The cannonball woman by Maria Serena Patanè

Ho conosciuto Maria Serena Patanè durante un master (ma che diavolo è un master?).
Il fatto in sé è poco significativo… ci si incontra dove capita.
Conoscersi invece prevede un passaggio ulteriore. Mai gratuito.
Quello che serve a capire se una persona ti piace o no. E se quello che fa, idem.
Maria Serena idem.
The cannonball woman è un lavoro del 2008, presentato per l’esame finale alla Royal Academy of Art, L’Aja (Den Haag).
Un piccolo prezioso libro autoprodotto, rilegato, 21,5 x 14,5 cm.
Testo originale in eng: qui il pdf della traduzione in ita.
Testo-IT-thecannonballwoman

© Maria Serena Patanè – All rights reserved,

Il sito di Serena Patanè: http://www.serenapatane.com

16 thoughts on “The cannonball woman by Maria Serena Patanè

  1. Davvero un bellissimo lavoro, complimenti.
    Capisco comunque il punto di vista di Vilma sulla parte scritta.
    Purtroppo però dobbiamo fare i conti con l’ignoranza imperante e credo che l’esplicare il proprio lavoro anche a parole nasca da un’esigenza di far chiarezza, di non voler essere fraintesa, soprattutto quando si parla di un argomento di questo tipo e in questo periodo storico. Non è un’operazione facile. Tutt’altro.

  2. Mi dispiace moltissimo per Mary… Purtroppo il disagio sociale oltre a farti sentire solo, ti incattivisce, se non hai una forte dose di autoironia e autostima che ti porta a generare la riscossa. La presa per il culo dei media peggiora solo la situazione: oltre a generare ignoranza, tu alla fine ci credi che sarai felice solo con quella pelle, con quella taglia, con quel sorriso smagliante e ti deprimi convinto della tua imperfezione.

    • Non mi piacerebbe essere così enorme come dice Marieke nel libro. So che avrei tante difficoltà e il mio umore non sarebbe lo stesso ma il fatto è che non mi trovo in quella condizione e quindi non mi sento di dire altro. Le fotografie sono veramente belle e certo che positive! Infatti mi mettono una grande serenità nel guardarle e mi piacciono molto, forse anche perché le sento vere.

  3. bello il lavoro fotografico, informale, quei rossi caravaggeschi (c’è persino un cesto di frutta, intrigante citazione), sorrisi, danze, compagnia….
    Però…….. io credo che non esista al mondo una donna che sia felice di pesare un quintale, per la quale il peso eccessivo non sia “né un problema né un motivo per essere infelici” e venga accettato senza complessi nel nome di uno slogan consolatorio inventato dal marketing per impossessarsi di un altro target e ripetuto come un mantra: grasso è bello. No. Non è bello, non è sano, non è saggio, non è educativo, non è neppure ‘ecologico’.
    Perché, poi, si debba considerare ‘standardizzata’ la donna ‘magra e sorridente’, esasperando strumentalmente un concetto che più realisticamente sarebbe ‘normopeso e a volte incazzata’ non è chiaro. Mi rendo conto che l’argomento non c’entra con le foto, nulla vorrei togliere alla loro bellezza, ma voglio dire che l’operazione comunicativa è forzata e tendenziosa, un disturbo alimentare è un problema da non sublimare con frasi retoriche ( sono felice, ho un buon rapporto con il mio corpo, mi accetto come sono…..), quindi contesto la parte scritta a mio parere tendenziosa e poco credibile. Oltre che superflua.

    • io non sono mica completamente daccordo vilma, perchè credo che se da un lato è vero che essere pesanti comporti una serie di problemi motori ed estetici, dall’altro comprendo chi ama mangiare, sono io tra i primi, con la fortuna che non ingrasso, pancetta a parte… se è un vizio, tutto sommato ben venga, non fa mica male a nessuno, altrimenti vale, per me, quello che ho scritto sotto…
      poi c’è anche un aspetto culturale, se non ho frainteso, le donne fotografate sono meridionali e, per quello che ho visto, restandoci diverse volte per tempi prolungati, la donna obesa è accettata molto più che al nord, vuoi la dieta mediterranea, vuoi la bellezza mediterranea, (vuoi il mediterraneo), ma ho notato ‘sta cosa.

    • Vilma, grazie per il tuo commento/critica.
      Quando decisi di lavorare a questo progetto avevo ben chiaro in testa che volevo trattarlo nella maniera piu’ leggera possibile quasi a volere compensare il peso delle donne ritratte. Un lavoro positivo insomma, come é stato già ripetuto in altri commenti su questo blog. Per me il fatto che si denoti questa positività un fattore molto importante. Se avessi voluto trattare l’obesità e/o la grassezza (che non è sempre obesità) solo ed esclusivamente come malattia avrei fatto un altro tipo di percorso e il lavoro sarebbe stato di altro genere. Sarebbe stato “pesante”. Questa del libro è un’altra storia.
      The cannonball woman ce l’ho qui sulla scrivania, lo sfoglio e vedo come dici tu, sorrisi, danze e compagnia. Credimi non era tutta una messa in scena, non ho forzato nessuno ad essere felice di essere cosi com’é ne mi sono inventata tutto. E loro non sono delle matte. L’intento era quello di dare una visione gentile e pacata di queste donne oversized tramite la loro quotidianità. Un intento devo dire riuscito.
      Nessuno ripete come un mantra che grasso è bello ma perché dovrebbe essere brutto?

