Colore… si dice così.
E assegna una collocazione di massima.
Quindi?
Quindi il vuoto. Uno spazio preconfezionato, incolore, che aspetta noi.
Poi?
Poi diventiamo variopinti…
Se non abbiamo un’idea del colore che ci corrisponde, se è solo una contrapposizione al lessico BN – vale anche il contrario – al massimo siamo variopinti.
E se il BN risponde a una esigenza espressiva, il colore idem – sorvolo, che ne ho già chiacchierato: search una pura formalità, 4.
Con una differenza paradossale, contraddittoria rispetto all’intenzione originaria: il colore si distingue ulteriormente dal piano reale. E se ne va per la propria strada.
Perché più dell’altro, quel BN dai modi aristocratici, ritiene la realtà un incidente di percorso. E non una verità alla quale attenersi.
Alla quale anzi sottrarsi, con o senza schiamazzi, ma comunque senza dichiarazioni ecumeniche.
Creandone una a caso o talvolta più consapevole, deciamente consapevole.
E qui la forbice.
In questa sottrazione il nostro distinguo.
Come qualsiasi altro elemento, il colore è parte integrante della nostra cifra espressiva: a quale Fotografia lo riconduciamo?
O ci limitiamo ad assolvere le quattro fotografie che stiamo affrontando al momento e al prossimo giro si ricomincia?
E lui dentro come capita, poi… contrastato – saturato – desaturato – crossoverato – sbiancato – caldo – freddissimo, meglio – no, meglio caldissimo – virato – ipertutto di qui e di là e facciamola finita che proprio boh – magari normale…
Normale? Quali le norme?
Violato… picchiato. Proprio malconcio, così succede di ritrovarselo.
Suo e nostro malgrado.
Restituito come fosse privo di identità. La nostra identità latitante.
Questa la forbice.
La Fotografia non è BN. Non è colore.
Lo sono le fotografie. Che sono un mero strumento.
Per far cosa?
Rispondere a questa domanda ci aiuta a definire anche la relazione col colore.
E non c’è una risposta univoca.
Solo la coerenza del linguaggio che ci riguarda stabilisce il grado di coincidenza.
E non è mai una coincidenza avulsa dalla percezione, che è la vera discriminante.
Che ha un solo termometro… la restituzione in forma concreta, non blaterata: ciò che si vede è.
Ciò che mostri, è.
Il resto, tutto il resto, appartiene a un altro tempo. A un’altra giostra.
Un fatto individuale…
Il colore non è una informazione cromatica oggettiva, ma lo strumento per esprimere, sottolineare direi, la parzialità di uno sguardo.
Che non è però scevro dall’epoca in cui guarda.
Né dalla latitudine in cui s’è formato.
La vista è un fatto essenzialmente biologico. La visione fotografica no.
Proprio perché percettiva.
Sostanzialmente il colore è un prodotto culturale.
Il colore.
Il variopinto no.
Il variopinto è una tavolozza principalmente chiassosa che impone al colore di essere soggetto, persino quando desaturato, livido come la morte.
E che non tiene conto del fattore primario: il soggetto, il solo di cui davvero ci dovrebbe fregare, è la fotografia, proprio quella lì che mostriamo, nella sua totalità: all’interno di quel perimetro nulla è separabile.
Il variopinto è l’escamotage corrispondente al maquillage: un tentativo di abbellimento.
A volte grottesco, e questo è il suo momento di gloria.
O meglio, lo è stato. Dalle retrovie mediatiche gli ultimi strilli di una fotografia da carrozzeria.
Accompagnati dal mio soave vaffanculo.
Per due o tre anni – non ricordo – sono stato membro dell’Hasselblad Master Jury.
Tra il 2009 e l’11 credo.
Ed è stato un punto di osservazione privilegiato: la parte finale riguardava un centinaio di autori per un migliaio di fotografie.
Ho fatto fatica.
Una gran fatica a distinguere un super vip wedding a Los Angeles da un reportage delle miniere di diamanti sudafricane.
Dall’Argentina al Giappone, dall’Islanda all’Australia, tutto uguale.
Ritratto incluso. Anzi più uguale.
Poi le eccezioni: cinque per ciò che mi ha riguardato nell’ultimo contest.
Un solo autore… ossessivo, petulante, democratico: Photoshop.
E il colore? Il tuo colore, dov’è?
Il problema non è mai lo strumento, ma come si usa.
Ed è così da sempre.
Après, con una domanda di Michel Pastoureau: Ma si può ancora parlare di individualismo se i comportamenti individuali vanno tutti in un’unica direzione? *
Il colore che amo in fotografia, anche quello che personalmente uso, non si vede nemmeno.
Non ha un nome.
Non si dichiara.
Partecipa e basta.
Ma se non ci fosse, ne sentirei la mancanza.
Di che colore è un divano rosso in una stanza buia?
Che poi è così semplice, noi ci misuriamo con un’idea di colore, sempre, e non c’è nulla di tangibile: nella sua esposizione la nostra relazione.
E lo allunghi… lo centrifughi… lo espandi… lo sottrai… lo concentri.
