Facciamo che sia proprio io, in prima persona, a parlarne… così usciamo dall’equivoco della forma preconfezionata che mi vorrebbe distaccato.
Quando c’è stato da dire che non funzionava, l’ho detto. E anzi proprio ho smesso di farne. E rifiutato gli inviti.
Ci ho riflettuto due anni. Nei quali me ne sono stato zitto e fermo.
La sede del ritratto, organizzato da Fondazione Fotografia Modena, era il primo test di questo workshop che ho messo in piedi.
E ha funzionato!
Perché si possa chiamare workshop, ci dev’essere anche una parte pratica.
Realmente operativa.
Se no chiamiamola CONFERENZA. Oppure APERITIVO CON…
Che non c’è nulla di male. Ma è un’altra cosa.
Quindi sì… quindi Workshop.
Sarò stato fortunato nel trovare in Daniele Ferrero, dell’Ufficio Didattica della Fondazione, un prezioso interfaccia…
Sarò stato fortunato a trovare Claudio Cazzara, Davide De Dea, Francesca Ferrari, Alice Figus, Elena Guidi, Joseph Nemeth, Daniele Paladini, Nicola Petrara, Giacomo Ramaccini, Mauro Zorer, decisamente motivati e partecipi…
Sarà fortuna appunto… bene: non ho nulla contro la fortuna!
Sono stati tre giorni intensi. E decisamente condivisi.
Non so come altro immaginare il mio rapporto con la fotografia: quando ne parlo e quando la faccio.
Ed è anche per questo che, mi si scusi, sono così diretto.
Abbiamo anche avuto il tempo, in una pausa pranzo, di vedere la mostra di Hiroshi Sugimoto, sempre nelle sale della Fondazione Fotografia Modena – fino al 7 giugno, andateci – e lì farci un’iphonata di gruppo. Io dietro.
E poi e poi… non mi era MAI successo. E sono diciannove anni che mostro, espongo, pubblico il ritratto a mio padre… questo
Non mi è mai successo di piangerne in pubblico. Qui sì. Non so perché.
È successo. Non accadrà più.
Ma questo è il potere della fotografia, che a volte, quando meno te l’aspetti, e sei ben vaccinato, PAM! ti arriva un’asciata da dietro.
Dice che è un po’ troppo intimo questo passaggio, troppo personale per scriverne… ne prendo atto.
Chi voleva un report, è servito.
Del resto è noto… i punk sono figure anacronistiche e romantiche.
Questo workshop inoltre mi ha fatto capire due cose: la fotografia che mi piace coincide con le persone che mi piacciono.
Anche se non le conosco, so esattamente che è così.
E poi, che il ritratto è tale solo quando il soggetto ha la coscienza di essere ritratto.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Le immagini che pubblico sono di backstage realizzate dalle fanciulle e dai fanciulli di cui sopra.
Non metto credit. Volontariamente. Spero che gli autori capiscano perché.
Del resto ci siamo conosciuti no?
© All Rights Reserved.
Condividi/Share
Ciao Vilma, grazie per la risposta e gli spunti.
Confesso che ho quando ho letto la risposta di Efrem ho sorriso e ho pensato che è esattamente così :)
Ma il fatto che l’oggetto sia inanimato, mi son chiesta subito dopo, rende tecnicamente l’opera non classificabile come ritratto?
La mia difficoltà, forse il mio limite, è proprio questo: non riuscire a incapsulare il concetto di ritratto in un’unica definizione.
Quella classica, vuole soggetto e artista consapevoli, collaborativi, meglio ancora se complici, per il raggiungimento dell’obbiettivo comune. Bene.
Ma in certi casi, non potrebbe essere addirittura sufficiente la sola intenzione dell’artista, il suo desiderio?
Indipendentemente che sia volto all’altro o a sè stesso e anche da quale sia il soggetto.
In tal senso considero ritratti anche opere di riporto fotografico, in quanto processo che immortala senza la volontà di annullare la natura del soggetto.
Se un esercizio del genere sia più rassicurante o meno davvero non saperei dirlo: forse dipende da quello con cui l’artista ha deciso di confrontarsi.
