Alex Zanardi – Del ritratto

Alessandro Zanardi. E la relazioe ritratto-fotografia.
Una condizione semplice: non facile, semplice.
Dove il grado di complessità sta nell’eludere tutti i cliché che accompagnano la tormentata relazione.
Questo lavoro credo si presti per una breve riflessione.

Non c’è anima che tenga: non me ne occupo, non ne ho il tempo, non sono un predicatore e sono già abbastanza trafelato con la mia.
Non si può continuare a collocare con nonchalance certe parole, anche quelle consolidate: se c’è un’anima, nel ritratto soprattutto, è quella dell’autore. Ed è l’unica che cogliamo.
Prima di questo shooting ho incontrato Alessandro Zanardi una sola volta in compagnia di Michele Dalai, per l’anima semmai ci vuole un tempo che non è il nostro.

Nell’occasione scattai una double snapshot, con una compatta analogica flash on.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAnno 2003. Cinque anni prima del redazionale per Men’s Health diretto da Luigi Grella – una direzione intelligente e molto coraggiosa.
In qualche modo proprio questa snap cruda è la matrice del ritratto di apertura.
E ancora, l’anima non c’entra niente.
Conta molto di più la spinta che il grandangolo medio, l’equivalente di un 35 mm. full frame, dà a tutto l’isieme. Spazio incluso.
E così sfatiamo l’avversione al grandangolo nel ritratto: lo uso nel 90% delle situazioni.
È solo una questione di modulazione e dialettica con lo spazio, a partire da quel rettangolino che è il mirino della fotocamera: succede tutto lì dentro.

Non è la verità assoluta. Ognuno faccia come crede ma la profondità che restituisce, il dinamismo, non hanno eguali.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFatta questa, abbiamo affrontato lo studio a campo aperto: un limbo bianco molto generoso.
Prima con la sedia a rotelle. E qui gli ho chiesto se gli andava di scorrazzare.
Ha scorrazzato. Prendendo possesso di tutto il bianco che c’era.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAlex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedA seguire un fronte e un back, a campo più stretto e nessun dinamismo: la handbike con la quale ha fatto la Maratona di New York.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved L’urgenza di un primo piano. Stretto.
Cambio ottica e monto l’equivalente di un 50 full freme. Di solito aggiungo un tubo di prolunga. Qui no, trattandosi di un piano sequenza piuttosto rapido: PAM – PAM – PAM. Stop

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAlex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAlex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedE invece no stop. Perché mentre Alessandro si cambia, gli assistenti stanno mettendo a posto lo studio ecetere eccetera, io son lì fermo che guardo il pavimento del limbo.
E tutti quei segni, le tracce dello scorrazzamento, assumono un’altra valenza.
Di nuovo grandangolo. Si piazza un flash; parabola quella che c’è va bene; frostata.
Diretto e scatto.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedStop. Adesso sì, shooting finito.
Un’immagine non preventivabile. Che non sapevo neanche se il magazine l’avrebbe usata. Ma per me non poteva mancare.
Una volta che le cose le vedi ti risultano nitide e procedi.
Non penso, non ce n’è bisogno, procedo. È un flusso…
Se questa immagine non l’avessi fatta mi sarebbe mancata.
Anche al magazine, visto che è stata pubblicata.

Funziona così: non pensare al ritratto. Fallo come fosse una qualsiasi fotografia.

Fashion consultant, Paolo Lapicca
Stylist, Monia Ripamonti
MUA, Guja
Assistente fotografia, Emanuela Balbini

Come tutti, spero di rivedere presto ristabilito Alex.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Colore – Una pura formalità, 6

 

Efrem Raimondi - FUORISALONE 2013
Colore… si dice così.
E assegna una collocazione di massima.
Quindi?

Quindi il vuoto. Uno spazio preconfezionato, incolore, che aspetta noi.
Poi?
Poi diventiamo variopinti…
Se non abbiamo un’idea del colore che ci corrisponde, se è solo una contrapposizione al lessico BN – vale anche il contrario – al massimo siamo variopinti.

E se il BN risponde a una esigenza espressiva, il colore idem – sorvolo, che ne ho già chiacchierato: search una pura formalità, 4.
Con una differenza paradossale, contraddittoria rispetto all’intenzione originaria: il colore si distingue ulteriormente dal piano reale. E se ne va per la propria strada.
Perché più dell’altro, quel BN dai modi aristocratici, ritiene la realtà un incidente di percorso. E non una verità alla quale attenersi.
Alla quale anzi sottrarsi, con o senza schiamazzi, ma comunque senza dichiarazioni ecumeniche.
Creandone una a caso o talvolta più consapevole, deciamente consapevole.
E qui la forbice.
In questa sottrazione il nostro distinguo.

