste immagini sia tutto in ciò che la “piega” nasconde e dunque include. Le persone che tu raffiguri in questo modo mi appaiono dunque enormemente misteriose e complesse pur nella loro semplicità.
    Perdonami se a tuo avviso ho detto delle delle castronerie ma ho questo brutto vizio di stare a riflettere sulle immagini che mi interessano. In ogni caso hai stimolato il mio pensiero…

    • quello che scrivi maurizio, dovunque, non mi dà mai l’impressione di una castroneria. o di roba vuota a differenza di altre figure
      che dicono di riflettere sulla fotografia. o sull’arte in genere.
      certo sei bello denso, tosto, per me… deleuze l’ho appena sfiorato, e di leibniz so niente.
      ma questo mi fa bene perché mi costringe a verifiche, ricerche e confronti.
      ovvio quindi che quando, nel tempo, ho prodotto ritratti sezionati, come tu li chiami, e ci sta (ma l’ho fatto anche con ambienti, interni ed esterni), non ho elaborato l’immagine intorno al tema della piega e di ciò che nasconde-svela.
      quello che mi interessava era rompere una continuità visiva, un equilibrio appagante e certo. forse in questo lavoro qui pubblicato, questa frattura si evidenzia proprio di fronte alla tranquillità della scena (che vorrei dire, è un redazionale, una roba per magazine, a testimonianza del fatto che si può fare fotografia anche nei confini editoriali, mica solo immaginette ammiccanti).
      apprezzo che tu metta in relazione semplicità e complessità: COMPLESSO appunto, non COMPLICATO. e quindi una volta rivelato SEMPLICE.
      sono molto contento di avere stimolato il tuo pensiero. così me la posso tirare un po’.

  4. Mi fa effetto vedere due persone che conosco fotografate da te. Sarò ingenua ma non avevo mai considerato questa ipotesi e invece può succedere. Certo così “spezzate in due” un po’ di stranezza me la fa. Forse perché le conosco mi viene spontaneo chiederti: ma dovevi farlo per forza?

    • perché diletta? appunto può succedere: io faccio il fotografo… una battuta… capisco diletta, perfettamente. è quando inaspettamente qualcuno mette le mani
      su qualcosa che ritieni ti appartenga. nel caso specifico, qualcuno è intervenuto diversamente sulla tua memoria.
      no, non dovevo farlo per forza… perché, ti urta?

      • No Efrem, non mi urta! Non lo capisco bene, cioè mi chiedo come sarebbero state se normali. Oppure hai ragione tu e è solo perché le conosco e sono abtuata a vederle intere :)

    • @Diletta,
      il bello di Efrem come fotografo (il resto non lo so) è che ti sorprende, ti fa vedere le cose in un altro modo. Tu ti saresti aspettata una figura intera, lui te la mostra spezzata. Penso che sia proprio da questo “distacco” tra ciò che ti aspetti e ciò che vedi che nasca la voglia di soffermarsi su quell’immagine. Siamo bombardati da milioni di immagini ogni giorno, quelle del tipo “so cosa mi farai vedere” le saltiamo, quelle che ci sorprendono ci fanno fermare a guardare. La forza di Efrem è che le sue immagini ti costringono a fermarti.

      • Sono d’accordo con te Fabrizio, le sue immagini hanno un qualcosa che cattura la vista, e poi ti fanno pensare: eppure le trovo semplici e immediate. Solo queste “spezzate in due” le trovo un po’ strane. Però lo adoro!

        • per un passaggio più graduale, ti consiglio di vedere prima i dittici in orizzontale, soprattutto quelli dei gruppi che personalmente preferisco perché c’è dentro anche un discorso legato al tempo (sul sito di Efrem).

            • Ho cercato sul sito, ma non l’ho trovata… aiutami tu… mi ricordo dei ragazzi che festeggiavano una laurea (???) 2 foto affiancate in bn, l’ultima persona sulla foto di sx era uguale alla prima della foto di dx, ma in una posa diversa, segno che dal primo scatto al secondo era passato del tempo. La cosa che mi colpiva era che tutte le altre persone era fisse nel tempo mentre il tizio ubiquo “svelava” il trucco del tempo trascorso. Nel ns. (io + altri 3) libro “Inch by Inch” (http://it.blurb.com/books/1410642) abbiamo cercato di prendere ispirazione (a pg. 20-21)

            • non mi viene in mente fabrizio. il sito è stato appena aggiornato nella parte portrait. il resto è lì fermo com’era… magari da quelle parti…
              non so, davvero ho un vuoto, so sorry. del link, il tuo, vedo solo un’immagine, il resto non carica.
              (cazzo devo ricordare a cosa allude ‘sto denna…).