Infine ripenso a Barthes che ritrova l'”essenza” di sua madre in una foto di lei bambina che gioca col fratellino, e mi chiedo se si possa parlare di ritratto anche in questo caso – al di là dei tecnicismi e delle definizioni, semplicemente per quello che quella foto contiene ed è riuscita ad evocare :)
Grazie e ciao,
Daniela
Daniela, sull’ultima domanda la risposta di Efrem è perfetta, siamo davanti al ‘ritratto’ di una fotografia, un oggetto inanimato che, come qualunque natura morta, può diventare soggetto iconografico (della pittura o della fotografia) e può essere fotografato, la consapevolezza non è richiesta, come non la si chiede ad un panorama, un fiore, un gatto (per quanto il mio sembri molto consapevole quando lo fotografo!). Ricordando anche Baudrillard.
Ci sarebbe senz’altro da interrogarci sul perché un fotografo o un pittore possano scegliere di fotografare una fotografia, o perché esista il movimento iperrealista….. abolizione di ogni personalizzazione o interpretazione? ricerca di neutralità dell’osservazione nella rassicurante certezza del realismo?
C’entra qualcosa la pop art?
ciao Efrem, grazie per la risposta. Sei gentile, come sempre.
Il tema del ritratto mi ha sempre fascinato tanto e mi aveva incuriosito la tua affermazione a fine post.
Durante la giornata mi è capitato di ripensarci, di ripensare alla mia domanda e capisco bene quello che dici e mi ci ritrovo.
Mi chiedevo solo se anche uno scatto ad insaputa del soggetto immortalato potesse essere tecnicamente definito ritratto.
Come può succedere che un pittore ritragga qualcuno a partire da una foto o da un ricordo senza che il soggetto ritratto ne sia consapevole.
Ma è un argomento controverso, concordo :)
E’ stato un piacere leggere questo post. Si sente che sono stati gg intensi i vostri.
A presto, D.
daniela – così d’emblée mi vien da dire che il pittore, in quel caso, ritrae una fotografia. oggettivamente questa sembra essere l’operazione.
tecnicamente sembrerebbe più un’istantanea la fotografia che descrivi, lo scatto… tecnicamente. poi però… bisognerebbe un po’ vederla. esistono le eccezioni.
mi fai venire in mente quando volontariamente si chiede al soggetto di non guardare in macchina. come a volergli dare “naturalezza”. e spesso invece si sottolinea una finzione in modo anche grottesco.
però non nego che ci sarebbe da parlarne. ciao. e grazie a te!
Caro Efrem, un ringraziamento sincero da parte di tutti noi di Fondazione Fotografia per aver condiviso in questo workshop non solo la tua grande esperienza di fotografo, ma anche una parte di te e della tua storia. Arrivederci a presto.
Fondazione Fotografia Modena – grazie a voi! e comunque la mia fotografia è imprescindibile dalla mia storia. per cui…
grazie davvero!
Ciao Efrem. Post bellissimo. Grazie. E non c’è niente di male a piangere durante un workshop. Il fatto è, e lo sai benissimo anche tu, che la fotografia non lascia solo tracce di luce, ma anche tracce emotive.
https://lavaligiadivangogh.wordpress.com/2015/06/03/prima-di-partire-2/
Un abbraccio. A presto.
enrico – grazie… però non accadrà più. è successo qualcosa di strano… un abbraccio!
Domanda (forse sciocca): i ritratti migliori che mi sono stati fatti, sono stati a mia insaputa. In certi casi, chi mi ha “fermato” è riuscito a farlo per davvero e quando mi guardo mi ci ritrovo: sono io. Sono forse meno ritratti? E’ altro?
Grazie. Daniela
daniela – la pura presenza della figura umana non è detto che sia ritratto. come non è necessario che la persona ritratta si riconosca. il ritratto è l’ambito fotografico più controverso. e naturalmente io esprimo solo il mio punto di vista… nessuna verità.
Quando ci hai chiesto perché fotografiamo non ho risposto, nessuna ragione particolare: ho perso un po’ l’attimo e poi siamo andati avanti. Ci ho messo anni a domandarmelo. Una risposta la sento ora, non definitiva, non esaustiva: fotografo perché non ne posso fare a meno! Fotografare per me non è un atto, è un incontro, e di questo incontro io ne sento il bisogno. La mia traccia qui è per sottolineare Grazie! Sono un fan della “sincronicità”, perciò penso che le cose accadono quando devono accadere. Se la mia anima ha uno stato di bellezza in più è per questo incontro: con la fondazione, coi ragazzi, col viaggio, con te, Efrem.
