Tibetani Hollywoodiani

Il Tibet non c’entra. Neanche Hollywood.
Forse.
È un concetto, tipo… avere la testa in Tibet e il culo su una chaise longue a Hollywood. Due estremi insomma.
Di cui l’estremo nobile, il culo, è sempre comodo altrove.
Ma la testa, lo sappiamo, vaga alla ricerca di dignità.
E di consenso. Morale e mediatico.
E vaga talmente tanto da convincersi che in fondo non è poi così importante dove il culo risiede.
Invece è importante.
È importante sapere dove la tua parte protetta e più preziosa ha messo radici.
Perché di fatto è con quella che scorreggi. Ed equamente parli.
Ed equamente fotografi.
Fine della metafora stilnovista.
Una fotografia vale più di mille parole?
Le parole hanno un peso specifico. Le fotografie pure.
Quali parole? Quale fotografia?
Di recente ho visto sul web questa immagine, di parole anonime

E ho visto questa fotografia di Terry Richardson. O che lo ritrae. In fondo non c’è molta differenza.

Sembrano esprimere lo stesso concetto. Sembra patta insomma.
Non è così: nella prima riesco, giuro, a estrapolare una poetica.
Cruda e magari involontaria.
In Terry Richardson vedo buona parte della fuffa mediatica che avvelena la fotografia, la diretta emanazione della subcultura televisiva occidentale dell’ultimo ventennio.
Per nulla involontaria.
E mentre la prima, la poesia diciamo, è scritta s’un pezzo di carta straccia, quasi un pizzino, la fotografia di Richardson è ben stampata su carta patinata, e riconosciuta universalmente.
Universalmente un cazzo!
È riconosciuta e avvalorata da una borghesia finanziaria che ha occupato stabilmente il sistema dell’arte e della comunicazione.
Di matrice americana. Una borghesia post industriale, una borghesia composta da chi non produce e non offre nulla, la cui unica merce di scambio comprensibile è il denaro.
Finanza diretta, mega agenzie appaltatrici culturali, mega fauna variopinta e impasticcata, tutti dentro.
La grande bellezza…
Qui non c’è morale se non la loro. E come potrebbe essere diversamente?
L’economia finanziaria è loro, la lingua è la loro. I serial killer sono i loro.
Il resto del mondo ha gli emuli. Anche quelli con fotocamera in mano.
Loro sono il metronomo. Gli altri ballano.
Ma questa non è la cultura americana! Che è stata ed è capace di pagine immortali.
Il mio pensiero in questo esatto momento va a un insegnante di letteratura di una cittadina del New Jersey…
Che combatte esattamente come noi per la propria sopravvivenza.
Il problema è l’attuale modello culturale. Un modello commerciale nato per l’esportazione. Che non concepisce la diversità se non nel folklore.
La fotografia è linguaggio. E il linguaggio è per definizione molteplice. Nasce e evolve a partire da dove ti trovi. Anche se ti sposti.
Se vivi in una zona franca indefinita, culturalmente avvilita, non c’è contaminazione!
C’è solo emulazione.
E siccome non sei l’originale, al massimo produci delle brutte copie.
Nel nostro caso è come essere costretti ad aprire bocca solo con lo sguardo rivolto al Colosseo.
E a riempircela ripetendo come un mantra obnubilante RINASCIMENTO! NEOREALISMO! Stop.
Non è così. Io vedo produrre immagini dalla forza dirompente in questo paese allo sbando.
E il bello è che è transgenerazionale, altro che no. Altro che pigrizia e beatitudine borghese.
Una produzione costretta underground che usa il proprio linguaggio.
Zero emulativa. Zero borghese.
E che non si concentra sul proprio ombelico – cazzo – culo – figa.
Solo che non viene intercettata da chi potrebbe. E dovrebbe.
Distratti da chissà cosa. Spesso vittime inconsapevoli che si accontentano di qualche privilegio. Senza però avere il culo a Hollywood.
72 generazioni fa eravamo i padroni del mondo…
Adesso di 72 abbiamo solo i DPI degli altri.

