Nel 2007 feci queste immagini per il catalogo Campeggi, 2008, curato da Italo Lupi. È di design che sto parlando. Nello specifico, di un design molto particolare, ludico e colto direi. Presi Camilla in braccio e la portai in studio. Il problema si pose dopo, a catalogo stampato e distribuito: queste immagini, questa bambola, creavano un po’ di inquietudine. Ma soprattutto c’era ‘sta domanda che girava: cosa rappresenta questa bambola? Allora scrissi un paio di paginette. Che consegnai all’azienda. Uno shock. Giuro. Sono ancora conservate e ogni tanto capita di riparlarne. E le immagini sono ancora in catalogo. Leggermente rimaneggiato per motivi vari, qui pubblico il testo, la mia giustificazione. Non è frequentissimo il mio rapporto col design. Talvolta però l’incrocio avviene: sia con riviste che con aziende. E per me è fonte di godimento. Quando accade, ho spesso la tentazione d’introdurre la presenza umana. Che non significa necessariamente persona in carne e ossa, ma anche elementi, oggetti o altro, direttamente riconducibili all’uomo e al suo complesso -e perverso- elaboratore, cioè il cranio. Il cuore c’entra poco, solo di rimbalzo, e il pensiero è tutto. Questo alla base del mio rapporto, all’incirca ventennale, con Campeggi. In tutto questo tempo, di immagini insieme, ne abbiamo prodotte. Sempre con l’attenzione nei confronti non di un prodotto, ma di un soggetto. Di qualcosa cioè che ha un’anima. E quando sono io a ritrarla quest’anima, questa si modula con la mia. Non so se sia giusto o sbagliato, so che non ho altro modo. Quando si parla di design bisogna stare molto attenti a non equivocare: i numeri sì, decretano il successo o meno di un “prodotto”, ma non sono sostitutivi della sua storia. Più in generale, il successo non sostituisce nulla. É solo un racconto parziale. Che non m’interessa. Né mi riguarda…io faccio altro. Nel caso del rapporto con la Campeggi, io mi preoccupo di sviluppare il racconto che ha a che fare con l’anima del soggetto, che altrimenti sarebbe muta. E un’anima muta, rischia di sembrare assente. Non che il mio linguaggio sia l’unico possibile. O esaustivo. Né tantomeno depositario di una verità assoluta: a ognuno il suo. E a me il mio. Mi piace pensare che l’origine del mio racconto con la Campeggi sia riconducibile a un’immagine precisa, del 1993: Poppy.

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