Fotografia e professione

 

Mi è stato chiesto dalla rivista Punto di Svista un articolo, con ampia libertà di scelta.
È una rivista on line che seguo e apprezzo molto.
Un filo impegnativa, entra davvero nelle faccende.
Ci ho pensato un po’ su: che scrivere?
E mi è venuto naturale affrontare il rapporto fotografia–professione.
È un pochino più tosto rispetto al mio standard, quello che trova spazio qui dentro. E anche meno sboccato. Anzi per niente.
Come al solito però dico le cose per come le penso, essendo persona interessata ai fatti.

Questo il link:

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ringrazio per la fiducia Maurizio Giovanni De Bonis, Orith Youdovich, Pietro D’Agostino, Giovanna Gammarota.

10 thoughts on “Fotografia e professione

  1. Bello l’articolo, disarmante, critico, serio. Non mi permetto di scrivere commenti li, perchè non ne ho i meriti. Quello che però descrivi è un mondo quasi catastrofico, per chi volesse iniziare oggi a fare fotografie per vivere.
    E’ molto interessante la parte dove parli dei risvolti della fotografia digitale, che credo stia arrivando alla saturazione al completamento, come tutti i nuovi strumenti tecnologici (basta pensare a Internet di 10 anni fa, ad esempio), con la differenza che, vuoi grazie ai telefonini, vuoi grazie ai social network, è diventata di colpo molto invasiva. Probabilmente chi si occupa di fotografia per lavoro è rimasto un po’ abbagliato, alla ricerca di consenso, come il negozio fisico che se metti “mi piace” sulla sua pagina Facebook hai uno sconto o un qualche benefit…

    • ma non è catastrofista l’articolo… più un’analisi sullo stato delle cose. e la puntualizzazione dei cardini propri della fotografia. secondo il mio punto di svista.
      auspico un ripristino delle gerarchie. perché ciò possa accadere, molto deve cambiare. in qualche angolo sta avvenendo.

      al tuo posto però un’infilata di commento la farei su punto di svista…

      • i giornali pubblicano autoscatti di vip trovati in rete, dove le celebrità, che prima custodivano ed elargivano solo a caro prezzo la propria immagine oggi si svendono per qualche like, i telegiornali importano gratuitamente da youtube videofilmati amatoriali postati da uno sconosciuto che ha ripreso in diretta per caso col cellulare un attentato o un terremoto (dove qualunque inviato speciale sarebbe arrivato in ritardo), i blogger precedono in tempo reale la diffusione di notizie ed immagini che vanificano la carta stampata……… con questo crescente imperversare del fai da te, altro che crisi, è l’apocalisse!
        Ovviamente, ogni foto pubblicata gratis è un mancato guadagno per il fotografo professionista che come se non bastasse deve reggere anche la concorrenza di agenzie fotografiche online (come Corbis di Bill Gates o Getty Images).
        Come sempre, la sopravvivenza (della fotografia) è affidata alla capacità (del fotografo) di fare della crisi un valore.
        Flusser suggerisce di giocare contro, raggirare la macchina, costringerla a deviare dai suoi protocolli, cercare l’immagine imperfetta, cioè non programmata e perciò libera. E mai come oggi il clima è stato più favorevole, i vari campi del sapere e della creatività umana si contaminano, la curiosità viene stimolata da realtà alternative, da un atteggiamento mentale sempre più elastico.
        Se capisco bene lungo quale filone di ricerca ti stai muovendo, credo che tu potresti essere d’accordo.
        E concordare su ciò che scrive Ugo Mulas (“La Fotografia”, 2007):
        “Così a un certo punto, ho cominciato delle operazioni sganciate dagli altri, sganciate dalla mia volontà di essere testimoni e di raccogliere l’esperienza altrui, per vedere che cos’è questo sentirsi soli di fronte al fare, che cos’è non cercare più dei puntelli, non cercare più negli altri la verità, ma trovarla soltanto in se stessi, e capire che cos’è questo mestiere, analizzarne le singole operazioni, smontarlo come si fa con una macchina, per conoscerla.”

        • concordo su tutto. ma il vero problema, quello che intendevo sottolineare, non è solo la faccenda economica -che comunque pesa… mica abbiamo la cassa integrazione noi, né alcun paracadute- ma soprattutto la massificazione del “prodotto”. con conseguente impoverimento espressivo. è, come mi insegni, discorso lungo e complesso. io ho fatto solo una nota a margine…

  2. mi trovo nella posizione di dilettante con passione per la fotografia, la sua storia, i grandi e piccoli fotografi. Credo che bisogni davvero che i veri professionisti si distinguano, elevandosi al di sopra del grande mercato che gira intorno a questo mondo. E’ come se ondate su ondate di foto si riversino e anneghino il vero senso di far fotografia. Il digitale ha reso tutto più facile, credo però che nella massa si possano trovare fotografi non professionisti con grande talento e che vadano coltivati, aiutati e valorizzati. Mi piace ancora pensare al fotografo con il suo assistente che, seguendolo giorno per giorno, diventi egli stesso professionista, acquisendo e imparando dal suo Maestro, oppure del fotografo diventato professionista dopo una lunga gavetta, non certo fatta in fretta con la ultima serie di camera digitale ultra facile da usare e con un ultra mega programma di ultra foto ritocco. Concludo con il tuo pensiero: “Non appena i media, in qualsiasi forma si presentino, decideranno di uscire dall’ubriacatura dell’allegoria digitale. E torneranno a occuparsi del contenuto per ciò che è.”
    “Solo il ripristino delle gerarchie espressive e delle competenze, quelle due robe insomma che hanno cura della qualità del sistema espressivo, nel suo insieme e nello specifico della sua destinazione d’uso, può ridare voce a una fotografia autenticamente mezzo di se stessa. E al momento attonita.”

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