Come qualsiasi altro elemento, il colore è parte integrante della nostra cifra espressiva: a quale Fotografia lo riconduciamo?
O ci limitiamo ad assolvere le quattro fotografie che stiamo affrontando al momento e al prossimo giro si ricomincia?
E lui dentro come capita, poi… contrastato – saturato – desaturato – crossoverato – sbiancato – caldo – freddissimo, meglio – no, meglio caldissimo – virato – ipertutto di qui e di là e facciamola finita che proprio boh – magari normale…
Normale? Quali le norme?
Violato… picchiato. Proprio malconcio, così succede di ritrovarselo.
Suo e nostro malgrado.
Restituito come fosse privo di identità. La nostra identità latitante.
Questa la forbice.

La Fotografia non è BN. Non è colore.
Lo sono le fotografie. Che sono un mero strumento.
Per far cosa?
Rispondere a questa domanda ci aiuta a definire anche la relazione col colore.
E non c’è una risposta univoca.
Solo la coerenza del linguaggio che ci riguarda stabilisce il grado di coincidenza.
E non è mai una coincidenza avulsa dalla percezione, che è la vera discriminante.
Che ha un solo termometro… la restituzione in forma concreta, non blaterata: ciò che si vede è.
Ciò che mostri, è.
Il resto, tutto il resto, appartiene a un altro tempo. A un’altra giostra.

Un fatto individuale…
Il colore non è una informazione cromatica oggettiva, ma lo strumento per esprimere, sottolineare direi, la parzialità di uno sguardo.

Che non è però scevro dall’epoca in cui guarda.
Né dalla latitudine in cui s’è formato.
La vista è un fatto essenzialmente biologico. La visione fotografica no.
Proprio perché percettiva.
Sostanzialmente il colore è un prodotto culturale.
Il colore.
Il variopinto no.
Il variopinto è una tavolozza principalmente chiassosa che impone al colore di essere soggetto, persino quando desaturato, livido come la morte.
E che non tiene conto del fattore primario: il soggetto, il solo di cui davvero ci dovrebbe fregare, è la fotografia, proprio quella lì che mostriamo, nella sua totalità: all’interno di quel perimetro nulla è separabile.
Il variopinto è l’escamotage corrispondente al maquillage: un tentativo di abbellimento.
A volte grottesco, e questo è il suo momento di gloria. 

O meglio, lo è stato. Dalle retrovie mediatiche gli ultimi strilli di una fotografia da carrozzeria.
Accompagnati dal mio soave vaffanculo.

Per due o tre anni – non ricordo – sono stato membro dell’Hasselblad Master Jury.
Tra il 2009 e l’11 credo.
Ed è stato un punto di osservazione privilegiato: la parte finale riguardava un centinaio di autori per un migliaio di fotografie.
Ho fatto fatica.
Una gran fatica a distinguere un super vip wedding a Los Angeles da un reportage delle miniere di diamanti sudafricane.
Dall’Argentina al Giappone, dall’Islanda all’Australia, tutto uguale.
Ritratto incluso. Anzi più uguale.
Poi le eccezioni: cinque per ciò che mi ha riguardato nell’ultimo contest.
Un solo autore… ossessivo, petulante, democratico: Photoshop.
E il colore? Il tuo colore, dov’è?
Il problema non è mai lo strumento, ma come si usa.
Ed è così da sempre.
Après, con una domanda di Michel Pastoureau: Ma si può ancora parlare di individualismo se i comportamenti individuali vanno tutti in un’unica direzione? *

Il colore che amo in fotografia, anche quello che personalmente uso, non si vede nemmeno.
Non ha un nome.
Non si dichiara.
Partecipa e basta.
Ma se non ci fosse, ne sentirei la mancanza.

Di che colore è un divano rosso in una stanza buia?

Che poi è così semplice, noi ci misuriamo con un’idea di colore, sempre, e non c’è nulla di tangibile: nella sua esposizione la nostra relazione.
E lo allunghi… lo centrifughi… lo espandi… lo sottrai… lo concentri.
Fino a coincidere.
E tutto ciò solo con l’esposizione. Che è determinante.
Il colore, anche lui, è un arbitrio, non un dettato.

Ma di che rosso parli?

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

* I colori dei nostri ricordi, 2010
   Michel Pastoureau
   Ponte alle Grazie, 2011.