Ma cosa volete che ci freghi del Richardson di turno!
Di ‘sto linguaggio infantile e vecchio.
Dei pompini abbiamo memoria iconografica dai tempi di Pompei.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

mariEnzo Mari, sulla creatività: http://www.youtube.com/watch?v=X49crKOX9Js

UPDATE: 24 OTTOBRE 2017.
Magno cum gaudio nuntio vobis: GODO!!!
È di oggi la notizia che Condé Nast non lavorerà più con Terry Richardson.
E i servizi realizzati ma non ancora pubblicati, soppressi.
Letteralmente: should be killed.
Qui l’articolo del Telegraph
– Ripreso da D di Repubblica

Ma c’è un punto: la fotografia, saperla leggere, è trasparente.
Quindi, o tutti coloro che nel corso del tempo si sono sbrodolati sono degli analfabeti, o ammiccavano compiaciuti. E paganti.
Poi… che il Terry a stelle e strisce abbia scaldato i cuori – e le menti – di alcuni ambienti nostrani, lo trovo imbarazzante.
Ma di che appeal parlano le riviste che lo hanno ospitato?
E a più riprese celebrato.
Per quello che mi riguarda, è uno spartiacque.

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46 thoughts on “Tibetani Hollywoodiani

  1. Certo Efrem, ma siccome io sono abituato a giudicare in base a quello che mi piace o non mi piace – cosa che tutti dovrebbero fare nel mondo dell’arte, senza pensare prima al valore economico di una cosa e dopo, solo dopo, se piace – anche se le cose sembrano imposte dall’alto come dici tu (e sicuramente hai ragione, conosci questo mondo molto meglio di me), preferisco continuare su questa strada. Ci sono cose di Warhol che trovo bellissime, altre meno. Difficilmente ascolto chi mi dice cosa mi dovrebbe piacere.
    Buona serata!
    :)

  2. Ciao Carlo. Dubito che Terry ad inizio carriera si sia autodefinito artista. Io preferisco chiamarlo fotografo. Che poi la sua fotografia sia entrata dalla porta principale nel mondo della fotografia artistica americana questo è un dato di fatto e non ci vedo niente di male. Fa sorridere pensare che il merito è anche di chi ora lo vuole abbandonare per accuse tutte da dimostrare e tornate in voga grazie a fatti molto più gravi. Preferisco sempre chiamarlo fotografo.
    Ho fatto quella domanda perché tempo fa lessi (non qua) l’ennesima discussione su William Eggleston (americano anche lui) contro tutti. In quel caso si cercava di capire perché un insegna arrugginita di un drugstore avesse meno dignità di un albero di Salgado o di un afghano di McCurry (sempre i soliti due guarda caso). E giù ad offendere la fotografia artistica americana. Ovviamente la tecnica la faceva da padrona e in quel caso capire che, banalmente, dietro una tecnica apparentemente bassa c’è comunque dello studio e che non bisognerebbe fermarsi alle apparenze era come far capire ad un politico italiano il concetto di onestà: impossibile.
    Sia chiaro che non voglio insegnare nulla a nessuno – a voi due poi – potrei solo imparare e nemmeno voglio far cambiare idea alle persone.
    Non sono stupito della critica. Sono solo curioso.

    • dico solo la mia, NNNNAAAA: il sistema artistico americano parte dalla pop art. ed è stato organizzato a tavolino. anzi, a tavolone visto che parte da finanziamenti governativi.
      e il vero referente è il marketing. quello vero, non quella robetta nostrana. richardson è solo un prodotto funzionale.

      ultima: la destinazione d’uso di un’opera di qualsiasi tipo non cambia la cifra espressiva. solo il valore economico. e il giro del fumo in questo caso, per me.