      • Forse, Serena, non è né bello né brutto, questo lo stabilisce il marketing.
        Quello che voglio dire è che un libro allegro sulle donne ‘in carne’ può anche essere una dichiarazione di debolezza, non c’è bisogno di dichiarare che tutto va bene e che il mondo è bello nonostante l’oversize, se l’oversize non è un problema.
        La foto di una di queste donne in atteggiamento pensoso o malinconico avrebbe forse fatto pensare alla tristezza per una condizione da extralarge? perché mai, magari pensava alle bollette in scadenza, ai bambini da portare a scuola…… come tutte le altre donne, anche quelle magre.
        Comunque, meglio evitare e ritrarre una inequivocabile felicità, nella tua intenzione di fare un “lavoro positivo”.

        E’ chiaro che un libro fotografico parte da un tema pensato, sai cosa vuoi raccontare e stabilisci le regole del racconto. E lo fai, come Botero, attraverso i canoni estetici monumentali delle tue modelle in sovrappeso.
        Ma, al di là della lancia che spezzi a favore della loro causa, penso che la tua sia prima di tutto un’esigenza ‘artistica’ e che la pienezza dei volumi sia una scelta formale, linguistica ed espressiva, piegata ad esprimere la tua visione del mondo, o del corpo femminile.
        Scusa la stringatezza della mia replica, so che esprimo un concetto in maniera sommaria e rozza, ma non voglio rischiare di annoiare i lettori.
        Comunque le foto sono bellissime!
        Auguri per il tuo lavoro.

  4. Un gran bel lavoro, molto positivo. Ma. Per me, e parlo di esperienza personale, c’è un ma, ovvero le persone obese che ho conosciuto si dividono in tre categorie, A con problemi di salute (ormonali o altro) e ingrassano anche se nutriti a pane e acqua, sono normali persone che però hanno qualche problema in più a vivere normalmente. Poi ci sono altre due tipologie di obesi, quelli che si accettano e ci fanno umorismo e normalmente sono persone molto divertenti e allegre, anche se con i relativi problemi di salute fisica, ma non mentale. E infine le persone che per una serie di motivi, se magnano anche il frigo, per dirla alla romana, non si piacciono e sono fondamentalmente cattive, vuoi per colpa della comunicazione mediatica che ci vuole tutti belli e magri, vuoi perchè soffocano i loro problemi psicologici nel cibo, vuoi perchè comunque sono accidiosi e tendenzialmente invidiosi di tutto e tutti. Ripeto che è una riflessione molto personale, in particolare rispetto ai “cattivi”, però ho conosciuto alcune persone davvero così, sia uomini che donne.

    • strano stefano… vedi com’è tutto relativo? c’è chi pensa che il mingherlino/a sia mediamente più astioso. generalizzare però è pericoloso… o no? questo lavoro della patanè, hai ragione, è molto positivo, anche secondo me.

      • concordo che generalizzare è sbagliato, ma è facile inciamparci parlando di “categorie” di persone, anche se credo di aver, nonostante abbia marcato un po’ la mano con la “tipologia” che mi sta più antipatica, comunque descritto anche persone positive. come quelle che sono state fotografate in questo lavoro.

        • stefano, pare che i casi di obesità patologica (ormonale o altro) siano veramente assai rari, le altre due ‘categorie’ che individui sono formate da gente grassa per scelta, perchè adora mangiare, come dichiara rosetta.
          dentro ci stanno sia i buoni, divertenti e allegri, che i cattivi, accidiosi e invidiosi, come in tutto il resto della popolazione normopeso.

          • Lo so perfettamente Vilma, però nello specifico ho semplicemente riportato la mia esperienza personale.

  5. Davvero un bel lavoro. Mi ha fatto ritornare in mente una amica di famiglia, io ero molto piccolo, 6 anni piu o meno, quando trascorrevamo delle serate insieme a cena, persona solare, io e mia sorella non vedevamo l’ora che venisse o che andavamo a cena da lei, Mary. Lei era Americana, come me, emigrata in Italia per amore. Ma mai ambientata, soprattutto a causa del suo aspetto, la gente la faceva sentire a disagio. Specie in una realtà piccola come quella dove viviamo, dove tutti ti scrutano dalla testa ai piedi. Qualcuno una volta le domandò “Mary perchè non provi a perdere peso?” lei ovviamente rispose “non POSSO”. Aveva problemi di salute. Dopo qualche anno decise di tornare in America, dopo che aveva preso ancora peso , oltre al disagio che ti procurano gli occhi indiscreti, per una persona obesa è difficile vivere in un paese dove tutto è piccolo, diventa difficile anche andare a fare la spesa. Ho saputo che di recente è morta, non penso avesse piu di 55 anni.

    • quello del disagio sociale è il lato A… ed è terribile per chi lo vive… sei spesso solo. poi c’è il lato B che è quello della riscossa. della rivendicazione di uno stato. e poi c’è il lato mediatico, quello che ci prende tutti per il culo. mica per una questione morale… penso sempre che ci sia sotto un business, per dirla all’americana ;)

      • Si, condivido pienamente. Purtroppo dobbiamo anche ammettere che quel tipo di business all’americana negli ultimi anni lo abbiamo adottato anche noi (e sottolineo noi perchè io mi ritengo americano solo all’anagrafe) qui in Italia sotto certi aspetti. Sembra a volte che imitiamo il peggio degli USA.
        Tornando al discorso che offre il libro, infatti la solarità della persona che conoscevo era coinvolgente, nonostante i suoi problemi era una persona piena di vita, sempre col sorriso sulle labbra.
        Insomma credo che il lavoro fatto da Patanè sia, attraverso l’uso sapiente della macchina fotografica, esemplare.

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