Sembra un fuori tema. Ma non è così.
Sembra una declinazione da social network, ma non è affatto così.
Io amo fotografare i gatti.
O meglio, amo i gatti. E li fotografo per come mi si presentano.
Detesto la deriva caricaturale antropocentrica fatta di cappellini, occhiali, scarpe e
ciarpame assortito che riduce tutto a sberleffo.
E inoltre svilisce il gesto fotografico.
Quindi, forse, è il caso che CHI FA FOTOGRAFIA continui a farla nel modo che gli è consueto.
La Adriano Salani Editore mi chiese tempo fa se mi andava di illustrare un libro sul gatto… ne abbiamo fatti due: Gattoterapia (2004) e Gattoterapia, gli esercizi (2005).
Ed è stato facile: mi sono limitato a un editing delle fotografie che già avevo dei miei gatti. Sono immagini semplici, dirette… delle snap, dei ritratti, piccole sequenze. Non diverse da altre fatte a gatti incontrati per strada. Non diverse da come mi approccio alle persone.
Non diverse.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Fotocamere:
Polaroid SX-70 e 690 SLR, Ricoh GR1s e GX-100, Leica Minilux, Nikon FE, Hasselblad H3DII-39
Film:
Polaroid SX-70 e 600, Fuji NPS 160, Agfapan 100 e 400.
hai fotografato la vera natura del gatto, senza carinerie! bellissimo!
con le divinità non si scherza mica :)
Si passa per forza dallo sguardo, non c’è intimità più grande che nel guardare alle cose con gli occhi di un altro, anche al buio, proprio come fanno i gatti. Davanti all’immagine di copertina del post, gli occhi del gatto sembrano un passaggio diretto verso lo spazio più grande della casa, del mondo che racchiude abitudini e affetti, senza ostacoli, senza mediazioni. Nulla di più adatto di una serie di istantanee, dunque, per rappresentare il concetto al meglio…
l’istantanea è quasi obbligatoria coi gatti… sono rari i momenti in cui te la puoi prendere comoda.
eppure, Claudio, Efrem, la foto di copertina ci propone un non-sguardo, lo sguardo trasparente di un gatto trasparente, una lieve ombra nera. E’ la foto più curiosa, quella che mi ha suscitato più domande sul suo perché. E mi è apparsa come una sorta di traccia che ognuno poteva riempire a suo piacimento, cosicché il gatto di Efrem potesse essere per ognuno il gatto della sua memoria, del suo vissuto, l’idea di gatto che ognuno ha sintetizzato attraverso le proprie esperienze personali. E’ l’esempio perfetto della fotografia come simulazione, medium tra l’oggetto e la sua immagine, fotografia come linguaggio segnico, rivisitazione del tema del non-finito, dove la forma, non più costretta in un disegno, sottratta alle leggi della raffigurazione, diventa immagine sospesa ed incompiuta per scelta volontaria e consapevole, un non-finito di valenza fisica e psicologica. Perchè più il discorso è incompiuto ed indefinito, più sollecita l’osservatore a completarlo e ad interpretarlo.
E quel gatto diventa tutti i gatti della nostra infanzia, quelli che abbiamo incontrato per strada o coccolato sulle nostre poltrone, diventa, se mi permettete uno strambo neologismo, l’idea della ‘gatteità’, diversa nella memoria di ognuno come una sorta di idea platonica, pronta a materializzarsi alla prima occasione.
Bè, più o meno.
Se non ricordo male questo gatto non è di Efrem, ma si sono incontrati per caso.
Sul discorso che sia una sorta di traccia invece penso che ogni fotografia sia traccia, segno, nel significato semiotico del termine, quindi non per il fatto che non è definita, incerta, ma in quanto fotografia. Ammetto però che probabilmente non ho strumenti culturali così soffisticati da poter confutare completamente il tuo pensiero, che è sicuramente stimolante.
e non è l’unica vilma. anche in questa piccola raccolta. per me resta, restano, immagini finite. la differenza, credo, è che non asseriscono alcuna verità, nessuna idea di assolutezza. forse anche per questo, come dici tu, può essere davvero il passepartout per il gatto, quello che abbiamo davvero o quello dell’idea che abbiamo.
stefano. credo non ci sia mai nulla di casuale nell’incontro con un gatto… che come in questo caso poi viene incontro. io li adoro davvero. e hai ragione, il gatto è un randa… non mio insomma.
infatti non sei tu ad asserire una qualche verità, tutt’al più la tua, è chi guarda che ci trova la verità. La sua.
a margine, proprio sul non-sguardo ho aggiunto un’altra immagine della quale mi ero dimenticato: nicolina
in realtà, Stefano, il mio è un pensiero abbastanza banale, volevo semplicemente dire che, almeno per me, una foto non tecnicamente perfetta, quand’anche l’imperfezione sia voluta e quindi sia un accorgimento sofisticato, può essere più affascinante di una impeccabile messa a fuoco, è più intrigante, suscita domande. Quello che interessa meno sono le risposte.
