Football… o futbal, come dicevano i miei nonni e tutta quella generazione lì.
Solo che qui è femminile… cosa cambia?
Nulla. Se non alcune sfumature nello spogliatoio, dove la complicità e il senso di reciproca appartenenza sono più evidenti.
Qui nello spogliatoio, qui in campo, e occasionalmente altrove in streaming, tipo l’ultimo mondiale giocato nel 2011.
Dove ho registrato un altro calcio. Che nell’atteggiamento generale è davvero molto distante da certa parodia gladiatoria, espressione di un’iconografia maschile tutta concentrata sulla rappresentazione del potere.
Questa iconografia a me fa schifo, mentre amo il calcio.
E non c’è come vedere un maschio in mutande che rincorre una palla per capire di che pasta è fatto.
Perché è vero, il calcio è una metafora della vita.
Lo è indipendentemente dal tuo grado di affezione o dall’abitudine a parlarne: chi ha giocato e bazzicato lo spogliatoio sa di che parlo.
Quindi… altro che nulla! Cambia tutto: il gioco è lo stesso, ma le sfumature di cui sopra sono un discrimine.
La minore esposizione delle atlete fa sì che ci si concentri sul merito sportivo e il fair play.
E di palloni mediatici alla Balotelli, al momento, non ce n’è.
Mi sembra un po’ come in fotografia versante Instagram: vi piace tanto Chiara Ferragni? Godetevela! Poi spiegate a tutti quelli che hanno deluso lei e Mondadori non comprando la sua fatica letteraria The Blond Salade che devono ricredersi e correre in libreria – luogo improprio. Spiegateglielo…
Fiamma Monza, che in questo anno calcistico duemila.zero, militava in serie A.
Allenata da Giancarlo Padovan, allora prima firma sportiva del Corriere della Sera… e da Raffaele Solimeno, ex calciatore… questo lavoro è un reporatge. Lo è a tutti gli effetti. Anche se privo di disperazione e volti scavati dalla sofferenza.
Che per essere lirica e emozionale dev’essere altrui. Mica tua… tu guardi, piangi, fai la coda per la mostra, raccatti il libro e un souvenir e torni a casa contento. Con tua figlia per mano.
Forse è il caso che la pianti di dire che il reportage mi è estraneo, perché poi qualcuno vagamente distratto ci crede, e non appena accenno a parlarne vengo zittito da uno sguardo che dice ma tu che ne sai?
E infatti è una vita che non ne faccio, con una struttura così intendo, che nasce destinata ai magazine. E che poi magari, in qualche singola immagine, trova asilo anche altrove.
Per GQ Italia, quindi un maschile. Quindi si può pensare a una qualche morbosità nascosta nelle pieghe. Ma nascosta bene, perché io non ne vedo. Però fosse stato fatto per un femminile il dubbio non ci sarebbe stato.
Mi chiedo però come mai un femminile non ci pensi oggi a produrre un lavoro così.
Che sia una femminilità non condivisibile? Forse non condivisa da chi i femminili li fa… va be’, che c’entra… non è che quella che viene generalmente prodotta, come idea di femminilità dico, sia poi così condivisa dal pubblico femminile a giudicare dai resi in edicola.
E allora? Ma non è che i femminili si siano invaghiti di un concetto virtuale di donna? Una figura piallata che s’aggira confusa tra le pagine del giornale… un fumetto. Un fumetto magro.
Ricordo la lectio magistralis che mi fece una grande fashion editor molti anni fa guardando le mie donne ben ordinate in un portfolio: le donne amano vedere la proiezione di sé in una figura che le affascini e le faccia sognare: se tu odi le donne non fotografarle.
Ma come? Ma se io le amo! Ci ho messo anni a riprendermi.
Nel frattempo ho continuato a fotografarle.
L’ho rivista recentemente… ingrassata. Le sue donne, quelle che deambulano tra le pagine, sempre più magre.
