Il fiore è nero

Tulipano nero © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Se spegni la luce, tutto è nero.
Che te ne fai di tutti ’sti bit… che te ne fai di tutti ’sti iso, di un milione di mega e di una potenza di fuoco che non ha precedenti se poi, davvero, basta un cerino?
Serve un filo di luce e un occhio che veda. Ti basta star fermo e girare la testa… traguardare lo sguardo e selezionare la vista: che ci fai con tutta ’sta mercanzia al collo, e lo zoom, questa illusione ottica che pesa una cifra?
La fotografia si fa dove le cose accadono, cioè nel tuo cranio.
In questo spazio permeabile non serve nulla e le fotocamere si equivalgono.
È lì che si forma l’immagine. Lì o niente, e non c’è attrezzatura che tenga.
Ti serve poi solo una roba: la luce.
Questo è il limite della fotografia. Quanta? Direi quale!
La luce fende il buio, la luce la vedi: Caravaggio docet.
Diretta, diffusa, riflessa… calda, fredda, morbida, secca.
La luce è l’unico differenziale, tutto il resto suppellettili.
La luce non ha pregiudizi e non discute: avvolge, attraversa, rimbalza. In una relazione dinamica perpetua con tutta la materia.
Scrivere con la luce, ripetuto alla nausea. Non scrivere con la reflex, non con la Patatrak o la Fotuscoss (*)… scrivere con la luce.
Quindi impossessarsene e assecondarne gli umori.
Tutto ridotto ai minimi termini partendo dallo sguardo. Ma sapendo bene cosa si sta facendo. La confusione iconografica alla quale assistiamo è anche figlia di una diffusa ignoranza. La fotografia, al pari di qualsiasi altra arte, è disciplinata: per poter dire come ti pare, devi conoscere la grammatica. E qui si parte dalla luce.
Queste sono fotografie non mediate da alcun mezzo ottico: Polaroid 55 e un accendino.
Fotografia allo stato puro… elementare nella sua semplicità.
Non serve niente: una matrice, un soggetto, la luce.
E noi stessi. Magari fuori dal trend.
Certamente inattuali.

* Fotuscoss: faccio tutto, in lombardo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotocamera: assente. Luce: accendino Bic. Film: Polaroid 55.

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48 thoughts on “Il fiore è nero

  1. Devo ritirare ogni cosa che io stesso ho detto su Piero Manzoni in quanto per nulla esemplificativa della situazione ed il tema oggetto d’analisi.

  2. Che dire, se non che mi occupo di queste problematiche da sempre e che si trovano rari interlocutori che accettino di ragionare sulla fotografia in questi termini.
    Tu scrivi che “La fotografia si fa dove le cose accadono, cioè nel tuo cranio”. Forse si può andare ancora più avanti e iniziare a parlare di immaginazione. La più grande macchina produttrice di immagini è il cervello umano (non la fotografia) e il cervello produce immagini senza bisogno di vedere qualcosa (il sogno…anche ad occhi aperti).
    Dunque, da un punto di vista concettuale direi che prima ancora del fiammifero e della luce, c’è la questione dell’immagine che (pre)esiste anche al di fuori di ogni azione della luce. Definirei quest’ultima “fotografia allo stato puro”.
    In ogni caso…a parte le mie elucubrazioni devo dire le immagini che proponi permettono di liberarmi dall’ossessione del messaggio e del contenuto. Io le percepisco come visioni molto più vicine alla verità di tanta fotografia che intende spiegare il mondo. Il mondo è già difficile guardarlo ed è ancora più difficile capire che cosa significa guardare il mondo.

    • sai maurizio che non ho mai avuto l’ossessione del messaggio? non so se per distrazione o se proprio perché trovo che sia solo un addobbo… non so, davvero non mi sono mai posto il problema. ma io mi limito a uno spazio semplice, diverso da chi di fotografia scrive e legge e interpreta. e gli tocca anche interagire con certa fauna.
      parlare di immaginazione prevede uno spettro diverso a mio avviso… condivido, ma sai com’è, sono un fotografo, comunque ho necessità di avere qualcosa in mano. ho cercato di ridurre al minimo le variabili. per avere una fotografia cioè se vogliamo una matrice dell’immagine. per questo la chiamo pura. nel senso di primaria ma tattile.