Ciao
Grazie Vilma, apprezzo davvero la tua cultura, avevo probabilmente frainteso, mi vengono in mente famosi attori non belli ma interessanti, anche se il discorso è trasversale. In effetti però bisognerebbe distinguere a priori quando l’errore e voluto e quando è casuale, ma credo sia una cosa più tecnica in effetti che di linguaggio.
concordo su tutto, i gatti sono animali splendidi, insegnano moltissimo. Anche come dici tu da un punto di vista fotografico. una domanda: come mai riporti il supporto in ogni foto? cioè, è importante?
no giulia, in generale non lo sarebbe… solo che ho pensato che dichiarare il supporto rendesse meglio l’analogia con altri miei percorsi. e che quindi il trattamento è lo stesso. ma si poteva anche evitare in fondo.
invece secondo me, tutto sommato il supporto o l’apparecchio fotografico utilizzato da una “dignità” diversa alle fotografie. Non so se mi spiego.
il punto è realmente tutto lì: lo sguardo. Enigmatico, sveglio, furbo con un non so che di regale. Mica per niente gli egizi lo adoravano come un dio.
tra gli animali domestici nella società attuale credo sia il più opportunista, nel senso che resta libero anche se convive con noi.
avrei decine di storie di gatti, di cani e di cani e gatti… ma credo bene o male le abbiamo tutti.
le fotografie invece mi fanno comprendere un po’ una cosa scritta qualche giorno fa da benedusi, ovvero “la fotografia crea una nuova realtà”.
PS complimenti per tabularasa, me ero dimenticato…
vero che la fotografia crea una nuova realtà. e non è necessario stravolgere. a volte basta poco. non mi è perfettamente chiaro in che modo queste immagini te lo facciano comprendere meglio, però la prendo per buona.
TABULARASA… una bella avventura. grazie!
semplice, a partire dalle polaroid “brutte”, sfocate, mosse. Tutta roba che il fotografo di turno butta, non mostra, nasconde.
Per passare all’idea della “bella fotografia” correttamente esposta, con la “giusta” inquadratura, ‘ste menate qui insomma…
Circa un anno fa, quando ho iniziato a studiare un po’ meglio la fotografia, casualmente mi imbatteri in questo fotografo che nel suo portfolio non provava vergogna per le foto analogiche non belle, mi fece riflettere molto.
sfuocate e mosse ci sta, stefano. e prima di buttarle il fotografo di turno farebbe bene a pensarci. magari farle lo aiuterebbe in tal senso. poi decide.
io come vedi le ho tenute. anzi, sul percorso pola non ho proprio alternativa. altre, vero più formali, il fotografo di turno avrebbe comunque da dire. una volta uno mi ha descritto per filo e per segno come avrebbe fatto lui quella foto lì. un po’ più su… un po’ più giù… la linea di qui… il palo di là… e magari ci stava. solo che io avevo la fotografia, quella lì, che per me era finita. e lui no. tutto è perfettibile. ma di perfetto non esiste nulla. in fotografia men che meno. anche se ho capito il tuo senso.
infatti il personaggio che spiega come avrebbe fatto la foto ha un problema insormontabile, grazie proprio alla fotografia, essere lì in quel momento, il resto sono solo chiacchiere al vento.
già, Benedusi ….. nel suo sito c’è un’intera sezione dedicata a self portraits, qualcosa vorrà pur dire……
bhe Vilma, sono due figure molto diverse, Benedusi e Raimondi, sicuramente Benedusi si vende molto bene come personaggio pubblico, ma resta un grande professionista.
la mia osservazione deriva dal fatto che non mi è mai capitato di incontrare un fotografo che si sia autoritratto con tanta convinzione, recentemente sul suo blog (di fotografia?) si è anche proposto nudo, non potendo andare oltre (una radiografia?). Semplicemente, non vedo lo scopo, dovrebbe essere il suo lavoro a parlare per lui. Bene o male.
bhe diciamo che è sicuramente un personaggio, Efrem è andato oltre, con la sua ragiografia… il blog di settimio nasce con l’intento di parlare dei retroscena del suo lavoro, ma a volte prende pieghe diverse, vedi fototometro o 10 modi per fare il fotografo professionista. Qui invece si discute dei lavori di Efrem e si prende spunto per discutere di fotografia, con risposte sempre costruttive da parte di Efrem.
Sui sui autoritratti c’è molto marketing legato al suo marchio di macchine fotografiche.
in effetti…
http://blog.efremraimondi.it/?p=709
NOTA: se si vuole proseguire su questo occorre aprire un nuovo “commento”.
sulla radiografia.
Robert Gligorov usa spesso l’immagine radiografica in una simbolica abolizione della carne e della sua corruttibilità per una realtà esente dai limitati confini del corpo (qualche anno fa c’è stata una sua scioccante mostra al PAC di Milano). E’ questo il significato della tua provocazione? Il ritratto del tuo scheletro vuole significare una negazione della caratteristica fisiognomica per dire che è altro ciò che importa? O che oltre l’ombra dell’apparenza, siamo tutti uguali? E se “il ritratto rivela solo l’autore”, allora l’autoritratto in cui oggetto e soggetto coincidono rappresenta la perfezione? Infine, permettimi una battuta, l’autore rivelato dalla foto postata sei tu o il tuo radiologo?