Fino a coincidere.
E tutto ciò solo con l’esposizione. Che è determinante.
Il colore, anche lui, è un arbitrio, non un dettato.
Ma di che rosso parli?
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
* I colori dei nostri ricordi, 2010
Michel Pastoureau
Ponte alle Grazie, 2011.
Fotografia per INTERNI mag.
Fuorisalone 2013, Milano – Knoll at Prada
iPhone
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Il colore è la voce e il tono che usi, il bianco e nero è il pensiero
I colori bisogna saperli indossare per restituire ciò che vedi.
Le giacche blu o gli abiti grigi sono l’RGB1998.
L’arancione mi piace ma se lo indosso mi sbatte.
Ogni colore ha il suo carattere è solo questione di coincidenze.
ecco…
convenzioni….
le riflessioni sul colore/ luce qui in questo articolo, secondo me, non vanno però separate dal piano:
“(…) la relazione col colore.
E non c’è una risposta univoca.
Solo la coerenza del linguaggio che ci riguarda stabilisce il grado di coincidenza.”
Secondo me, il prossimo passaggio è perfetto per aiutare a comprendere meglio il cuore della riflessione: “Il colore che amo in fotografia, anche quello che personalmente uso, non si vede nemmeno.
Non ha un nome.
Non si dichiara.
Partecipa e basta.
Ma se non ci fosse, ne sentirei la mancanza.”
Nella mia personale lettura, qui si racchiude il valore del “coincidere”, di relazione con lo strumento colore/ luce, il valore di un percorso/ visione/ linguaggio che va oltre “la convenzione della giacca blu”, dove non c’è proprio spazio per “la pigrizia di un solo blu”.
È proprio un altro piano/ pianeta
Poi magari, per miei limiti strumentali ho semplificato troppo :)
///////// !
diciamo che hai sintetizzato molto, iara :)
è un altro piano, concordo. soprattutto se si tratta di giacche blu. che proprio detesto. e in questo l’essenza di tutto questo percorso :)
Quindi viviamo di convenzioni?
si chiama anche socializzazione, Fedigrafa.
e comunque le convenzioni si possono cambiare.altre robe pare di no.
Le convenzioni aiutano, sopratutto nell’era moderna del tutto-e-subito. Ma allo stesso tempo possono essere anche limitanti. È altrettanto verò però che a nessuno è vietato di raggiungere comunque (quasi) tutte le sfumature di colore anche con una scatola da 12 pastelli. Se sono pigro il mio unico blu (lo 0,0,255 di Adobe) che ho nella scatola sarà sempre e solo blu. Se invece sento la necessità e ho la percezione di poterlo modulare, allora può diventare indaco, azzurro o celeste. E se poi lo mischio…
modulare non è ancora un reato, Giordano.
a volte mi sembra però che si moduli un po’ tutti dalla stessa parte. a blocchi.
invece non mi spiego questo incredibile amore per le giacche blù…
ma sarà amore o una convenzione?
Davvero molto interessante. Grazie. Ma tu l’hai mai visto il rosso da dietro? Antonio Albanese in Un pesce d’acqua dolce.
vero Laura… poi c’è il surreale
scusa Efrem vero…
si percepisce il colore si interpreta con la luce ma è soggettivo per ognuno di noi. giusto? perché il rosso non può essere blu o il verde giallo?
sono off topic?
la denominazione è solo una convenzione lubi. giusto per poterci intendere. pensa che i greci manco lo conoscevano il blu. nel senso che non lo nominavano
Il colore non esite (punto primo). La illuminante standard (CIE1931) è stata inventata (per l’appunto) nel 1931 utilizzando una cinquantina di persone come “cavie” e sottoponendogli diversi cartoncini colorati sotto diverse luci, chiedendogli di volta in volta: per te, questo, che colore è? Infine: odio Adobe e il suo RGB1998 che ha uniformato gli ultimi 20 anni di colori sostituendosi, con imbarazzante supponenza, a Vericolor, Velvia, Astia, Portra e chi più se ne ricorda, più ne citi… Il colore, in realtà, si percepisce.
vero Giordano, il colore materialmente non esiste. o meglio, ciò che definiamo colore non ha oggettività tanto è in subordine alle condizioni poste dalla luce. quindi non ha alcuna stabilità. eccetera eccetera sul piano della fisica.
esistono però le convenzioni. ed è su queste che basiamo il linguaggio, tutto il linguaggio che riguarda il colore. altrimenti non usciremmo vivi neanche sulla scelta delle piastrelle del bagno.
ma il tuo commento è interessante proprio perché spaccato in due: il piano, concedimelo, scientifico che ha a che fare con la dimostrazione, e quello “politico” nonché immediatamente emotivo che si oppone alla standardizzazione.
il problema in questo caso è che l’autostrada della globalizzazione e della democrazia digitale viaggia a una sola corsia. che non prevede alternativa.
e anzi annienta i presupposti culturali.
tutto ciò detto, fotograficamente da qualche parte dobbiamo iniziare. e usiamo le convenzioni per rappresentare la percezione, che resta indubbiamente il punto.