Fotografia per INTERNI mag.
Fuorisalone 2013, Milano – Knoll at Prada
iPhone

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Io cerco te

Annarita by Efrem RaimondiIo cerco te.
Io cerco chi non si vede.
Io cerco chi mi sta davanti.
Io cerco te.
Io cerco tra le pieghe del gesto, lungo la smorfia delle tue labbra.
Io cerco te. Io cerco il tuo riflesso e al suo barlume m’aggrappo.
Io cerco te, così come ti giri e mi guardi.
Che cosa vedi? Fin dove arrivi?
Ti ricordi? Anch’io ho avuto vent’anni.
Anche qualcuno in più. Anche un po’ meno.
Adesso è ieri: a cosa credi serva la memoria?
Io cerco te.
Se ti nascondi io ti vedo.
La tua maschera…
Non ti serve alcuna armatura: sei nuda.
Io cerco te.
Non ho bisogno di niente e ’st’aggeggio che pesa, ‘sta roba che scatta è il nostro specchio.
Io cerco te.
E a volte mi trovo.

Laura by Efrem RaimondiLaura, 1986

Vanessa Beecroft by Efrem RaimondiVanessa Beecroft, 2011

Cat Power by Efrem RaimondiCat Power, 2012

FERNANDA PIVANO by Efrem RaimondiFernanda Pivano, 2005

ZHANG JIE by Efrem RaimondiZhang Jie, 2008

VALENTINA by efrem RaimondiValentina, 2010

Fiammetta Bonazzi by Efrem RaimondiFiammetta Bonazzi, 1995

Maddalena by Efrem RaimondiMaddalena, 2016

MONICA BELLUCCI by Efrem RaimondiMonica Bellucci, 1999

Laura by Efrem RaimondiLaura, 2013

Laura by Efrem raimondiLaura, 1998

MARIA TERESA by Efrem RaimondiMaria Teresa, 1999

GIORDANA by Efrem RaimondiGiordana, 1998

ALESSANDRA FERRI by Efrem RaimondiAlessandra Ferri, 1996

FOOTBALL PLAYER by Efrem RaimondiFootball player, 2000

Dana de Luca by Efrem RaimondiDana de Luca, 2016

Azzurra Muzzonigro by Efrem RaimondiAzzurra Muzzonigro, 2016

SILVANA ANNICHIARICO by Efrem RaimondiSilvana Annicchiarico, 2012

INNA ZOBOVA by Efrem RaimondiInna Zobova, 2005

Francesca Matisse by Efrem RaimondiFrancesca Matisse, 2015

Anastasiia by Efrem RaimondiAnastasiia, 2015

PIA by Efrem RaimondiPia, 2007

ADRIANA ZARRI by Efrem RaimondiAdriana Zarri, 1984

Valeria Bonalume by Efrem RaimondiValeria Bonalume, 2015

Madri & Figlie: Miri Elias Rettagliata e Simona Segre. 2002Miri Elias Rettagliata e Simona Segre. Madre e figlia, 2002 – non ricordo il nome del cane…

Annarita by Efrem RaimondiAnnarita, 1995

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

La donna… sì certo, la fotografo. Ed è al centro.
Un altro centro.

U P D A T E   febbraio 2018.

Cecilia Fabiani by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCecilia Fabiani, 1990

CAROLINA KOSTNER by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCarolina Kostner, 2006

Franca Sozzani by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFranca Sozzani, 2016

FRANCESCA PICCININI by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFrancesca Piccinini, 2011

Noemi Batki by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedNoemi Batki, 2017

BODY NUNBER 1 © Efrem Raimondi - All Rights ReservedBody Number 1, 2004

Maria Cabrera by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedMaria Cabrera, 1988 – Dolce&Gabbana

Laura by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedLaura, Cap Ferrat 2004

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Notte

 

Efrem Raimondi Polaroid 1998

 

La notte è un luogo.
Non un tempo…
Uno spazio nero céliniano che spazza via tutta ‘sta massa di orpelli e fastidi diurni: ‘st’accozzaglia accumulata nei secoli e che ogni mattina si ripresenta puntuale… il fatto che qualcuno riesca a sublimarla, finendo anche per essere appeso in un museo, non lenisce lo strazio di chi appeso non ci finisce.
Après.

La notte costringe a una scala visiva diversa. Ed è una manna se fai fotografia.
Perché pulisce, sottrae.
E il suo buio avvolge anche te.
Ma per quanto possa essere pesto il buio nel quale ti trovi, c’è sempre una luce da qualche parte. E la vedi distintamente.
Così un cerino diventa Sole.
Ci si misura con un altro ordine, quello dettato dalla sproporzione tra ciò che vedi e ciò che vorresti vedere. Ma la notte ti nega.
E ne devi prendere atto: è inutile andare a rovistare nei cespugli o dietro gli angoli dei marciapiedi nel tentativo ultimo di strappare alla notte una vista che non vuole darti.
Ciò che non vedi è soggetto al pari di ciò che vedi!
Perciò ficca entrambi nel tuo rettangolo.