  3. Caro Efrem sono capitato per caso nel tuo blog.., ci conosciamo dagli inizi, quando eravamo solo ragazzini, quindi è un piacere vedere quello che fai e seguirti anche in questo pazzo mondo dei social… io raramente entro in discussione, mi piace solo guardare, leggere, sentire! Mi sono spinto con te in questa discussione su Terry… incuriosito.
    Capisco quindi lo stupore del nostro amico NNNNAAAA per lo stridio che può causare il commento di un professionista che critica un’altro professionista come Terry… Lo capisco. La mia critica non sta certo nell’uso improprio della luce di Terry e neppure della sua manifesta foga sessuale che a mio avviso potrebbe giocarsi meglio… Certamente la mancanza di raffinatezza lo distingue da gli altri grandi e veri fotografi di moda… Le mie donne nude? O gli uomini con pene al vento? Certo capisco, fanno parte anche loro del mio racconto di una vita fotografica, ma di certo non fotografo e mostro suore che mi fanno un pom….ino o ritraggo adolescenti con il viso coperto di sperma.. questo NO! Anche se magari nel mio privato ne faccio di peggio… affari miei e non voglio essere considerato artista per queste cose di certo… Questo tipo di fotografia a mio avviso non è giudicabile come fotografia di moda o di arte…. è demenziale. Comunque ringrazio NNNAAA per l’educazione e la raffinatezza nella critica, se fossero tutte così le critiche mi divertirei anch’io nel giochino dei social. Efrem fatti vedere qualche volta, una birra in fresco la trovi sempre da me, ciao C
    PS: comunque se Terry ci invita ad un festino dei suoi.. io ci sono!

  4. Efrem, sinceramente quello che vedi tu e quello che dice Enzo Mari lo noto più, ad esempio, in tutta questa nuova scena di giovani fotografi, fotoeditori e fotolibrai italiani (e non solo). Una serie di prodotti tutti uguali, di fotografie tutte uguali, piatte, asettiche, fredde, legate insieme da non si sa cosa – il mio primo pensiero – da un testo di presentazione – il vero legante – quasi sempre talmente estraneo al lavoro e fumoso che si può adattare a vari prodotti anche apparentemente diversi fra loro, pure per l’inaugurazione di una salumeria.
    Fuffa ma ben confezionata.
    Preferisco che le fotografia sia trasparente e leggibilissima.
    Fermo restando che la cultura americana, pur essendo molto invadente, ancora non ci appartiene in pieno (per fortuna direi). Con cultura intendo anche le numerose sottoculture, fino alle nicchie.

    • no ma il fatto che siano trasparanti – ciè leggibilissime – è solo un plus. il problema è il lettore NNNAAA. se si produce con l’intento di coincidere col lettore il risultato è quello che dici. e infatti i risultati sono sotto gli occhi di tutti. chiari davvero forse solo a una nicchia, appunto.

  5. Ciao Carlo. Se condomino o amministratore hanno ancora la copia di Kibosh – se non si è rovinata – ti lascio il mio indirizzo. Nel frattempo mi spieghi che differenza c’è tra la tua fotografia di donne su letti o divani in reggicalze, tacco nero e via discorrendo o quella dei vari uomini, anche con il pene in mostra, rispetto a quella di Richardson. Se la differenza si limita al fatto che quella di Richardson sembra apparentemente meno studiata o peggio illuminata o cos’altro.
    Leggere queste cose in un forum di fotoamatori è la prassi, ma qua stride più del gesso di Enzo Mari sulla lavagna.

  6. Sfruttano (scusate la volgarità) la figa in ogni modo, poi ogni tanto folgorati dalla luce divina si accorgono di aver dato retta (fama, soldi e gloria) ad una roba che meritava solo compassione e cure!!! Grazie come sempre di tenere alto il livello del pensiero e di avere il culo non troppo comodo!!!