poi poi… boh
ok la luce ma come interpretazione e percezione del colore essendo soggettive o altro. concordo sul tutto quanto riguarda questo pianeta
perdonami lubi… non ho capito la prima frase
si può dire allora che il colore non esiste?
si potrebbe dire se non esistesse la luce, lubi. ma non solo del colore… tutto quanto riguarda questo pianeta. altrove non saprei
Che tristezza. ..il povero divano …al buio… non può mostrare il suo bel colore rosso :-( … ma sul divano c’è qualcuno? ;-) buona serata. ..
sì però non piangere Ida :)
È difficilissimo fare una bella foto a colori, molto più che non farla in bn! Il colore sporca l’ immagine, quindi massima stima a chi fa dei capolavori a colori (vedi la tua foto del divano rosso con la tipa in nero e cappello a tesa larga)
se entrambi i percorsi ti appartengono, e li conosci federica, non è così difficile. o meglio: ci sono immagini che non possono che essere a colori. altre bn.
vero che a volte quando proprio non si riesce a tirar fuori niente di buono dal colore, si ricorre al bn. ma è un errore.
il divano rosso… evidentemente è una mia fissa
O meglio, considerando che La visione del colore è fenomeno complesso che ha numerose variabili, ma in sostanza è il risultato dell ‘effetto della luce sul sistema percettivo. Ovviamente in mancanza di luce, il divano rosso in una stanza buia non è un divano rosso.
o meglio è decisamente meglio, janas: no luce, no colore, no vita
In una stanza buia ma buia buia, suppongo che non si veda alcun colore e probabilmente alcun divano e andando a tentoni potresti pure inciamparci su un divano rosso, giallo o verde, che non importa …tanto non si vede ;)
Casualmente ho appena finito di leggere il libro di F. Fontana, mi sembra ci sia una certa continuità nonostante il differente utilizzo che ne fate… Il colore, il suo significato, così fondamentale eppure così sottovalutato spesso nei vari corsi che leggo o vedo in giro.
non ho letto il libro di fontana, sacha… e hai ragione, se ne fa un uso diverso.
sul fatto che lui abbia un’idea precisa del colore che lo riguarda non vi è dubbio. ma appunto il problema non è la diversità, bensì l’appartenenza.
quanto a certi luoghi didattici, ma anche un po’ altrove in disordine sparso, credo, suppongo, che non si tratti di sottovalutazione ma proprio di non riconoscerlo e non sapergli dare un’identità. che è un fatto direttamente legato alla percezione in primis, alla produzione poi e infine, ma proprio in ultimo alla post – luogo dove abitualmente si sfracella che è un piacere. mentre…
efficacissima la contestualizzazione che fai del colore e del variopinto.
Grazie per questi pensieri Efrem.
Ho la presunzione di credere che il divano in penombra proprio non lo voglia il maquillage e se è lì e non sotto un occhio di bue c’è un perchè ed è come se l’avesse fatto suo.
Peraltro… il fotografo quello ha visto e di quello – almeno in teoria – s’è innamorato. Nel più ampio contesto.
Cambiargli quel perchè è come infatuarsi di una ragazza di XX kg e dal giorno seguente chiederle di tirarne giù dieci.
A uccidere quel perchè-colore son bravi tutti, con due cursori e una luminosity mask, per ritrovarsi col vuoto a perdere di un perchè-variopinto.
mi hai ricordato due considerazioni che buttai giù qui
https://pensierifotografici.wordpress.com/2015/07/31/le-mode-di-plastica/
ogni tanto ci si incappa.
ciao, A
però il divano rosso non è in penombra, ma al buio Alberto.
so che sembra una domanda retorica, ma non lo è affatto. c’è molta sostanza nel quesito. in qualche modo simile agli interrogativi che ti poni nel tuo articolo.
con una sola differenza – concedimela perché è davvero raro che io usi una sponda “tecnica”-che ha a che fare con la conoscenza reale, e non supposta, non d’opinione, degli strumenti tutti che usiamo. e che ci permettono o no di esprimerci compiutamente.
intendiamoci, concordo con la tua analisi, ma la domanda resta: di che rosso parliamo?
ciao!
Non preoccuparti… Quando puoi: grazie!
Due sole domande Efrem, scusami: ma quindi il “colore normale” cos’è? e il divano rosso perché non dovrebbe essere rosso?
ti rispondo più tardi Diletta, scusami
in effetti Diletta il colore normale non esiste. o meglio, potremmo dire che è quello più somigliante a ciò che i nostri occhi vedono. alcuni lo traducono in “naturale”. ma anche qui esiste un passaggio comunque mediato dal cranio. dalle intenzioni. è anche questo un prodotto della percezione. poi ci sono quelli che usano termocolorimetro e tabelle di riferimento. in alcuni ambiti hanno il loro perché… per esempio nella fotografia industriale.
dove bilanciare il bianco e filtrare la luce ha un senso preciso. o nella fotografia scientifica. ma non è a questo che mi riferisco ovviamente.
il divano non può essere rosso né di altro colore in assenza di luce. è solo la nostra memoria che ce lo rimanda rosso.