Alla pellicola è subito chiaro. Perché è un supporto tendenzialmente neutro che non ha alcun mandato se non quello di coaudiuvare le intenzioni di chi la maneggia.
Entro il limite chimico, e fisico, della condizione che deve registrare.
Non ha alcuno scopo messianico e non intende salvarti dalle tenebre nelle quali ti trovi.
Anzi ti implora di assecondarle. Se no dà un immediato forfait.
E tu, rimani muto.
Il digitale invece no. E ha un ego che, diciamolo, ci guarda – proprio noi – con profondo disprezzo.
Il suo mandato è congenito: dimostrarci che ci vede meglio.
E non perde occasione per sottolinearlo.
Dobbiamo rimetterlo al suo posto! Cioè quello di mero supporto.
Altrimenti, se è nella notte che pirliamo, lui tenderà a pirlare per fatti propri. A rovistare tra cespugli e angoli di marciapiedi al solo scopo di dimostrarci per l’ennesima volta che lui può arrivare ovunque.
Perché è inutile: di cosa sia la percezione, se ne fotte.
Non è una colpa, è la sua natura. Mentre la colpa, e grave, è nostra se lo lasciamo fare.
Ma noi abbiamo una percezione? O ci appiattiamo al dettato del registratore di turno?

Più la notte è avvolgente, più la luce che trovi è squarciante.
Se non la trovi, portacela tu.
Fossero anche i fari della tua auto.
Che la trovi o che la porti, la luce è soggetto più che in qualsiasi altra condizione.
Più miri la luce che c’è, più è notte.
Io me ne occupo fin dove arriva. Non un millimetro oltre.
E da lì espongo senza tentennamenti dritto in faccia.
Qualsiasi faccia la luce abbia, è solo attraverso la sua esposizione che puoi restituire la notte che stai attraversando.
E non c’è alcuna delega, alcun automatismo che possa restituire la tua percezione.
Una questione di simbiosi…
La notte ha i tuoi occhi. Chiudili.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Efrem Raimondi - Polaroid 1998

From the series Appunti per un viaggio che non ricordo, Polaroid 1998. Available light.

Efrem Raimondi - Polaroid 1998

From the series Appunti per un viaggio che non ricordo, Polaroid 1998. Available light

Efrem Raimondi - Work, 2014

From the series Landscape2014. Full frame digital camera. Flash light

Efrem Raimondi - Work, 2013

From the series Landscape2013. Full frame digital camera. Flash light

VASCO ROSSI by Efrem Raimondi

Vasco Rossi, 2009. V-ide Eyewear adv. Medium format digital camera. Flash light
From the book TABULARASA, Mondadori 2012

Efrem Raimondi for INTERNI magazine

Rossella Rasulo, 2014. INTERNI magazine. Full frame digital camera. Flash light

Baustelle by Efrem Raimondi

Baustelle, 2010. Gioia magazine. Compact digital camera. Flash + available light

Efrem Raimondi for Playboy magazine

Laura Maggi, 2012. Playboy magazine. Medium format digital camera. Flash + available light

Efrem Raimondi iPhone Photography.

From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi iPhonephotography.

From the series InstaRanda, 2014. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi iPhone Photography. 2013

From the series InstaRanda, 2013. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi iPhone Photography.

From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Car lights

Efrem Raimondi-Work, 2015

From the series Landscape2015. Full frame digital camera. Available light

Efrem Raimondi iPhonephotography.

From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi iPhone Photography.

From the series InstaRanda, 2014. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi- Work, 2015

From the series Landscape2015. Full frame digital camera. Available light

Randa Nero by Efrem Raimondi

From the series Gattini, 2002. 35 mm color negative film. Flash light

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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La chiamavano Nanda

 

Approfitto di alcuni commenti in ambito social riguardanti il ritratto a Fernanda Pivano pubblicato anche nel post che precede, per dire due robe due…
E che probabile anticipino una serie di articoli decisamente focalizzati sull’incontro, forte, con alcune persone. Incontri tradotti in ritratto.
Fernanda Pivano l’avevo già vista, prima di questo ritratto realizzato giovedì 30 giugno 2005, a Milano. A casa sua…

FERNANDA PIVANO by Efrem Raimondi

In ambito pubblico e uno più privato mercoledì 24 marzo 2004: certe date le registri per esteso in memoria. Quando l’ho accompagnata a Bologna, destinazione Vasco Rossi per un’intervista per Vanity Fair. E io con due compatte e un po’ di Tri-x a ritrarre l’evento.
Da questa serie ho estrapolato una sola immagine per il libro TABULARASA, fatto con Toni Thorimbert, per Mondadori.
E la stessa immagine mi è stata chiesta da RAI 2 per la serie Unici… essere Vasco Rossi. In verità un’immagine molto live, forse troppo. Non so… non ci penso. Non m’importa.