  3. Che bello leggere questo post Efrem. Sai quanto mi sta a cuore l’argomento! E le foto…ci si precipita si, come hanno già detto. Certo fa una certa sensazione leggere questo post pensando a quale sia l’idea di fotografia che arriva alla massa, attraverso il web, le riviste ecc…Quella che descrivi sembra fantascienza al contrario: fotografia con un cerino?!?!? Tzè!!!
    E non meno importante dici “Ma sapendo bene cosa si sta facendo.” In questi miei pochi anni fotografici ho capito che essere consapevoli al 100% produce i risultati migliori. Almeno per me risulta palese se spulcio il mio archivio fotografico.
    Davvero, servirebbe una rivoluzione in fotografia che parta proprio da un cerino.
    Riesco quasi a immaginare lo sconvolgimento emotivo e le facce perplesse e poi disperate di chi porta al collo 4/5 stipendi sicuro che questo faccia la differenza.

    • magari non proprio al 100% andrea… una porzione di inconsapevolezza è necessaria. perché forse, dico forse, è in quel margine che ha vita il gesto. e il gesto è quello che mi pare quasi scomparso dal panorama.

      a proposito di attrezzatura e di stipendi al collo, non di meno trovo inspiegabile la pretesa artistica, perché di questo si tratta, di chi rifiuta la conoscenza grammaticale. e ci spacca la vista con imprese casuali.

      • Per consapevoli al 100% intendo porsi un obiettivo da raggiungere. Non andare a caso. Conoscere appunto la grammatica e servirsene. Poi è ovvio, lasciarsi andare, sperimentare e lasciare quel margine, come dici tu. Assolutamente.
        Poi, la conoscenza grammaticale almeno per me non vuol dire sapere la definizione esatta di aberrazione cromatica, di profondità di campo ecc. Lo dico perchè il web è pieno di forum in cui la gente si danna l’anima su questioni tecniche e paroloni che poi non si traducono in niente di fotograficamente rilevante. Conosco ragazzi invece, di cui ammiro molto il linguaggio fotografico, che non sanno spiegarti a parole cos’è il diaframma, la sensibilità iso, lunghezza focale ecc, però sanno servirsene perchè in mente hanno l’idea di cosa siano. Spesso li ho sentiti lamentarsi di questa carenza, del non saper definire a parole la tecnica. Beh ma chi se ne frega dico io. L’importante è essere consapevoli, come dici tu non andare alla ricerca di imprese casuali.

  4. Ci mancava anche questa! La fotografia senza macchina fotografica!! Ma quello che è peggio è il risultato strabiliante: sono immagini ferme ma vibrano. Questi fiori poi mi commuovono. Io non so cosa dire: precipito dentro queste immagini.

    • non è una novità assoluta diletta. è stato fatto da molti. in passato a dire il vero. e perlopiù direttamente su carta.
      è adesso che trova margini di stupore… adesso che tutti fotografano. è adesso che mi vien voglia di girare le spalle.
      i fiori li ho anche fotografati con tutto l’ambaradan. prima o poi…

      • In che senso girare le spalle? Non capisco.
        Prima per piacere, meglio prima per quanto riguarda i fiori.

        • sono un po’ confuso dal circostante diletta. che mi annoia. giro le spalle nel senso che guardo altrove. questo il senso dell’essere inattuale.
          guarda… sui fiori ho ricominciato in questi giorni dopo anni… vediamo cosa riesco a mettere insieme.