  7. Ciao Efrem, l’editore italiano diel sig… Terry mi regalò il libro Kibosh uscito ai tempi della sua mostra a NY e poi a Milano mi sembra …. spazio forma mi sembra… Lo aprii dalla sua confezione plasticosa e preziosa mentre cenavo. Alla quarta pagina sfogliata volò letteralmente fuori dalla finestra e lo raccolse un mio condomine che mi denunciò all’amministratore di condominio …. per atto osceno ed inconsiderato…. e tutti compreso Conde Nast si accorgono solo ora dello schifo di questo non fotografo… osannato da tanti … non tutti, ma anche tanti marchi importanti… e da tanta critica stupida e ignorante… e non mischiamo questo nome a quello di Helmut…. perfavore! Fanno tutti ridere…. Fotografo…. ma vahhhhh
    A presto my friend.

  8. Ho incontrato Enzo Mari a Milano anni fa alla presentazione di una rivista di architettura e probabilmente la gran parte dei creativi presenti alla suddetta presentazione nemmeno sapevano chi fosse, non solo il Mari in carne ed ossa ma anche il Mari disegnatore di oggetti. Se il primo livello non è importante lo è il secondo. Questo per dire che bisogna anche e soprattutto sapere leggere fra le righe, sia in quello che dice Mari, sia nel lavoro di Richardson, spesso bollato come infantile e semplice (ma molto male imitato, male perché unico e quindi inimitabile e con unico non intendo dire che debba piacere a tutti), pornografico. Divertenti le affermazioni del fotoamatore medio che vede nell’uso del flash in macchina il primo grave difetto nelle foto di Terry, tanto che non è raro leggere in rete di “flash alla Richardson”.
    Il lavoro di Richardson sta esattamente nella parte alta della lavagna di Mari e non in quella bassa e questa semplificazione in negativo della sua fotografia mi ha sempre lasciato un senso di fastidio.
    Il comportamento di Condè Nast, se confermato, non fa che sottolineare ancora una volta il bigottismo della società americana. “Licenziare” un fotografo per voci e sentito dire riguardanti la sua condotta sessuale in ambito lavorativo, dopo aver venduto milioni di copie grazie alle sue fotografie, è una cosa squallida, ancora più squallida se fatto cavalcando l’onda del caso Weinstein.
    E la semplificazione qua, prendendo come esempio del suo lavoro una foto che ha più di 17 anni, non aggiunge nulla alle varie discussioni sulla sua fotografia.
    Può piacere o non piacere però ridurre la questione a questi minimi termini non ha nessuna utilità.

    • NNNNAAA il problema non è per quello che mi riguarda il comportamento e/o la sua vita privata. per questo esiste semmai il codice penale una volta cuccatto. oppure no nel caso fosse un perfetto cittadino timorato di dio. la questione al centro è il prodotto. e non si tratta di piacere o meno: è la sintesi perfetta di un sistema che trova nella distribuzione di un prodotto mediocre la chiave della propria celebrazione. che altrimenti sarebbe impresentabile. la produzione del nostro è trasparente. leggibilissima. le cui radici sono un po’ più lontane. e che nel pop affondano. personalmente registro questo. un peso specifico prossimo a una scorreggia.

  9. Complimenti anche stavolta per me hai fatto centro ! L’intervista di Enzo Mari spesso la invio a tanti amici/conoscenti che vogliono mimetizzarsi ,continuando a parlare in “politichese” a riguardo dell’arte, ahimè spettatori non paganti e pecoroni dal successo immaginario. Per quanto riguarda il Richardson… va da se più personaggio che fotografo, si è sempre venduto bene sfruttando la storia personale e familiare che lo ha formato.
    Salutoni
    Daniele

    • be’ Daniele, quel pezzetto Mari è straordinario.
      sul resto sarebbe da aprire una parentesi talmente ampia…
      e comunque per vendersi bene occorre un compratore. succede però a volte che le due figure coincidano

  10. A me dispiace un po’ che del post si prenda spunto per approfondire la critica al sistema di business (che indubbiamente c’è), ma ancora nessuna voce abbia provato a dare una risposta a Efrem su questo:
    “Io vedo produrre immagini dalla forza dirompente in questo paese allo sbando.
    E il bello è che è transgenerazionale, altro che no. Altro che pigrizia e beatitudine borghese.
    Una produzione….(…)… che non viene intercettata da chi potrebbe. E dovrebbe.
    Distratti da chissà cosa. Spesso vittime inconsapevoli che si accontentano di qualche privilegio”.
    Nessuno che si senta chiamato in causa.
    Dà da pensare.