Fernanda Pivano - Vasco Rossi by Efrem raimondi, from TABULARASA

Comunque qui adesso, pubblico anche alcune altre. Anche più live.
Ed è assurdo, perché la cosa che più mi è impressa di quella giornata è come guidavo in autostrada! A 90 all’ora in prima corsia con gli occhi ovunque, in anticipo su qualsiasi evenienza… che se fosse successo qualcosa, qualsiasi cosa, ero fottuto. Io ero fottuto.
Le orecchie invece erano unicamente dirette. Sulla traiettoria della Pivano, seduta al mio fianco.
Che raccontava dei suoi incontri con Miller, Burroughs e cosa accadeva a casa Bukowski. Come quando il grande Hank torna dall’ippodromo con un paio d’ore di ritardo perché infilato sotto le macchine nel parcheggio a cercare di stanare un gattino impaurito.
E ce la fa!
E una volta a casa, gatto in braccio, passa le due ore successive a raccontare nel dettaglio il trionfo, mentre si occupa della divina creatura e sostanzialmente se ne frega dell’apprensione di Linda, sua moglie, e degli ospiti. Pivano inclusa.
Insomma, c’era solo da ascoltare. E da guardarsi attorno: il più lungo, lento, meraviglioso viaggio Milano – Bologna che mi abbia riguardato.

Fernanda… che praticamente tutti chiamavano Nanda. E io non ci riuscivo. Che mi sembrava di darle del tu. E proprio non ci riuscivo. Mi ha anche rimproverato per questo. Giuro.
Ci sono due soli modi di dare del tu… quello che non ci pensi e fila tutto liscio e quello che ci pensi continuamente e finisci per balbettare. Francamente, in mezzo ai tanti inciampi che mi riguardano, questo preferisco evitarlo. E non che con quelli ai quali do del tu ci sia una considerazione o una stima minore… è che è diverso. I monumenti io li vedo come un bambino, sempre enormi.

Al secondo incontro privato, quello del 2005, sono andato col critico Demetrio Paparoni. Una chiacchiera tra loro.
E mentre ero lì e ascoltavo, scattavo delle snap. E mi viene in mente come ritrarla… mi è chiarissimo.
Un set montato in 5 minuti, una verifica della luce e una Pentax 67 col mio grandangolo preferito per il ritratto. E lei ride. E io scatto.
E eccoci qua. Lei sempre presente.
Seee, si occupino pure di farfalle e parvenu assortite… ma vaffanculo, la storia siamo noi!

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano - Vasco Rossiby Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano - Vasco Rossiby Efrem Raimondi for Vanity Fair

FERNANDA PIVANO by Efrem RaimondiFernanda Pivano and Efrem Raimondi

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

N.B. Nel souvenir con Fernanda Pivano, la mia espressione imbarazzata è di rigore… mai a mio agio dall’altra parte della fotocamera.

Fotocamere: Leica Minilux, Ricoh GR1s, Olympus E300, Pentax 67.
Flash: incorporato per le snap, Profoto per il posato.
Film: Fuji NPS 160, Kodak TRI-X.

Assistenti: Letizia Ragno, Nicole Marnati, Emanuela Balbini.