Le mie stanno bene. E altrove.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Questa è una sintesi del lavoro, realizzato in due step: il dittico in notturna esterna durante l’allenamento. Che in realtà è un posato con tutto ciò che comporta, generatori, flash e corredo assortito. E una Pentax 67 col 105 mm.
Stessa sera, spogliatoio con una Pentax 645N.
Entrambe le situazioni con una AGFA APX 100.
Il secondo step la partita, Pentax 645N col 75 mm e una TRI-X PAN 320 PROF.
Assistenti: Fabio Zaccaro e Nicole Marnati.
L’articolo di GQ, firmato da Emanuele Farneti.
reductio ad unum vilma: una sola figura sociale… il consumatore
“se a muoverti sia più un’esigenza di giustizia ed equilibrio, o lo spirito del contraddittorio”
mah..non so, potrebbero essere benissimo entrambe le cose
se mi si dice che l’esempio dell’intervista a Marazzi non conta nulla ne prendo atto, quel che avevo da dire l’ho detto
Paolo, che non so chi sia né cosa faccia, mi pare comunque rispecchi il fruitore tipo di quella che, in molti casi, è diventata l’immagine fotografica, più appropriatamente definibile digital imaging, soggetta com’è ad una molteplicità di soggetti decisionali (l’art director, il fotografo, il grafico, il tecnico della postproduzione, il cliente-committente ecc.), secondo le dinamiche dell’advertising che la stanno trasformando in altro.
Credo che chiunque oggi si ponga almeno un dubbio sulla veridicità delle fotografie che vediamo ovunque, tuttavia esse restano il mezzo di comunicazione d’elezione di una ‘società dell’immagine’ che vuole rispondere in modo prevedibile, allineato, convenzionale e quindi rassicurante all’idea che abbiamo della possibilità di rappresentazione del mondo. L’osservatore accetta di credere in qualcosa che sa essere frutto di manipolazione sospendendo le proprie facoltà critiche, sacrificando il proprio senso logico in cambio di una fruizione estetica accattivante e piacevole, ancorché falsa. Si chiama “sospensione dell’incredulità o sospensione del dubbio” ed entra in atto anche quando leggiamo un romanzo o vediamo un film, sappiamo che si tratta di finzione ed accettiamo di essere ingannati in cambio dell’ottenimento di un piacere.
La distorsione sta a monte, nell’accettazione sia di riferimenti fasulli che della loro immagine a sua volta quasi sempre falsificata, per la costruzione di miti che proprio perché tali nulla hanno a che fare con la realtà, distorta in una fotografia ingannevole, eventuale, frammentaria, non riconducibile ad una qualsiasi accettabile verità.
Questa connivenza nella menzogna esprime l’incapacità di volere o sapere separare realtà e finzione ed esprime anche la vana ricerca di una identità personale e collettiva per una società incapace di distinguere tra soggetto ed oggetto, in un gioco delle parti in cui siamo contemporaneamente spettatori e attori.
ultima: le singole interviste con singoli personaggi tipo Marazzi, o altre, non mancano. Ma non cambiano la linea a senso unico ben descritta da Efrem.
x Paolo: nessuno deve giustificarsi ovviamente, solo rilevavo una curiosa asimmetria nell’asimmetria, visto che stavamo a teorizzare. E mi chiedevo – incrociandoci da tanto sui soliti temi – se a muoverti sia più un’esigenza di giustizia ed equilibrio, o lo spirito del contraddittorio. Pura curiosità.
:)) certo efrem! non c’erano dubbi :) se dobbiamo collocarla all’interno del reportage potrebbe essere “la riserva” o “l’attesa” ma suonerebbe banale o insignificante se la foto venisse decontesualizzata. a questo punto forse l’unico che potrebbe dare un titolo sei tu, che probabilmente conosci il nome della ragazza. semplicemente.
chiedo scusa a tutti, ho abbassato il livello dei commenti con il mio post…
non conosco il nome… monica però potrebbe andare.
ma tutto sommato er_women_football_014 ce lo lascio. sgrammaticato il giusto :)
però non è proprio il nome… :)
solo la denominazione d’archivio… devo trovarle un nome a questo punto. accetto suggerimenti. poi ci penso anch’io
sarà banale il mio commento, sicuramente molto più banale di quelli interessantissimi che leggo sotto ogni tuo post.