  11. “borghesia finanziaria che ha occupato stabilmente il sistema dell’arte e della comunicazione. Di matrice americana.”
    Il fenomeno parte da lontano, dagli ultimi anni ’40, quando il governo americano pianifica l’utilizzo dell’arte astratta come arma nella la guerra fredda (arte libera in un paese libero quando in Russia c’è invece il costruttivismo) ed intraprende un organico programma d’esportazione dell’arte e del modello sociale statunitense.
    La fuga in America degli artisti surrealisti europei, in gran parte ebrei, a seguito delle leggi razziali imposte dal nazismo, trasferisce in suolo statunitense l’intero movimento surrealista, di cui la giovane e povera cultura americana si appropria declinandolo nelle forme dell’Espressionismo Astratto di Pollock, Gorkij, Still ecc., nella disinibita, scomposta e libera violenza gestuale dell’action painting. Pochi decenni dopo l’America si impadronirà del Dadaismo di Duchamp creando la Pop Art (o New Dada). Secondo lo stesso criterio in anni più recenti l’America crea in architettura il movimento decostruttivista (pescando ancora una volta in bagagli non suoi, nel nostro Barocco, nel Futurismo ecc.), diffondendo a livello planetario le contorte lamiere di Gehry, i vuoti metafisici di Libeskind, le cervellotiche meditazioni di Eisenman, uno del gruppo ce lo siamo beccati pure noi quando abbiamo fatto progettare alla Hadid il Maxxi di Roma, alla faccia del Rinascimento.
    Questo “modello commerciale nato per l’esportazione”, che indifferentemente ci porta la Coca Cola o gli incomprensibili quadri di Rauschenberg, Pollock, Gottlieb ecc. ha colonizzato culturalmente la vecchia Europa utilizzando i media, il danaro e la benevolenza della comunità ebraica, radicando uno degli imperialismi culturali più potenti dell’occidente. Per chi volesse saperne di più:
    http://www.artonweb.it/arteartonweb/articolo12.htm
    “unica merce di scambio comprensibile è il denaro”, perché il danaro è omologante, anonimo, ha dovunque lo stesso significato e si può convertire in qualunque cosa, è l’anima della globalizzazione. Che c’è di strano?
    “Ma questa non è la cultura americana!”…. dici?
    Chi la fa, la cultura americana? L’insegnante di letteratura del New Jersey? La ricca borghesia post industriale? Tutti assieme o vince il più forte?
    Il problema non è solo culturale, è sociale, filosofico, economico, morale, persino religioso, ed è legato alla ‘grobalizzazione’, neologismo che indica” le ambizioni imperialistiche di nazioni, multinazionali, organizzazioni e così via e la loro volontà, o meglio necessità di imporsi in varie aree geografiche. Il loro principale interesse è la crescita (growth, da cui grobalization) del proprio potere, influenza e in qualche caso profitti, in tutto il mondo.” (‘La globalizzazione del nulla’, George Ritzer, 2005).
    E inventarsi una nuova identità è lotta impari tra un piccolo David ed un prepotente Golia.
    Però, ora che ci penso; David ha vinto…………

    • mi è chiarissimo e condivido sulla globalizzazione. su cos’è realmente.
      ciò non toglie che la cultura americana, giovane rispetto a buona parte del resto del mondo, abbia prodotto, non solo ospitato e importato. soprattutto se penso alla letteratura e al cinema. e anche alla fotografia.
      la borghesia industriale è comunque cosa diversa, concedimi, rispetto a questa finanziaria.
      e anche i pollock rispetto ai richardson. o almeno io credo. anche se, vero, il meccanismo di esportazione è simile. diciamo allora che questo mi fa più schifo.
      meno male vilma che almeno il finale lascia uno spiraglio :)

    • molto interessante e illuminante l’articolo…
      ma anche la pop art mi è abbastanza chiaro cosa rappresenti. e tutto quegli osanna non li ho mai condivisi.

