Grazie Efrem, per la segnalazione: è solo una breve pagina, in realtà sul tema della finestra si potrebbe scrivere un libro, tanti sono i significati metaforici e simbolici che sottende, io nel proporlo ho seguito la mia solita via, che non è tanto quella del dire, ma quella di disseminare briciole per indurre il lettore a trovare da solo il proprio percorso e le proprie risposte. Nel caso tuo, le fotografie a cui ispirarmi erano molte, ma ho voluto scegliere solo finestre viste da fuori perché il parallelismo con Hopper fosse più facilmente individuabile. La finestra vista da fuori rappresenta il mistero, uno sguardo dal buco della serratura, una sbirciata nell’abisso dell’anima, la possibilità di supporre, scoprire, indagare.
La finestra vista da dentro ha un orizzonte più concluso, ci dice di più sulla quotidianità dell’abitante e forse per questo dà meno spazio alle nostre possibilità immaginative, ognuno vede o teme a suo modo quello che sta fuori dalla finestra, è un fatto personale nel quale è più difficile insinuarci (“Guardo intontito fuori dalla finestra l’orribile giornata luminosa che mi accartoccia lo stomaco…..” scrive Bukowski).
La finestra vista da fuori è un’ipotesi, quella vista da dentro una certezza.
veramente sono io a ringraziare te, vilma…
per quanto non sono così sicuro che viste da dentro, le finestre, siano una certezza. anche se poi, almeno io, le uso per guardare fuori.
hopper! grande amore. so mica dire sul parallelismo… certo lui è fonte di immaginazione e ispirazione. io posso solo girovagare.
anche il vecchio buk a dire il vero è un grande amore. e in fondo si assomigliano nel raccontare
hai ragione anche tu, è vero, le finestre viste da dentro non sono una certezza se si usano per guardar fuori (che poi è l’uso più ‘normale’), basti pensare alle surreali finestre di Magritte.
In tal caso l’enigma si complica, non ci si chiede più “chi ci sarà lì dentro?”, ci si chiede “cosa sta guardando fuori dalla finestra quello che sta lì dentro?”.
Il gioco intellettuale che Hitchcock mette in scena è proprio questo, una visione mediata che non sai se è la tua o la sua o quella di qualcun altro (Hopper?).
Indovinello: ma il gatto (nero?) della tua prima finestra, si chiama per caso Cagliostro?
Quella di non avere tende è una tradizione soprattutto nordica, forse perché gli inverni e il buio sono più lunghi.
Vilma ha ragione: spesso ci si accorge delle finestre solo all’imbrunire quando si accendono le luci e è un momento di grande fascino. Hopper è un maestro della finestra e emana una luce tutta sua. E ha ragione anche riguardo le tue: sono familiari e segnalano una scena passata o interrotta. Peró vedo anche una certa inquietudine: sbaglio?
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molto bello questo articolo, così ricco di spunti di riflessione. grazie efrem, soprattutto grazie vilma.
Grazie Efrem, per la segnalazione: è solo una breve pagina, in realtà sul tema della finestra si potrebbe scrivere un libro, tanti sono i significati metaforici e simbolici che sottende, io nel proporlo ho seguito la mia solita via, che non è tanto quella del dire, ma quella di disseminare briciole per indurre il lettore a trovare da solo il proprio percorso e le proprie risposte. Nel caso tuo, le fotografie a cui ispirarmi erano molte, ma ho voluto scegliere solo finestre viste da fuori perché il parallelismo con Hopper fosse più facilmente individuabile. La finestra vista da fuori rappresenta il mistero, uno sguardo dal buco della serratura, una sbirciata nell’abisso dell’anima, la possibilità di supporre, scoprire, indagare.
La finestra vista da dentro ha un orizzonte più concluso, ci dice di più sulla quotidianità dell’abitante e forse per questo dà meno spazio alle nostre possibilità immaginative, ognuno vede o teme a suo modo quello che sta fuori dalla finestra, è un fatto personale nel quale è più difficile insinuarci (“Guardo intontito fuori dalla finestra l’orribile giornata luminosa che mi accartoccia lo stomaco…..” scrive Bukowski).
La finestra vista da fuori è un’ipotesi, quella vista da dentro una certezza.
veramente sono io a ringraziare te, vilma…
per quanto non sono così sicuro che viste da dentro, le finestre, siano una certezza. anche se poi, almeno io, le uso per guardare fuori.
hopper! grande amore. so mica dire sul parallelismo… certo lui è fonte di immaginazione e ispirazione. io posso solo girovagare.
anche il vecchio buk a dire il vero è un grande amore. e in fondo si assomigliano nel raccontare
hai ragione anche tu, è vero, le finestre viste da dentro non sono una certezza se si usano per guardar fuori (che poi è l’uso più ‘normale’), basti pensare alle surreali finestre di Magritte.
In tal caso l’enigma si complica, non ci si chiede più “chi ci sarà lì dentro?”, ci si chiede “cosa sta guardando fuori dalla finestra quello che sta lì dentro?”.
Il gioco intellettuale che Hitchcock mette in scena è proprio questo, una visione mediata che non sai se è la tua o la sua o quella di qualcun altro (Hopper?).
Indovinello: ma il gatto (nero?) della tua prima finestra, si chiama per caso Cagliostro?
né quello della novak, né quello di dylan dog… si chiama strip e non è nero. ma è tostissimo
grazie per la segnalazione, le finestre hanno tanto da raccontare per chi ha la capacità di vedere oltre
:)
Quella di non avere tende è una tradizione soprattutto nordica, forse perché gli inverni e il buio sono più lunghi.
Vilma ha ragione: spesso ci si accorge delle finestre solo all’imbrunire quando si accendono le luci e è un momento di grande fascino. Hopper è un maestro della finestra e emana una luce tutta sua. E ha ragione anche riguardo le tue: sono familiari e segnalano una scena passata o interrotta. Peró vedo anche una certa inquietudine: sbaglio?
per me non sbagli…