Designer…s.

Philippe Starck, Paris 1996. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Parte il Salone Internazionale del Mobile, a Milano dal 17 al 22 aprile. La facciata è da kermesse chic… dietro c’è un lavoro tosto.
Negli anni ho collaborato con diverse aziende del design. E ho fotografato molti designer… industrial designer per la precisione.
Dai maestri più celebrati ai giovani emergenti. In comune, tutti, hanno una grande conoscenza delle cose che fanno, e il rapporto con l’azienda è anche con la fabbrica.
Questo pragmatismo aiuta anche me… si va subito al sodo.
Sempre con flash. Questa luce così. Che non dà scampo.
Questa luce che ti libera dall’impiccio del tempo.
Un tempo altrimenti determinato da una delle coppie più stabili e inviolabili del creato. Una coppia che impari a conoscere subito e che ti dà margini limitati, se vuoi frequentarla e portarti a casa qualcosa che abbia un senso. Una coppia che c’è, che ti accompagna anche a tua insaputa. Tu e la tua cazzo di fotocamera, qualunque essa sia.
Qui no, tempo e diaframma si scindono.
E io sto meglio, perché mi occupo solo di chi ho davanti. Così è.
Tra Pilippe Starck, la prima star designer, e quest’ultimo redazionale per Interni ballano sedicianni. Cos’è cambiato? Io? Poco. Io viaggio a testa bassa. Ma se la alzo ‘sta testa un attimo… e che diamine! Il mondo è un altro! E mi scappa anche da ridere.
Tradurlo in fotografia è semplice, e il flash mi è complice.
La centralità scomposta della risata di Emmanuel Gallina è figlia della fissità punk di Starck.
Così come la distrazione di Enrico Cesana, l’andarsene di Robin Rizzini e certe imprecisioni dell’intero percorso.
Senza flash non sarebbe stato possibile. Senza le mie certezze di allora non sarei ai dubbi che certifico adesso.
La fotografia che mi affascina è sempre la stessa, e sottrae.
Sottrarre per dare spazio al gesto, al segno.
Sottrarre per uscire dalla confusa stagnazione del pensiero, dalla demagogia iconografica delle riviste allegate (chi a un gadget, chi a un quotidiano). Ma anche da un concettuale inespressivo e francamente molle.
Sottrarre per arrivare al vuoto. Ma ben piazzato in mezzo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotocamera PENTAX 6/7 con 55 mm. Flash Profoto. Film AGFAPAN 100.

14 thoughts on “Designer…s.

  1. Nascondere, sottrarre, anche questo è un gesto, un corpo a corpo con l’idea, la ricerca di un equilibrio per mostrare una tensione, camminare su un filo per liberarne la forza che sostiene. Così la foto è un flusso di esperienza pura, un vuoto che racchiude, un nuovo oggetto in sé, vivo per essere guardato.

  2. Questo è il mio mondo! Il design per me è tutto, mi piace e lo seguo.
    Forse è anche per questo che mi piace la fotografia, perché in qualche modo sono mondi simili e in qualsiasi caso hanno molto spesso a che fare.
    Questo ritratto di Philippe Starck è famoso! L’ho visto in varie circostanze, e mi ha sempre molto colpito. La domanda che ti faccio invece è: perché dici che le immagini fatte per Interni sono figlie di questa?

    • intendo dire che difficilmente ci sarebbero state se non avessi fatto altro prima.
      c’è un periodo in cui si puntella… si fissano dei punti, magari apparentemente sparsi. o distanti.
      poi arriva il momento in cui questi punti li unisci. e tracci le tue coordinate. con più precisione.
      libertà. e meno frenesia creativa. forse… mica certo diletta.

  3. “Sottrarre per dare spazio al gesto, al segno.
    Sottrarre per uscire dalla confusa stagnazione del pensiero, dalla demagogia iconografica delle riviste allegate (chi a un gadget, chi a un quotidiano). Ma anche da un concettuale inespressivo e francamente molle.
    Sottrarre per arrivare al vuoto. Ma ben piazzato in mezzo.”

    mi piace questo del tuo post Designer…s

    concordo

    • vale per tutto, lubi. almeno fotograficamente parlando vista la gran confusione che circola..
      tento di non aggiungerne altra. mi fa piacere che c’è chi condivide.

  4. Si, infatti quello che mi ha rincuorato è stato proprio il notare che il problema non è il fruitore, ma chi fa i giornali. Purtroppo l’offerta è tutta così omologata che la domanda di qualcosa di diverso è molto difficile che emerga.
    Non capisco comunque questo masochismo degli editori.
    Dici che qualcosa sta cambiando in questo senso?
    Come sempre comunque questo è un andazzo generale, che riguarda la fotografia come altre forme espressive.

    • dopo tre-quttro anni il cui unico impegno è stato tagliare, che prosegue per altro, è difficile che tutto cambi d’amblè.
      esiste qualche rivista che resiste, in genere quelle più settoriali.

  5. Più guardo i tuoi lavori e più mi accorgo di quanto siano lontani da quello che si vede solitamente su megazine, riviste, un po’ ovunque insomma. E’ tutto più naturale nei tuoi scatti, si riducono le distanza tra il soggetto e chi guarda la foto in un certo senso. Non c’è quella invadenza, quella arroganza fotografica e ritoccata che ti ti blocca lì, che quasi non ti permette di porti domande che vanno oltre lo scatto.
    L’ho notato soprattutto con il lavoro su Laura Maggi. L’ho fatto vedere ad alcune persone e ho notato che le loro impressioni, i loro commenti erano diversi dai soliti che sentivo su altri servizi che trattavano argomenti del genere. Mi ha colpito molto la cosa. Mi ha rincuorato anche, per ovvi motivi.
    Noto la stessa cosa in questi scatti.
    E’ proprio come dici tu: “sottrarre per dare spazio al gesto, al segno.”
    Quanto è vero.

    • fotografare, andrea, è più semplice di quanto in questo momento il mercato nel suo insieme, quello editoriale in particolare, voglia far credere. se è di fotografia che parliamo… se invece la priorità diventa la mediabilità, cioè la spendibilità di un format omogeneo in genere privo di espressione, ma forzatamente coeso con chi, nota bene, fa i giornali (e non chi dovrebbe comperarli), allora il discorso è un altro. e infatti i risultati si vedono: per la maggior parte non vendono un cazzo. finché gli editori non torneranno a essere appunto editori, la situazione sarà quella attuale: disperante.

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