“il tempo” di toni thorimbert, “berri smither” di peter lindbergh, “stephanie with flower” di herb ritts e “hippie family kelly” di irving penn… da venerdì guardo e riguardo la terzultima foto di questo post, lo sguardo e l’espressione di questa calciatrice seduta in panchina durante una partita di futbal. si intitola “er_women_football_014” di efrem raimondi, l’ho messa via, nel mio cervello, accanto alle altre quattro immagini.
di Donne, fotografate da uomini che amano la Donna.
non si fa, lo so, ma pensando alla fashion editor ho ritagliato il viso delle Donne di queste cinque immagini. dovresti proporglielo, è un semplice esercizio, forse capirebbe.
sei molto cortese paolo… banale zero. e mi fa piacere che questa immagine abbia un posto nel tuo cranio.
quanto alla fashion editor in questione ha avuto altre occasioni per capire, dico tra vent’anni fa e oggi, ma temo che proprio non le riesce. queste e altre mie immagini evidentemente non le appartengono. e ci sta anche, mica pretendo… però odiare le donne… boh
lo stato dell’editoria periodica italiana è simile alla vicenda concordia… la nave.
il capo scappa in salvo, gli altri cazzi loro
X laura a.
non credo affatto di dovermi giustificare su quali blog decido di frequentare di più e su quali decido di commentare o meno.
comunque se venissi a sapere che la ferragni o cliomakeup (il cui blog ogni tanto ho visionato e che conosco di fama) hanno scritto che le calciatrici o in generale le donne sportive sono “anti-femminili” o rappresentano un modello dannoso, (o assurdità simili)non esiterei a polemizzare anche con loro.
Comunque se tali giornali sono in calo vertiginoso di vendite come dite, allora prima o poi decideranno di cambiare, se non cambieranno o comunque non incontreranno più il loro pubblico periranno da soli
comunque un anno fa circa, era aprile 2013 se ricordo bene, comprai una copia di Tu Style, che, basandomi su quanto leggo qua, credo si possa definire un “femminile”, bene assieme alle solite rubriche “frivole” (sempre in base alla dicotomia di cui ho parlato) e le interviste invero poco interessanti ai vip, non c’erano articoli sulle calciatrici ma c’era (nelle ultime pagine in verità ma c’era) una intervista alla regista Alina Marazzi sul suo film Tutto parla di te che, per la cronaca,, non parla di una ragazza che non sa cosa mettersi. Può darsi che sia stato un caso fortuito, lo riporto solo come episodio, non pretendo che abbia un qualche valore nè ci tengo a difendere i “femminili” i quali se non intercettano più i gusti del pubblico di riferimento meritano di sparire.
e meritano di morire anche se non sanno innovarsi, e per innovarsi intendo dare spazio anche a servizi fotografici sulle calciatrici
COMMENTI vilma, diletta, paolo, laura a… si riparte da qui.
@Paolo scrive: “comunque mi sto chiedendo se il discorso “pasoliniano” di critica alla società dei consumi che sento echeggiare nelle parole di Vilma sia il più adatto a valutare la complessità della società in cui viviamo. Ho dei dubbi”.
Ti ringrazio del ‘pasoliniano’, qualunque sia il significato che gli attribuisci.
La chiave di lettura consumistica, più che inadatta, è insufficiente, una società complessa esigerebbe analisi complesse, ma visto che si parlava di pubblicità mi sembra che ci stia.
Per il resto, comunque, se vuoi ci trasferiamo su un blog di sociologia.