      • Come spesso succede, gli americani hanno la capacità di banalizzare ciò che toccano, forse per il fatto che, spesso, ciò di cui si impossessano non viene dalle loro radici culturali. Pensa cosa hanno fatto dell’architettura di Palladio, ancora oggi ‘padre spirituale adottivo’ della cultura architettonica di una nazione dove, per puro caso, i suoi “Quattro libri dell’architettura”, tradotti in inglese nel 1716, giungono portati dai padri pellegrini sulle navi dei coloni britannici. E tutte le volte che vedo in tv la Casa Bianca mi chiedo se il presidente che ci vive sa che James Hoban ha ‘copiato’ la sua sontuosa dimora dai libri di un architetto italiano stampati a Venezia nel 1570.
        Con la Pop Art ci ricascano, copiano l’idea di un geniale francese che, alla Society of Independent Artists di New York nel 1917, espone un orinatoio intitolandolo “Fountain” e inventandosi il ready-made, un alibi perfetto per celebrare, seppure in termini provocatori e trasgressivi, l’avvento del consumismo di massa trasformando in icona l’oggetto di consumo prodotto in serie, anestetico e banale, creato dall’industria, lo stesso usato dalla pubblicità, esposto nei supermarket.
        L’Europa non può competere con un gigante ricco e prepotente quale l’America degli anni ’60, e movimenti europei nazionali di impronta new dada come ad esempio il Nouveau Realisme vengono sottovalutati proprio a casa loro, dove, sotto l’onda d’urto di una campagna propagandistica che da oltre oceano dilaga in tutto l’occidente, vengono visti assurdamente come un fenomeno di importazione nei confronti delle coeve esperienze statunitensi e inglesi, grazie alla scarsa capacità del sistema artistico (italiano ma anche europeo) di sostenere i propri artisti, non solo all’estero, ma anche nel loro paese.
        Alla base di tutto ciò c’è il danaro ed una attenta manipolazione del mercato dell’arte (fotografia compresa).
        “Business art is the step that comes after Art. I started as a commercial artist, and I want to finish as a business artist [……] I wanted to be an Art Businessman or a BusinessArtist.”, così parla Warhol con lucido cinismo, esprimendo un concetto più che mai attuale.

  12. Bel post Efrem! ;)
    E’ un discorso complesso, estendibile ovviamente anche ad altri campi.
    Se pensi al cinema ad esempio. O alla TV. Le serie TV ecco, che negli ultimi anni hanno avuto grandissima fortuna (in moltissimi casi a ragione) In America, Inghilterra e non solo. O la narrativa di genere. In Italia (ma anche altrove) si è cercato di emulare, di ricalcare…con risultati a dir poco osceni, in tutti i campi. Poi per chissà quale colpo di…fortuna, una produzione, un autore riesce ad uscire alla luce del sole, a farsi conoscere e ti accorgi di quanto conti e quanta importanza abbia per il proprio linguaggio il fatto di narrare di qualcosa che ti appartiene, che conosci. Penso a Giorgio Diritti ad esempio con IL VENTO FA IL SUO GIRO, a BORIS come serie tv, a Enrico Pandiani per un “genere narrativo”, il noir/poliziesco/hard boiled o chiamatelo come vi pare”, che in Italia è stato sempre inteso come una successione di colpi di scena al limite dell’assurdo e per lo più inutili (perchè IL CODICE DA VINCI è scritto così, ha venduto un fottio e quindi va bene) e totale mancanza di ironia, ignorando la vera natura e la grandezza di autori che hanno reso qual genere “altro”. E negli ultimi tempi ho scoperto questo fumettista, ZEROCALCARE, un ragazzo romano che è un esempio perfetto di quello che dici nel post. In fotografia penso a Ghirri ovviamente, come a tanti altri autori. E’ come quando viaggi…molti pensano che più ti allontani e più tutto diventa automaticamente interessante. E io non mi ci ritrovo proprio in questo pensiero. Così come altri, che, come hai scritto, hanno tanto da dire e sono costretti a una produzione underground.
    Terry Richardson invece mi sono ritrovato mio malgrado a doverlo difendere durante una discussione (tra l’altro conosco pochissimo il suo lavoro), ma solo perchè come sempre accade, il punto era diventato “potrei farla anche io quella foto con una compatta” o “se fotografi cazzi e fighe non hai niente da dire”. E’ incredibile come la gente possa guardare con una tale attenzione alle cose più inutili tralasciando il resto che secondo me salta all’occhio molto prima. Ma quando c’è il nudo di mezzo tutti i preconcetti vengono fuori, insieme ad un’insana dose di bigottismo assurdo mischiato ad una paura ingiustificata per i nostri corpi.
    Ok avrei voluto scrivere altro e in altro modo, ma confido nel fatto che tu comprenda quello che intendo. Odio scrivere, maledizione! Ciao! :)