Back Power

Ci si vede see you… later, domani, adesso, quando?
Comunque di fronte.
Il retro non è previsto. È presente ma non convenzionale.
Anche la memoria di noi, quella immediata, riguarda il fronte. Perché è il lato della riconoscibilità condivisa.
Poi ci sono eccezioni il cui volto è il retro.
Non alludo alle faccia da culo, sempre meno eccezione.
Intendo proprio le natiche. E questo però in subordine a una trafila che non concede sconti e che riserva la fama in assenza di veli e ritocchi assortiti.
Non le  quattro chiappe che ogni tanto fanno capolino su Facebook e contano i like, e che spesso finiscono per confondersi…  su sette miliardi e passa che pigiamo terra, è un passaporto per pochissimi: siamo cioè ben oltre Belen e le sue epigoni.
Un’istantanea biografica generalmente valida per un periodo relativamente breve.
Con obbligo di assicurazione.
A margine: è uscito il libro Bella Belen… giuro, questo il titolo, per Mondadori Electa -ELECTA!!! Ho avuto il privilegio di vederlo tempo fa… a questo mio blog il privilegio di non avere alcun obbligo di commento.
Invece il back che qui m’interessa è più ampio e riguarda chiunque. A qualsiasi età.
Sarà la curiosità che non si accontenta della facciata, una sorta di diffidenza infantile, ma confesso che una sbirciata al retro ogni tanto la do.
E può essere rivelatrice. Perché non è vero che non c’è espressione.
Il back è l’unico nostro versante che non ha immediato assillo fotogenico il che, in epoca di sovresposizione mediatica, è un vantaggio.
Insomma il back vive meglio. E tranquillamente trascorre la sua vita appiccicato alla nostra, certo di non avere compiti istituzionali o di rappresentanza.
Una volta per Stern magazine stavo ritraendo una superstar del design, di quelle che si presentano in studio ma non so come equivocano e credono di essere a Broadway, e testuale mi dice ”Non voglio essere ritratto… vai giù, prendi una negra, la fotografi di spalle e poi dici che sono io”.
Immaginatevi la faccia che avrebbero fatto i crucchi.
Comunque ho fotografato lui, perché Broadway, nel mio caso, è altrove.
Chi mi conosce bene e da un po’ sa di chi sto parlando. Qui evito, ho già troppi casini…
A volte è una dedica al resto del mondo. Che qualcuno sottolinea con uno o più tattoo, tipo l’Oscar Pistorius di questa selezione. Già…
Ma il soggetto che offre il back, cosa diavolo pensa?
Quello inconsapevole non pensa, che ne sa del mondo alle sue spalle?!
Ma l’altro, quello che è dichiaratamente retro, quello che sa che te ne stai occupando con l’aggravante di una fotocamera in mano, è certo che pensa eccome!
Perché non c’è condizione più esposta, dove sei proprio in balìa.
E si vede. Perché davvero la tua espressione, se attonita, se non vedi l’ora che sia tutto finito, condiziona l’altra faccia della luna.
Quella che non si vede mai. E che anche per questo, me ne occupo.
Rilassati! Non succede niente in tua assenza.
Al massimo non ti accorgi che me ne sono andato.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

SUBSONICAORIZZONTALE UNOFRANCESCO BONAMIGIULIO ANDREOTTIGIOVANNI BUSSEIOSCAR PISTORIUSELISABETTA CANALISLUCIANA LITTIZZETO13"WALKING" SERIESGENOVAF.LLI MOLINARIpitti donna 1988-89ARTURO BRACHETTI16OZZY

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Nell’ordine:
Laura. Cap Ferrat, 2004
Laura. Lago Maggiore, 2014
Sconosciuta. Cinema Centrale, Milano, 2014
Laura. Lago Maggiore, 2009
Subsonica, Lo Specchio della Stampa magazine. Torino, 2005
Vasco Rossi, TABULARASA, Mondadori. Deserto del Sinai, 2004
Dalla serie Orizzontale. Lago Maggiore, 2006
Francesco Bonami, Gentleman. Venezia, 2002
Giulio Andreotti, Grazia magazine. Roma, 2006
Giovanni Bussei, GQ Italia. Monza, 2000
Oscar Pistorius, Sport Week magazine. Milano, 2012
Elisabetta Canalis, Class magazine. Milano, 2002
Luciana Littizzetto, Grazia magazine. Torino, 2006
Sconosciuti. Lago Maggiore, 2014
Sconosciuta. Beaulieu sur Mer, 2003
Sconosciuta, Arte magazine. Genova, 2004
Edoardo e Francesco Molinari, Sport Week magazine. Circolo Golf Torino, 2005
Redazionale Gap Italia, Pitti Donna. Firenze 1989?
Arturo Brachetti, Io Donna. Firenze, 2008
Cardigan, 2006
Ozzy, Interni magazine. Milano-Rho, 2009.

Carolina Kostner due sguardi

Di pattinaggio capisco poco.
E chi se ne frega.
Ma vedere lei, Carolina Kostner, è un’esperienza a prescindere: vola come una rondine. Ed è splendida come una rondine.
L’ho fotografata per una campagna Dainese del 2007.
E in questa immagine, il suo sguardo è stato cercato.
Ma visto che è stato trovato, c’era. E le appartiene.
Io non stravolgo mai niente e nessuno.
Guardo e basta.

© Efrem Raimondi – ph. Carolina Kostner. All rights reserved

Poi, una volta finito lo shooting, pronti per il taxi, facendo due chiacchiere vicino a una enorme vetrata, lei mi guarda così.
Per fortuna avevo la Leica in mano, non so perché… la porto per farmi compagnia e spesso resta solo a guardare: ho puntato e scattato.
Forse me l’aspettavo. Forse ci speravo. Forse boh.
Ma è un’altra Carolina. Eppure è la stessa.
Se la si guarda volare, si capisce perché.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Agenzia: Carmi e Ubertis.
Per Dainese, Vittorio Cafaggi.

Fotocamere: Pentax 67 con 105 mm e Leica M7 con 35 mm.
Film: Fuji NPS 160 NC
Flash Profoto – luce ambiente.