Mentre guardavo queste foto ad un certo punto mi sono resa conto che stavo sorridendo. Cosa che non mi accade da anni sfogliando un cosiddetto “femminile”. Suppongo che far star bene le donne non rientri nei loro piani.
sono contento del tuo sorriso laura… forse bisognerebbe contare i sorrisi e poi farli pervenire :)
Anche io mi sono sorpresa in un bel sorriso! I femminili ho smesso perfino di sfogliar lì dal medico: una noia mortale! E delle foto tutte uguali e vuote: ma perché?
queste foto sono pulite, sane, pure; e sono un reportage: raccontano una bella storia in cui viene voglia di essere coinvolti, ma forse tanti oggi non sanno più leggere questo tipo di foto
è complessa la cosa, giancarlo… nel senso che, queste come altre, si producono e si leggono. si pubblicano raramente, tutto qui. e ha a che fare con una visione più ampia del mondo. è questa che non coincide più: chi ce l’ha e chi no
credo che in una rivista ci debba essere spazio per la femminilità di chiara ferragni come per quella delle calciatrici
Il problema, se così si può definire, non è la femminilità di Chiara Ferragni (che nessuno vieta di godersi), ma il fatto che quel modello di femminilità venga svenduto un tanto al chilo, chi lo svende è un imbroglione, chi lo compra un cretino.
giudizio un po’ perentorio, mi sembra
@Paolo
il mio giudizio è effettivamente un po’ talebano, ma è colpa della sintesi. Provo ad allargarmi, correndo il rischio di annoiare.
Intanto, una disomogeneità: nelle riviste femminili (anche se non mi piace questa discriminazione di genere) c’è molto più spazio per la femminilità del tipo di Chiara Ferragni che per quella delle calciatrici, per scelta di non so bene chi (del fashion editor? dell’art director?) e poiché io credo che ogni cosa che facciamo, fotografiamo, disegnamo, diciamo, mandi un preciso messaggio, a maggior ragione lo fanno le foto di una rivista femminile che arrivano capillarmente ad un pubblico allargato ed eterogeneo quantitativamente, se non qualitativamente, importante.
E credo anche che ogni messaggio abbia un suo contenuto ‘morale’: anche qui devo allargarmi un po’ per dire che il termine va inteso in senso etimologico (dal latino mos-moris che vuol dire uso e costume), contenuto morale ha tutto ciò che esprime e concorre a definire gli usi e i costumi di una società in un determinato periodo. Ciò che, oggi, fanno velocemente ed efficacemente i social e i blog, anche quello della Ferragni (che non nominerò più per non farne un capro espiatorio) e quello di Efrem.
Perciò, come ho già affermato in un altro commento, un blog è in grado di costruire un consenso, aggregando tendenze del pensiero collettivo e strutturandone di nuove. Ci sono blog che rimandano ad un’immagine stereotipata della donna come una bambolina indifesa, perfetta (e magra) che punta tutto sull’outfit e sul trendy, con più o meno espliciti messaggi pubblicitari (la/il blogger fa spesso un vero e proprio mestiere da cui trae guadagno) e ci sono blog ‘di opinione’ che propongono immagini alternative. Nello specifico, e volendo essere acida, la donna che vien fuori dal blog di Efrem ci dice che, oltre che le veline, le donne possono fare altro.
Tornando al mio ‘perentorio’ commento, intendevo dire che chi contrabbanda immagini per vendere prodotti compie un atto di ingannevole persuasione, chi non affronta criticamente un fenomeno solo apparentemente leggero è un ingenuo che si lascia impunemente manipolare.
Senza offesa per nessuno.
grazie per aver chiarito, è lecito avere le proprie preferenze ma francamente non sono convinto da questi giudizi: chi ama seguire il blog della Ferragni (non è colpa sua se è magra, certo che in qualunque modo sei c’è sempre qualcuno che ha da criticare) non è nè più intelligente nè più stupido di chi segue “Moda per principianti” (e perchè mai non si possono seguire entrambi?) per dire di un blog che parla di vestiti e moda certo in una maniera “diversa” ma ce ne sono tanti (nè migliori nè peggiori,diversi). Ma capisco che è comodo immaginare la Ferragni e chi la segue come una manica di stupide bamboline vittime di modelli sbagliati, interessate solo a cose “frivole”,, niente a che vedere con noi che abbiamo interessi “ben più importanti”
Un’altra cosa: questo è un bel blog, ma se uno ha bisogno del blog di efrem raimondi per sapere che le donne “non sono solo veline” lui sì non è molto intelligente o forse vive su Marte.
poi si potrebbe discutere del perchè in una certa area culturale la velina è assurta a simbolo del Male , ma sorvoliamo.