Nicola – vero. le cose accadono quando devono accadere. e le forzature si vedono. e non c’è stata alcuna forzatura qui, dentro questa tre giorni. che mi è piaciuta davvero molto. grazie a tutti noi
Molto belli i sentimenti espressi da U.
Grazie Efrem per questa intensa esperienza: é molto difficile riuscire a trasmettere tutto quello che ci hai dato in soli tre giorni.
Di workshop ne ho fatti tanti, ma quasi sempre trascurano l’aspetto pratico dell’esperienza; tu invece l’hai messo al centro e questo ci ha costretti a metterci in gioco.
Questo modo mi ha aperto nuove prospettive sul rapporto fra fotografo e soggetto…e anche sul rapporto con me stesso.
Tu parli di fortuna, siamo stati fortunati anche noi!
Joe – grazie! pensa che era un test… il primo. bene! siamo stati tutti fortunati. come ho scritto, non è un aperitivo, ma proprio un workshop. e anche la pratica ha un ruolo. ciao!
si capisce, sai Efrem, che è stata un’avventura bella, sentita e condivisa, si sente scorrere il feeling, specie nelle foto di gruppo dove si legge spontaneità e il piacere di stare insieme. Magari anche lasciandosi un po’ andare a passaggi intimi e personali, sui quali può essere difficile scrivere.
Distaccato non lo sei mai stato, credo, solo consapevole che ogni uomo è diverso da ogni altro e che ognuno non può che parlare per sé.
Anche se la frase di chiusura “il ritratto è tale solo quando il soggetto ha la coscienza di essere ritratto” rivela una piccola crepa.
Nella quale ci si può infilare di tutto.
vilma – ehhh… lo sapevo che l’avresti colta la piccola crepa. ma tu sei un’anima gentile. mi aspetto altro da altri. che prima o poi…
Quello che impari con lui, E.R, è un maggior rispetto della fotografia, di quello che dici e di come e di quanto. Diciamo cosi; ne prendi atto, perchè l’ imparare presuppone in un certo modo che tu poi metta in pratica tutto questo che è invece un auspicio per E.R e una speranza per chi scrive.Volo basso, non si sa mai. Capisci che tutta questa liberta che abbiamo di comunicare , porta in realtà un sacco di rumore. Fiumi di parole gratuite su whatsup, fiumi di immagini che tanto non costano nulla che si perdono nel cosmo buio e nero dell oblio subito dopo alcuni likez. . Invece no. C’è bisogno di più silenzio, di meno rumore. Lui, E.R, ti dice come tutti di essere te stesso, di partire dai tuoi errori e dalle tue debolezze e un po’ ti viene voglia di dire ” ehi E.R già lo so, grazie tante”. Poi lo vedi commuoversi difronte ad un’ immagine di suo padre, tu ti sfracelli dentro, deglutisci, chini il capo e capisci,intuisci, diciamo. Vero, come dice E.R , la fotografia che mi piace coincide con le persone che mi piacciono. Ma questo caro E.R è quasi scontato. Stiamo parlando di un atto seduttivo, di fascinazione, ça va sans dire.. Sono stati 3 giorni bellissimi. Sono stati 3 giorni con persone che hanno lasciato dentro di me un fruscio affascinante, non rumore.
Non metto il nome. Volontariamente. Spero che tutti capiscano perché.
Del resto ci siamo conosciuti no?
unodelworkshop – che dire… mi piace!
Ogni volta che ti leggo si accende dentro qualcosa di potente. Questo è quello che cerco costantemente. Le foto si, è quello che ci unisce, ma leggere conferme e parole così vive è davvero, per me, importante.
Qualcosa di cosi vero e diretto che arriva a un livello profondo, risvegliando reali emozioni. Ho trovato spesso nell’espressione artistica questo tipo di effetto.
Spesso di chi riesce a essere autentico, dedicandosi con rispetto e amore alla sua disciplina, il resto sono chiacchiere, quelle inutili.
Grazie di fare Fotografia, grazie di farla così. È un grazie vero, vibrante di quelle emozioni che solo alcuni sanno scatenare. Vogliamo un tuo workshop qua da noi. Stiamo mettendo su un gruppo…
Vanessa grazie! con piacere per il ws “qui da noi”… contattami quando siete pronti. o quando vuoi