  5. “solo l’artista è in grado”, sono d’accordo Efrem! chi avrebbe pensato al bic?
    sono idee istintive secondo me quelle dell’artista, idee che riesce a mettere in pratica, sperimenta, aldilà della tecnica o altro, secondo il mio modesto parere.
    ah…non si dice mi piace qui? forse l’ho scritto da qualche parte…mmmhhh non lo sapevo…
    come faccio a dire che questa serie mi piace? ormai l’ho detto…

  6. A parte l’indiscutibile bellezza delle fotografie, legata sicuramente allo strumento utilizzato in modo magistrale.
    E trovandomi quasi completamente daccordo su tutta la linea, tranne un dettaglio: scrittura di luce, non con la luce. Inteso nel senso di Scianna, ovvero se “il fotografo scrive con la luce, è un artista.”
    Mentre ritengo più verosimile che il fotografo sia un interprete, un lettore della luce, ovvero fotografia intesa come scritta dalla luce.
    Del resto è il fotografo a decidere da dove guardare, come guardare e lasciare che l’immagine si impressioni sulla matrice. Per dire, tu ed io possiamo fare fotografie alla stessa persona, le tue probabilmente saranno belle fotografie, le mie al massimo fotografie da album di famiglia, non so se rendo l’idea.

    • be’ stefano, qui lo strumento è il bic: ciò che genera la luce. poi sul fatto che si scriva o meno con la luce, per me non c’è dubbio: alcuni lo fanno altri no.
      alcuni hanno una predisposizione, poi educata, altri pensano che sia il mezzo oppure un qualsiasi bottone (tra i due non vedo grande differenza).
      la fotografia non semplifica per tutti. in questo, perdonami, solo l’artista è in grado. ma non è che è tale perché lo scrive da qualche parte. o perché ha due stampe al MIA. o perché un paio di ragazzine/i si sbrodolano… la misura la dà il tempo. che questo sì è un fatto indiscutibilmente fotografico.
      io non ho niente contro gli album di famiglia, anzi! è roba che ci appartiene.

      • Parole sicuramente illuminanti, grazie come al solito. Anzi dirò di più, mi scuso perchè cercando di capire davvero la fotografia alle volte mi fossilizzo su una cosa scritta da uno che è un grande fotografo e cerco di farla mia in qualche modo, magari scrivendo stronzate o come in questo caso andando a estrapolare una frase da un discorso più ampio.

        • Ed aggiungo che hai pienamente ragione sul tempo, tutti i grandi fotografi hanno lasciato la loro traccia, magari a distanza di anni, ovvero è stato il tempo a dar loro ragione.
          Mentre il discorso sul mezzo, il bic, è li che si vede la differenza e l’insegnamento che posso trarre dal tuo post.

      • Efrem io sposo tout court la il tuo pensiero quando dici che non basta esporre due stampe al mia per essere artisti (anche perchè a spannazze basta pagare!). Però da un punto di vista storico è una frase falsa. Da Duchamp e poi Manzoni e quella cricca lì l’arte ha smesso di essere tale poichè un pubblico la eleggeva Arte, appunto; l’arte è tale per semplice ammissione dell’artista. E’ questo il senso della merda d’artista!
        Se da un punto di vista storico questo è successo, io mi sento in grande difficoltà su questo punto. E’ un principio che se può avere la sua ratio storica, non ha un risvolto sincero al giorno d’oggi. In definitiva posso anche vedere le opere di chi si professa artista ma in fondo mi lasciano indifferente. E dunque ritorno a pensarla come te sentendomi quello duro di comprendonio di fronte al grosso dell’arte contemporanea sempre presa tra falsi problemi: la tecnica, la realtà, la figura, il disegno, l’intellettualismo…si parli dell’uomo per favore!

        • il grosso dell’arte contemporanea è ambito troppo esteso per la mia pigrizia, marco. anche se condivido la tua affermazione sul senso del gesto di piero manzoni. limitatamente al piano fotografico invece non ho mai distinto l’opera sulla base della destinazione: per la galleria, per il museo, per il salotto, per il bar, per qualsiasi altro luogo, incluso le pagine di un magazine.
          come se la destinazione possa aggiungere o sottrarre valore intrinseco… mi sembra una bufala da mercanti. comprensibile del resto: è il loro mestiere.

          • Perfetto e comprensibile.
            Però le bufale hanno un riscontro e trascinano l’attenzione e il punto di vista. Forse tu hai un buon baricentro, io però mi sforzo di ragionare su questi argomenti in modo semplicemente onesto…però finisco con l’accusare la posizione di minoranza, vuoi perchè se esprimi un pensiero che non hai trovato su un magazine sei pazzo o anarchico, vuoi perchè l’evitare di esprimere il pensiero di pone sul piano degli snob, dei fatalisti o quelli che disdegnano un confronto produttivo.