Come sempre accade, la scelta per ottenere un risultato è molto più significativa del risultato stesso.
comincio dal titolo dell’opera, perché la finalità era questa vilma… piano americano. che giocava sia sull’inquadratura che sul risultato finale. e le opere sono due. molto simili. in questo senso ciò che importa è ciò che si vede. poi chiaro, ognuno veda ciò che vuole.
però la questione dell’autoritratto non è sottovalutabile… me ne sono fatti. soprattutto in età giovanile. diciamo fino a una decina d’anni fa. fin quando è stato lecito e la zona vanesia aveva per me una corrispondenza e un senso. perché i fotografi sono vanesi. almeno quelli che si occupano di fauna. un nudo quasi, ma proprio quasi, integrale l’ho posto a cover di un libro SELF che spero prenderà luce prima o poi. e non me ne vergogno. SELF perché penso al ritratto come a un autoritratto. sempre. anche questi gatti in fondo. e la forma è un pretesto. e la tua battuta è pertinentissima vilma… solo che in questo caso chi ha fatto click non conta: la prima destinazione non c’entra nulla con l’ultima e definitiva. che poi è la somma di due. in epoca diversa credo di ricordare…
però non sono molto convinto che la scelta conti più del risultato. credo anzi che il risultato sia la summa. o no?
la mia voleva essere una parafrasi della frase di McLuhan, “the medium is message”: se, come lui sostiene, il mezzo (tecnologico) scelto per comunicare determina i caratteri strutturali della comunicazione e gli effetti sul destinatario della comunicazione più del messaggio stesso, non vedo perché la scelta di fotografare il proprio scheletro, il proprio nudo, il proprio gatto ecc. non debba essere altrettanto significativa. Che lo vogliamo o no, oggi tutto quello che è visivo passa per strutture sovrapponibili a quelle della pubblicità, dove, appunto, più del contenuto veicolato conta il criterio organizzativo della comunicazione, più del tema il modo. In quest’ottica, la scelta non conta più del risultato, la scelta “è” il risultato.
So bene che la mia replica è insoddisfacente …….
invece è chiarissima! e adesso ci sono… sottoscrivo pienamente. da un tot di tempo tra l’altro.
Che belle Efrem! Ma io alcune le conoscevo già: mi hanno regalato Gattoterapia 1 e 2 nella versione Cofanetto. Perché io amo tanto i gatti. Anche i cani e tutti gli animali ma i gatti sono gatti :) E sono molto d’accordo con Laura A quando dice basta alle immagini lesive. Quelle non sono fotografie ma caricature!
il cofanetto non credo sia più in vendita diletta… sei una privilegiata!
Le fotografie sono bellissime. Sono assolutamente d’accordo con quello che scrivi: basta con le caricature! Lesive come dice anche Laura e anche lesive come dici tu Efrem: perché una persona che normalmente fa fotografie in un modo, con gli animali (anche i cani e non solo i gatti!) li trasforma in pagliacci? Perché?
In queste c’è tanto sentimento invece.
credo che la deriva caricaturale, valeria, sia perché non si sappia come fotografarli. e ci si inventa robe che non esistono.
C’è sempre la possibilità allora di non fotografarli! Mica è un obbligo e piuttosto che fare cose oscene si lasci stare. Io la vedo così.
molto ben detto diletta!!!
le foto sono bellissime, chi, come me, ha per casa tre gatti ci ritrova tutta la loro incredibile varietà di comportamenti, la loro falsa pigrizia, quella felinità sotto traccia che li rende così enigmatici. Sono molto più interessanti delle persone.
I miei hanno convissuto fino a un mese fa con un cane, uno dei tanti, assistito nella sua morte proprio da uno dei gatti.
Mi viene in mente una storiella sul rapporto cane/gatto e padrone: un cane osserva il comportamento del suo padrone e si dice ” mi dà da mangiare, mi spazzola, mi cura, parla con me …. dev’essere un dio!”.
Un gatto osserva il comportamento del suo padrone e si dice ” mi dà da mangiare, mi spazzola, mi cura, parla con me …. devo essere un dio!”.
la storiella, vilma, è decisamente veritiera. senza nulla togliere ai cani… spesso ci sono storie di convivenza.che funzionano perfettamente. priscilla per esempio (presente nella gallery e ospite da oltre un mese… e non vorrei mollare) è cresciuta con una lupa cecoslovacca, brenda (anche lei di famiglia praticamente).
quanto all’interesse maggiore rispetto alle persone, diciamo che i gatti educano. anche fotograficamente.
bravo Efrem, restituire ai gatti la loro immagine!
basta con certe immagini “lesive della loro dignità”, per usare un’espressione che non si può più sentire ma che resta il modo più semplice per dirlo.
Rispettare il soggetto, interrogarlo, cercare di conoscerlo, dialogarci.
O no?
è che secondo me, laura a., certa roba è lesiva anche per la dignità del gesto fotografico. le due cose in ‘sto caso coincidono