Inoltre: no devo dire che se un/una blogger (che si occupi di moda o di cibo o di letteratura) decide di guadagnare qualcosa con la pubblicità non ci vedo un crimine contro l’umanità, l’importante è che lo dichiari.
Sui “femminili”: francamente credo che “Grazia” o “donna moderna” non avrebbero nessun problema a pubblicare un servizio come questo sulle calciatrici (e se ce l’hanno vuol dire che sono molto scaduti) quindi direi che i femminili (come i fashion blog) non sono tutti uguali e ognuno/a può leggere quello che ritiene più interessante
scusate: ho dovuto spostare il commento di diletta. altrimenti vista la struttura “commenti” non ci sarebbe più stato spazio. nel caso vi invito al reply partendo da diletta. poi si vedrà
Scusami Paolo, da quanto non guardi un femminile? Perché su Grazia o Donna Moderna o Vanity Fair non ne vedo di servizi così mentre il modello Ferragni è presentissimo. Poi si stupiscono perché non vendono: ma cosa credono? E per dirla tutta i femminili sono invece tutti uguali! E per leggere cose che mi interessano devo guardare altrove
@ concordo con Diletta sul basso livello dei periodici ‘femminili’ ( e credo che la stessa cosa avvenga per quelli ‘maschili’) e sul fatto che forse Paolo li frequenta poco o distrattamente.
@ Paolo
La tua lettura, Paolo, è un po’ superficiale, o forse non mi sono spiegata o forse non è questa la sede adatta. I modelli che certi blog ‘femminili’ propongono non sono sbagliati (purtroppo), sono giustissimi, tant’è vero che vanno per la maggiore. Non è la velina il simbolo del male, anzi è il simbolo di come si possano sfruttare (con intelligenza. astuzia, tempismo?) le mode per costruirsi un’identità e un mestiere, il mio discorso partiva a monte, non voleva essere una predica ma una considerazione sulla correlazione (perfetta) tra cultura e società. Questi due ambiti si intrecciano e si rincorrono, non si può dire quale nasca prima (un po’ come l’uovo o la gallina), il mondo in cui viviamo è la media ponderata tra le cose ‘frivole’ e quelle ‘più importanti’, c’è posto per tutti “e ognuno/a può leggere quello che ritiene più interessante”. Così come, in una società che produce, propone e distribuisce a getto continuo oggetti di consumo, animati o non animati, ognuno può decidere “di guadagnare qualcosa con la pubblicità”, viviamo nel regime della comunicazione, della strategia commerciale del visivo, dove più ha possibilità di successo e di guadagno chi più comunica, inducendo a comprare quel che c’è da comprare, fuori da ogni necessità logica, in un’indifferenziata “oniomania” che rasenta lo shopping compulsivo di un esercito di “soggetti desideranti”.
Forse la mia posizione può sembrare troppo ‘ideologica’ e fuori tema per un blog sulla fotografia? Ma il mondo è un miscuglio indifferenziato, specie oggi nel villaggio globale, dove non si può più distinguere tra argomenti o ideologie, tutto si concatena, si influenza, perde limiti e confini, per rendere l’idea qualcuno ha coniato il termine ‘effetto farfalla’.