            Suggerimenti? Come se ne esce? E’ un problema solo mio?

          • riguardo a ciò che dice Marco, io vedo una grossa differenza tra le opere di Duchamp, Manzoni & Co., e le fotografie che si credono arte solo perché appese in certi luoghi: nel primo caso l’Arte era nell’idea. Che in quel momento storico aveva una portata rivoluzionaria, frutto di un clima-contesto culturale ben preciso.

            • se parliamo di una buona parte della produzione fotografica contemporanea non posso che condividere.
              ma quale la differenza, laura? nel concetto… nella mancanza del gesto… quale?

            • Trovare la risposta esatta senza poter storicizzare il contemporaneo non è facile.

              Sta di fatto che l’orinatoio non nasceva mica dal nulla (Duchamp prima aveva prodotto un bel po’ di pensiero e di Arte).
              Tantomeno dall’aver frequentato una scuola.

            • forse non è neanche solo quello…se lo dicessi mi sembrerebbe di indicare una formula, una ricetta. Che non può esistere.

            • no, chiaro che non c’è formula… però i risultati, qualunque siano, sono determinati da un percorso di maturazione. più o meno veloce, dove a volte s’insinua un punto di rottura, che può fare la differenza.
              credo alla causalità… per questo è giusto sottolineare che l’improvvisazione, forse, è il male contemporaneo. a differenza dei duchamp e dei manzoni. e di un sacco d’altri.

            • la differenza è che quel pensiero era la logica, spontanea ed autentica consegunenza -geniale- ad un mondo. Oggi il mondo è un altro e non ha un gran senso usare i meccanismi della provocazione e dell’autoreferenzialità utilizzando come padre putativo Duchamp. Quella roba lì l’abbiamo già capita e addirittura ha avuto gli sviluppi più interessanti nella performance art. Ma se Duchamp fosse qui oggi, farebbe ancora il Duchamp? Per me no, o meglio, sarebbe sempre Duchamp ma senza scaravoltare orinatoi

            • mi aspetto un’autentica conseguenza anche oggi. solo che ne vedo molto poca marco. vedo spaccio. certamente può essere un problema mio, di incapacità o inadeguatezza… per cui cerco di colmare il vuoto con risposte a me coerenti. e per me comprensibili. limite che dichiaro. ma che posso fare?

  7. Disarmante dimostrazione del fatto che la fotografia esiste ed è un fatto mentale, dipendente da una tecnica, ma solo in senso funzionale. Forse esistono persino fotografi che non hanno mai prodotto una foto-grafia. Questa serie è straordinariamente affascinante, contiene e riflette un mistero, nei giochi d’ombra inattesi che l’occhio decodifica più lentamente del solito. I soggetti sono creature di una dimensione nuova, che lo sguardo accarezza, smarrendosi…

    • ricordo ancora il momento… avevo uno studio davvero underground a milano. con una camera oscura da fare invidia però.
      era uno studio essenziale. ricordo un lavoro per prada, con le gentili fanciulle che si guardavano attorno quasi attonite.
      e lì dentro son nate ‘ste robe. il mio intento era appunto fare fotografia. con però una matrice… con la possibilità quindi di riprodurre.
      sarà il tarlo benjaminiano. oppure semplicemente mi rode il pezzo unico. ‘sta roba è il solo momento in cui ricordo di essere un fotografo.

    • Hai descritto quello che penso anche io Claudio e provo un piacevole senso di smarrimento. Un po’ come Diletta aggiungo, io precipito.

    • credo fabrizio che si debba ripartire da lì, dall’abc. che non è per niente esiziale.
      cazzo, se si fotografa la luce è tutto!

    • fotuscoss… non ho neanche idea come mi sia venuta. però credo che renda. bisognerebbe solo spiegarlo ai non lombardi…
      l’entusiasmo è salutare luisa!

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