            • vista la tua… bella!
              solo che di per sé non mi rimanda a quella che dici riguardarmi… ne ho fatte diverse e a volte basta una sfumatura. o un neurone in meno. e ciao!

            • Ho riguardato un po’ tutto il sito e mi sembra che sia stata segata! :( Non fa niente, non ti crucciare, oggi è un altro giorno.

          • Ti ringrazio Fabrizio! Sì sì, ho visto le immagini che dici e in effetti quellei dei gruppi di persone non mi danno la stessa sensazione. Forse però anche perché sono persone che non ho mai conosciuto direttamente. Ma come chiede Efrem, perché “un discorso legato al tempo”? Perché ci sono due istanti diversi della stessa situazione? Quindi un prima e un dopo, come fossero due fasi raccolte?

  5. Efrem stavo riflettendo ancora sulla questione dittico, mi interessa approfondire che cosa a tuo avviso apporta alla tua fotografia.
    Vedi c’è una cosa che non colgo, cioè il ricondurre i due scatti separati ad un unica fotografia. Questa tecnica di scomporre l’inquadratura finale in due o molti punti di vista, fa parte del linguaggio delle immagini da parecchio tempo, cubismo e futurismo per le loro rispettive ragioni. L’escamotage restituisce una certa mutevolezza di sguardi e sensazioni cosicchè l’immagine appare meno monolitica, come dire dogmatica. In questi dittici invece mi sembra che mettere insieme in un frame il volto e l’oggetto nella mano, sia guidato da un’intenzione diversa ovvero quello di creare un mini impianto narrativo condensato in due foto. Ma a quel punto forse, concettualmente, potrebbero anche stare affiancate come le due pagine di un libro.

    In definitiva, perchè ti è così caro il dittico???

    • certo che si può usare in orizzontale! fatto e strafatto. cambia il percorso, ciò che miri, ma il concetto è lo stesso.
      vero anche che è un percorso che ha un suo storico. in altre arti soprattutto, come appunto dici.
      in altre immagini, in altri dittici ho lavorato con l’idea della short story… ma proprio short short (per quelle un po’ meno short, uso la sequenza).
      in queste no, non ho pensato di condensare altro che due piani distinti. un semplice cambiamento di piano. quasi una lente di ingrandimento. per questo dico escamotage. poi magari qualcuno può dare una lettura diversa, appunto.
      e mi è caro il dittico perché mi permette a seconda dell’intento, di essere flessibile. a volte è parte ineludibile di un’immagine: se penso a una vecchia double snap fatta a alessandro zanardi per esempio. a volte invece, davvero come dici, con due frame eludi la “fissità” della fotografia. tutto qui, niente di
      trascendentale come vedi. però ribadisco, qua è più un escamotage, altrove no. non so se mi sono spiegato.

  6. Premessa, fotografo da poco più di un anno e da poco ho comprato un flash, ho quasi sempre solo fotografato con 50 mm in luce ambiente e al massimo alzando gli iso o utilizzando il cavalletto.
    Nella mia beata ignoranza, perchè “Semplice… è più semplice usare flash, altro che balle.”
    Chiedo scusa in anticipo per la domanda speudo tecnica, per il semplice fatto che la cosa fantastica di questo blog e del relativo Fotografo è che si parla di fotografia!

    • è più semplice, stefano, la luce flash per via del maggiore e assoluto controllo. del suo eclettismo. dell’unica fonte di illuminazione che manda a quel paese l’inviolabilità della coppia tempo-diaframma. con la possibilità di gestire uno stato di illuminazione anche molto contraddittorio. in più, col fatto che la luce ambiente è la condizione abituale del nostro percorso visivo, tendiamo a sottovalutarla tecnicamente in fotografia. mentre è zeppa di insidie. che si proiettano, a volte come una mannaia, sulle nostre riprese.
      non so se sono stato chiaro a dire il vero…

    • Stefano io mi permetto di darti la mia risposta da pivello paesaggista che fa a meno del flash. Io parto da un presupposto quando si parla di fotografia, o meglio di Fotografia: l’uso del mezzo non deve essere un problema.Esistono problemi tecnici in continuazione, ma è suffciente la tecnica per risolverli o aggirarli (a ciascuno il suo!). La cosa difficile per un fotografo è disporre bene del linguaggio. Insomma se ti spaventa l’uso del flash, forse devi solo studiarci ancora un po’ o farci un po’ di esperimenti. Ma quando avrai capito che ragiona con la sua stupida e prevedibile logica di circuiteria elettronica, il flash in sè non sarà un problema. Al contrario con esso (o con essi) potrai ricreare tutte le condizioni che vorrai quando lo vorrai. Con la luce naturale nessuno ha questo tipo di padronanza. Il fotografo non domina la luce, semmai la ascolta o la legge. E se per un mese quella luce che ti serve non c’è, la foto non la fai.