Double Snapshot

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Era il 2000.
Ero a Los Angeles.
E le distanze non si colmavano mai.
E poi non riuscivo a fare entrare nella mia Polaroid SX-70 quella sensazione di dilatazione dello spazio che percepivo anche guardando un tombino.
La usavo molto l’SX-70, unitamente alla 690 SLR… per sfuocare, per muovere.
Per allucinarmi. Per dei redazionali veri, che oggi mi sparerebbero.
Ma per quanto drogata fosse l’aria di L.A. non riuscivo a farci stare un bel niente nella polaroid: percepivo, ma non realizzavo.

La finestra della mia camera dava su uno squarcio molto Ellroy, James Ellroy, che si rifletteva nello specchio, enorme, sulla parete opposta al letto.
Che a sua volta si rifletteva su un altro specchio a 45°.
Vivevo una condizione di perenne dilatazione e rimbalzo dello spazio.
E non potevo farci niente. Volevo solo fotografare quello scorcio e porre fine a quell’ossessione.
Poi un giorno feci la cosa più ovvia: scattai due volte.
Prima su, poi giù. Direttamente sull’Ellroy. Senza pensare.
Queste due polaroid sono la matrice della serie Double snapshot.
Che ho cominciato alla fine del 2001… inizio 2002 con dei redazionali, per Amica, Gentleman, Stern, Arte, Vogue Pelle.
Oltre che per fatti miei.
Così ho ritratto persone, musei, luoghi.
Il ritratto a Inna Zobova è l’unico che non aveva destinazione, l’ho fatto in una pausa make-up durante un servizio che aveva altre finalità… allora era la testimonial di Wonderbra.
Tutte le immagini della serie, mica solo queste, sono realizzate con delle normalissime compatte autofocus, pellicola soprattutto, e funziona così: inquadro alto, scatto… inquadro basso, scatto. Camera orizzontale.
Idem per le orizzontali: prima a sinistra poi a destra. Camera verticale.
Non penso: tutto dura pochi secondi. Sono davvero delle snap.

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Nell’ordine:
Francesco Bonami
Marta Dell’Angelo
Antonio Marras
Inna Zobova
Thyssen-Bomemsiza Museum, Madrid
Artium Museum, Vitoria – Bilbao
Kartell – Fuorisalone 2005
Belvedere Museum, Wien
PS1 MUSEUM, New York
Vogue Pelle – Studio Pollini
Vogue Pelle, 30° Anniversary Issue

Nota: l’unica eccezione alla compact camera è costituita dal lavoro per Vogue Pelle.
Realizzato con una Pentax 645N.