Ma io non voglio smettere di credere nel ruolo formativo dell’informazione, scritta o parlata che sia, perché la nostra società dispone di mezzi di comunicazione straordinari che rappresentano un’occasione storica in grado davvero di cambiare il mondo, mettendo in crisi i filtri epistemologici e le preconcette categorie concettuali attraverso cui siamo abituati a guardarlo. Col contributo di tutti, specie dei folli che ci credono davvero.
io sono uno di questi folli. e malauguratamente insisto. in una sola direzione. le altre non è che non le veda, semplicemente non mi riguardano.
non so in altri blog, in questo nulla di tutto ciò è fuori tema… sia paolo, sia tu vilma
vanity fair ogni tanto l’ho sfogliata, vi tiene una rubrica, tra gli/le altri/e una certa Daria Bignardi che non mi sembra una esperta di vestiti (e non c’è niente di male ad esserlo), vanity fair mi pare una rivista popolare che affronta sempre con taglio pop argomenti “frivoli” e altri più “seri” (uso questa dicotomia per comodità ma in realtà credo vada superata), le solite interviste a persone famose eccetera, un servizio sulle donne nel calcio non mi sembra assolutamente incongruo rispetto alla linea del giornale nè lo vedo necessariamente in contrapposizione alla femminilità alla “Ferragni”
comunque mi sto chiedendo se il discorso “pasoliniano” di critica alla società dei consumi che sento echeggiare nelle parole di Vilma sia il più adatto a valutare la complessità della società in cui viviamo. Ho dei dubbi
A te Paolo non sembra incongruo ma i giornali li fanno altri e il risultato è Ferragni sì, resto no.
Paolo dice: “credo che in una rivista ci debba essere spazio per la femminilità di chiara ferragni come per quella delle calciatrici”.
Bene, io non ho problemi a sospendere ogni giudizio di valore e ad accettare questo assunto, equiparando le due rappresentazioni.
Detto questo, è un fatto che nelle riviste la bilancia penda da una parte sola: e mi chiedo come mai si dia tanto spazio ad un modello pur contro ogni evidenza di scarso successo commerciale (riviste in calo di vendite, libro di The Blonde Salad) a discapito di altri.
Mi chiedo anche, stante sempre la palese asimmetria di rappresentazioni, se la pensa così perché Paolo non vada a questionare simmetricamente anche nei blog che supportano il modello unico, e se no come si spiega questa asimmetria di polemiche sbilanciata dalla parte di chi ha più potere. Non ha molto senso dire che Grazia o Donna Moderna o chi per loro “potrebbero” pubblicare un reportage come questo, se di fatto non lo pubblicano – e i colloqui con le fashion editor che Efrem racconta dicono molto su certe scelte. E d’altro canto ha senso – eccome- cercare rappresentazioni diversificate del femminile su un blog come questo, non certo perché “non sappiamo” che esistano, ma proprio perché lo sappiamo. E la loro rimozione ci fa incazzare.
una fashion editor… una mi ha sparato in faccia che io odio le donne. tanti anni fa. solo per precisare. e comunque la questione non è questo lavoro sì, questo lavoro no: è lo sguardo censurato sul femminile che non corrisponde a un modello editoriale. che si è molto accentuato negli ultimi anni. e che fa acqua. oppure sono balle gli stati di crisi continuamente dichiarati.
Come donna è quello che vorrei vedere e che mi stimoli, che mi accompagni in luoghi che sono miei ma visti con altri occhi. Visti, guardati, letti: i femminili sono solo noiosi
Le donne, a parte avere spesso più palle degli uomini, si elevano perchè le sanno anche usare nella maniera giusta.
credo, suppongo, usino una gamma di sfumature maggiore… solo non tornano i conti coi femminili
in realtà le donne sanno tenere il piede in due scarpe e sfruttare a loro vantaggio la discriminazione che risparmia loro di fare le minatrici o le camalle, faibles femme e cuore d’acciaio.
o di qua o di là, anzi no, in mezzo.
non è un calcolo, sono così, a dirlo bastano certi sguardi delle tue calciatrici, gli accappatoi troppo grandi che avvolgono e proteggono, le divise un po’ sommarie dentro le quali il corpo sembra esile e chissenefrega dello stile….. “la verità sta nelle sfumature” dice Bukowski, bè, non sarà la sua frase migliore, ma è appropriata.
appunto, le sfumature… e chi le vede più!