      Esempio estremo: ci sono delle foto a lunga esposizione del sorgere della luna che uno pensa: beh, lasci aperto un tot l’otturatore e raccogli la scia! Più o meno. Se cerchi una certa scia capita in pochissimi giorni all’anno (alle nostre latitudini). Che succede se in quei giorni di febbraio, in cui la luna è piena (e sono grossomodo due in un mese) è nuvolo o piove?

      Ma comunque non è solo un discorso di tempi, ci vuole un’abilità di vedere e prevedere diversa.

      • Ti ringrazio Marco, ovviamente sono conscio di dover sperimentare, provare e capire. In effetti riflettendoci la domanda era più qualcosa del genere (forse più mentale…) “cazzo un maestro della fotografia che fa un’affermazione del genere…”
        Del resto la sua risposta è stata chiara.
        Probabilmente tra un mese mi domanderò come ho fatto a fare fotografie senza flash fin ora…

  7. Come al solito il post diventa strumento di riflessione più ampia. Domanda all’esperto: come si fotografa un personaggio pubblico? Ovvero, tolta quella fotografia di puro mestiere in cui il professionista è chiamato a realizzare il manufatto sul topos (lo scrittore con l’indice sulla tempia, ecc ecc), cosa può “dire” l’artista fotografo che possa aggiungere qualcosa all’immagine pubblica di un personaggio, appunto, pubblico? Se ciò che conosciamo del soggetto non è molto di più di quello che ci arriva dall’iconografia, come si fa a metterci del nostro?

    Bada Efrem, la mia domanda è quasi ontologica. E’ un’ovvietà che ciascun fotografo ha il proprio specifico sistema di percezione, poco o tanto arriverà ad un risultato irripetibile. Ma proprio nella varianza del “poco o tanto” sta il limite tra l’opera autonoma e il clichè. Mi chiedo, non è che il contesto di questi signori è così predominante che anche il fotografo meglio disposto riesce a scalfire talmente poco il guscio da restituire un prodotto che coincide con la stessa immagine pubblica da cui partiva?

    Meno male che non faccio ritratti!!! fiuuuuu….

    • be’ marco, non sono un esperto, faccio solo il fotografo…
      questo è un po’ il tema dell’articolo sulla fotogenia. sul ritratto in genere.
      la fotografia, come tutte le arti, è arte e mestiere. si tende a evitare questa seconda parte. anche perchè
      la tecnologia aiuta molto. la conoscenza artigiana è al servizio dell’espressione, del linguaggio. questa la prima grande differenza
      per evitare il clichè. io non faccio distinzioni tra celebrity, personaggi, persone… mi occupo di chi ho davanti per ciò che vedo.
      non mi preoccupo dei condizionamenti mediatici, fosse solo la mole di informazioni che alcuni si trascinano e altri no.
      non credo ci sia quindi da aggiungere coi “personaggioni”, semmai c’è da sottrarre.
      è ovvio che i condizionamenti esistono, e aumentano con la visibilità del nostro di turno. sta al fotografo tenerli e bada e semmai usarli.
      succede anche che l’immagine restituita coincida con quella pubblica, dipende come. di per sé non mi preoccuperei.
      insomma marco, credo sia molto più semplice di quanto sembra. provare per credere.

      • dico una cavolata (ovviamente… ) credo che comunque ci sia sempre il fotografo (paradossalmente è come se si facesse un autoritratto) nella fotografia, anche se “il ritratto” è un personaggio pubblico/famoso.

        • la faccenda dell’autoritratto, che sostengo da sempre, non fa sconti a nessuno. e paradossalmente il personaggio pubblico è
          più disponibile a comprenderne il percorso.

  8. Parole sante Efrem.
    Semplicità, questa sconosciuta.
    Sarà che per me Ghirri è un faro , ma per me la semplicità, come la luce ambiente, sono sempre la miglior soluzione. Almeno per esprimere me stesso.
    Che poi non è che la semplicità non piaccia alla gente e per questo viene ignorata da riviste e media. Loro impongono un altro modello e la gente ci casca. Poi il mercato è saturo di immagine tutte uguali, tutte “super ganze” e non si sa più dove poter trovare un po’ di normalità. Se solo la gente si prendesse del tempo per osservare, cercare. Invece non c’è mai tempo o non lo si vuol trovare.

    • ma secondo te andrea, perché le riviste si lamentano? perché vanno male?
      ghirri è la semplicità che è difficile a farsi. come tutte le espressioni semplici è complesso arrivarci.
      non necessariamente, la semplicità, passa dalla luce ambiente, che trovo in assoluto la luce più complessa.
      e in fondo la meno eclettica. ma certamente restituisce atmosfere magari nascoste. a chi sa guardare .