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il Potere davanti

Il potere logora chi non ce l’ha. Celeberrimo Andreotti.
La miseria invece logora solo chi la vive.
Giulia Ligresti e Anna Maria Cancellieri, una vicenda di questi giorni, nella quale non entro. Non per ritrosia. Solo che questo non è luogo.
Però riguardare il ritratto che ho fatto a Giulia Ligresti mi dà lo spunto per una riflessione, stavolta scritta, sul rapporto tra fotografia e Potere. E il cartello opposto, fotografia e Miseria.
Altre due citazioni, sorry…
Di Helmut Newton: Per me il massimo è stata Margaret Thatcher: che cosa c’è di più sexy del potere? e ancora Mi piace fotografare le persone che amo, la gente che ammiro, il famoso e specialmente il famigerato.
Non sono semplici provocazioni, queste di Newton, e che per lui fossero sacrosante non c’è motivo di dubitarne.
Se le indosso, me le adatto così: il potere, fotografarlo, è affascinante. Anche sexy, dipende. A patto di essere onesti e restituire una immagine che ti appartenga. Nella quale riconoscerti.
Il che preclude, nel mio modestissimo caso, l’ammiccamento.
Perciò sei esposto, molto più esposto che in qualsiasi altro ambito ci si cimenti fotocamera in mano. Guerre a parte. Forse.
Il potere di cui parlo è maiuscolo, cioè politico, economico, finanziario.
Quello da cui tutto dipende, anche i direttori dei giornali. Anche direttori e sovrintendenti delle varie istituzioni culturali. Oggi più che mai.
E quando si piazza davanti all’obiettivo di un fotografo, lo fa sempre con grande cognizione di causa.
Anche quando decide di evitare. Mi è successo… mi è successo di essere stato cortesemente rifiutato da un potente molto potente. Esplicitamente rifiutato: mi ha fatto molto piacere. Perché onesto nei miei confronti. Oltre che nei propri. Così non si generano equivoci.
Fotografare il potere non è agevole. E non ti dà alcuna gloria.
Anzi a volte finisci all’indice perché ti viene imputata una qualche complicità. A differenza della fotografia della miseria – altrui  miseria – con l’impianto umanitario e sociale… che ha vinto tutti i più grandi worldpress. Piena di boria bianconera new style, con un che di retrò che commuove e affascina.
Ah sì? A me la fotografia affascinante fa schifo!
Moralista e demagogica, formato cartolina nei dispenser dei bookshop trova la sua destinazione finale.
Miseria che fa cassa.
Miseria comoda.
Miseria photoshoppata.
Miseria passepartout infilata in qualche fashion magazine in cerca di consenso intellettuale.
Miseria sterile e miserabili disarmati…
La fotografia ha un’etica. E se ne frega della morale.
E fotografare non significa emettere giudizi universali.
Io fotograferei chiunque, anche il Diavolo se ne avessi l’occasione.
Che così, epidermicamente, mi invoglia più di tanti santi, miti e boriosi.
Che poi, non è che sto parlando di immaginette da mettere nel portafoglio o buone per la campagna elettorale: alcune di queste immagini hanno visto la luce solo grazie al sostegno del magazine che le aveva esplicitamente commissionate.
È di Capital edito RCS che sto parlando, direzione Mario Fortini.
L’intenzione era vedere la forma antropologica del potere.
Non bastava la sagoma, volevo il dettaglio… volevo capire se la specie di appartenenza era la stessa: com’è fatto il potere?
E se davvero lo si vuole fotografare, va guardato bene in faccia.
Dritto negli occhi.
E magari da molto vicino.
Senza timore reverenziale. Ma senza preconcetti.
I preconcetti, o anche più comprensibilmente le divergenze ideologiche o etiche, emergono in chi poi le fotografie le guarda.
E il giudizio a riguardo è immediatamente condizionato a seconda della sponda di appartenenza.
Credo che il fotografo possa andare oltre questa immediatezza.
Non ci deve restituire uno stereotipo… non una classifica di buoni e cattivi.
Non una didascalia.
Non una caricatura.
Non un’omelia.
Ci dia ciò che vede. È questo che si pretende da un fotografo.
Tutto qui. A patto di avere un magazine complice.
Quindi non subalterno. Io non ne trovo più.
Paolo Sorrentino ha fatto un ritratto forte, diretto e onesto di un uomo di potere. E Il divo è lì da vedere. E rivedere.
Un manuale da prendere alla lettera per chi fotograficamente col potere si relaziona.
A meno di essere delle veline.

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Indice:
Giulia Ligresti, 2007 – First magazine
Massimo D’Alema, 1996 – Capital magazine
Gianfranco Fini, 1996 – Capital magazine
Guidalberto Guidi, 1997 – Capital magazine
Biagio Agnes, 1996 – Capital magazine
Pier Silvio Berlusconi, 2006 – Men’s Health magazine
Giulio Andreotti, 2006 – Grazia magazine
Giulio Andreotti, 2006 – Grazia magazine
Mario Draghi, 1996 – Capital magazine
Cesare Geronzi, 1997 – Capital magazine
Franco Bernabé, 1997 – Capital magazine
Lamberto Dini, 1996 – Capital magazine
Enrico Micheli, 1996 – Capital magazine
Umberto Bossi, 1996 – Capital magazine
Walter Veltroni, 1996 – Capital magazine

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La Fuga – Vogue Pelle 30° Anniversary Issue

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Vogue Pelle 30° Anniversary Issue…
Stavo sistemando un po’ di roba nel gran casino che è il mio cranio, e che è simile all’armadio dei negativi. Quello dove ho stipato qualche chilometro di pellicola.
E mi salta fuori d’emblée La Fuga.
Perché è così che era stato pensato e realizzato questo lavoro per Vogue Pelle, numero per il 30° anniversario, settembre 2005: la fuga notturna di una bambola dimenticata.
Una calda notte d’estate. Una notte ubriaca. Una notte perfetta per fuggire.
C’è chi crede che io racconti dove mi trovo. E che questo sia la fotografia.
Non è vero.
Io racconto sempre qualcosa che non c’è. Che non è dove mi trovo. Ma che si vede.
Basta guardare a occhi chiusi e pori aperti.
Questo è per me la fotografia.
Sarei dovuto scappare anch’io quella notte.

Buon anno, fanciulle e fanciulli in fuga.

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CAOVILLA. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

STUART WEITZMAN. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

JMMY CHOO. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

STUDIO POLLINI. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Modella: Federica.
Make up: Nancy Gallardo.
Producer: Camilla Invernizzi.
Assistenti fotografia: Emanuela Balbini, Nicole Marnati.
Location: Turci Calzature, Milano. Giugno 2005.

Sandali: CAOVILLA, STUART WEITZMAN, JMMY CHOO, STUDIO POLLINI.

Fotocamera Pentax 6/7 con SMC Pentax 55 mm.
Film Fuji NPS 160.
Flash Profoto.