    • intendo perfettamente andrea…
      il vento fa il suo giro… hai detto niente. tra l’altro ho avuto modo di chiacchierare a lungo con fredo valla, lo sceneggiatore del film, per un meraviglioso progetto non concretizzatosi. né per colpa sua, che anzi ci teneva, né mia. che ci tenevo uguale.
      su richardson credo che sia proprio il bigottismo americano la fortuna del suo successo in patria. poi amabilmente esportato. come se abbia ricevuto in delega la possibilità di realizzare ciò che altri non possono permettersi neanche di pronunciare. il braccio di una mente infantile e patologicamente preoccupante. ma è e resta ciò che si vede.

      • Direi che il bigottismo americano è la fortuna di tantissimissimissimi prodotti di successo. E’ un Paese che si contraddice in continuazione. Hai detto bene “è e resta ciò che si vede”. E si vede subito! Tanti però guardano altro, mettendo la sua produzione sullo stesso piano di quello di altri con cui non ha davvero nulla da spartire. E mi fa incazzare, davvero tanto. ;)

  13. Un applauso; sono sola qui davanti al computer, ma la standing ovation te la faccio lo stesso.
    E un po’ piango.
    Ciao Efrem!

  14. c’è un aspetto di questa situazione che mi sconcerta. negli usa la fotografia è molto più vitale e variegata che qui (anche il mercato del fine art, una mia talentuosa e affermata amica parla della fotografia ancora come di un’opportunità); poi qui arriva il peggio e diventa mainstream (tu non lo citi, ma anche Helmut Newton era uno che viveva di furbizie).
    niente senso critico, accettazione conformista, e nessuna capacità di sviluppare una nuova identità, di inventarsi qualcosa… dov’è finito il nostro tanto decantato ingegno? perché siamo così masochisti e esterofili? perché anche chi potrebbe, avendo visibilità (non sto parlando di te che mi sembri allineato solo con te stesso… per fortuna!) , si barcamena tra tra ammicamenti e si contenta (tanto c’è sempre FB per bullarsi)?
    chi c’è che vuole andare avanti e oltre in Italia nel tuo campo?

    • newton non lo cito perché mi piace. ma il punto vero è che in lui riconosco un linguaggio proprio. autonomo. extra impasticcamento. certo usava anche una certa furbizia, ma di un altro pianeta rispetto a questi.
      quanto all’allineamento non è difficile non essere allineati, per chiunque: basta cercare di voler dire la propria. in qualsiasi modo non importa quale. poi sai, io sono molto poco glam, ho un vantaggio :)
      il mercato usa è roba che qui ci sognamo. in usa non sanno neanche che esistiamo

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