      • Forse c’è un equivoco terminologico. La luce ambiente, tecnicamente non è semplice come dice Efrem. Una nota su tutte: ci abbiamo messo un paio di millenni di civiltà per scoprire quella che sembra una proprietà ovvia della luce naturale: le ombre sono colorate (impressionisti grazie!). Bastava guardare bene sotto il nostro naso (che spesso crea un’ombra colorata guarda un po’), eppure non vedevamo.

        Ma il risultato della luce naturale è, appunto naturale, cioè consimile a quello che la natura restituisce, quindi ci appare “semplice” nella misura in cui coincide con la nostra esperienza di tutti i giorni. L’assenza di forzature nella luce, nella plasticità dei contrasti ci fa erroneamente supporre che siano foto facili, diciamo alla portata di tutti: infatti siamo pieni di Ghirri da tutte le parti!

        La naturalezza finale della foto è solo il risultato ultimo di un lavoro difficile sul concetto di armonia complessiva. Arrivare alla naturalezza, quello non è naturale ecco!

        • veramente dico il contrario marco: e cioè che la luce ambiente è tecnicamente più complessa e meno eclettica di ciò che sembra.
          su tutto il resto concordo. quanto alla naturalezza, c’è un racconto di calvino che consiglio, l’avventura di un fotografo, da amori difficili.
          è illuminante. sul rapporto tra istantanea e posa e annessi e connessi.

          • Efrem avevo inteso benissimo la tua posizione. Cercavo di dare un contributo alla discussione generale in quanto mi sembrava che qualcuno bisticciasse un po’ con la terminologia quindi coi concetti.

            Riguardo al racconto di calvino io me lo sono già scorpacciato, come dovresti aver visto da produzioni laterali :)

            • capito marco :)
              quel racconto di calvino è illuminante. più di un qualsiasi manuale.

            • non male vero claudio? meglio di tanti manuali. questo spazio è in quello spirito.

        • Si si, infatti intendevo semplice nel risultato che restituisce all’occhio di chi guarda. Quindi naturale. Infatti…meglio usare il termine naturale. ;) Che sia tecnicamente molto complessa è fuor di dubbio.

        • Senza fare troppo i complicati, la luce naturale è più complessa perché non è plasmabile e determinata come quella artificiale. La luce artificiale si può studiare sui manuali, quella naturale va fatta propria con anni di applicazione, richiede maggiore sensibilità e attenzione ai dettagli.

  9. Ciao,
    lo vado ripetendo da un bel po’… da quest’uomo c’è tanto da imparare! Anche gli editor che fanno interventi non richiesti in PS :) Il dittico è un marchio di fabbrica. La semplicità la definirei essenzialità, nessun orpello, potere al soggetto, potere alla fotografia, potere della fotografia. Hasta siempre.

    • è un mondo difficile fabrizio! dov’è che l’ho sentita?
      non mi sottraggo, lo sai… se vuoi ripetere a me fa piacere.

    • no no… bella impaginazione, fatta davvero bene la rivista. questa roba però…
      io comment. è un mag che mi piace. per cui comment. con loro.

    • sì, io l’ho trovata stropicciata ieri. hanno fatto un intervento imprevisto di ps, senza che ne sapessi nulla. e che non
      ce n’era proprio bisogno… su un paio di volti.

  10. La luce delle idee domina la scena di questi scatti, surclassa l’effetto mancante di altre luci ed effetti. Tutto è normalità, ascolto della realtà della scena così come si presenta, soggetto compreso. L’invenzione è il dittico destrutturato, che prende la forma delle intenzioni, raddoppia il punto visuale, tridimensionalizza il ritratto interiore. Che scuola, questo blog… ! Grazie Efrem !

    • be’ claudio, sei davvero gentile. più o meno c’è tutto quello che dici a proposito di queste fotografie.
      il dittico è un mio vecchio adagio. ogni tanto lo riesumo. la luce ambiente è in verità la forma di di luce
      più complessa. e affascinante.

  11. available light forever!
    per la luce naturale sono di parte, e non posso che entusiasmarmi…ma la figura spezzata è obiettivamente geniale!!
    chapeau.
    “no make-up artist” è la ciliegina sulla torta.

    • la luce ambiente è la meno eclettica che ci sia. spesso è un versus flash. io non trovo ci sia alcuna
      rivalità: si usa ciò che serve. almeno penso, laura.
      i tagli nascono tanti anni fa… volevo provare a disorientare il mio punto di vista. ne ho fotografata di gente, così.
      l’ultima, prima di questo lavoro, vanessa beecroft.
      la più audace fu alex zanardi. una double snap. così le chiamavo.
      c’è bisogno di semplicità. di complessa semplicità. io ci provo.
      grazie per l’apprezzamento laura.

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