Mark Knopfler… a proposito di Fender.

Roma, settembre 2000 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ero al  Grand Hotel Plaza, a Roma… settembre 2000. Il giorno dopo avevo uno shooting per GQ Italia.
Rientrando dal sopralluogo mi sembra di intravedere Mark Knopfler infilare la hall.
Sta a vedere che alloggio nel suo stesso albergo! E infatti…
Grandissimo chitarrista lui, e favolosa la sua Stratocaster… bisogna tesaurizzare! Chiamo la redazione… no anzi, la redazione chiama me e mi dice che Mark Knopfler è a Roma, al Plaza (lo so). Per una conferenza stampa (non lo so). Di ritrarlo (a ‘sto punto me l’aspetto). E che sta arrivando anche Antonio Orlando per intervistarlo (son qui). Non riesco neanche a dire che l’ho incrociato mezz’ora prima, Knopfler… ciao!
Esco dalla camera per andare alla reception con l’intento  di strappare un sopralluogo su due piedi (mica facile)… percorro il corridoio e vedo quattro persone che chiacchierano. Più una poltrona. Con seduto qualcuno. Ma è coperto e non vedo, intravedo…
È una zona defilata e riservata dell’albergo, e infatti non capisco cosa ci faccia io lì.
Forse un errore. Forse non avevano più disponibilità e mi è andata di lusso.
Va be’, mi avvicino e sbircio… e più o meno vedo la scena di questa foto. E mi piace.
Ma è una proiezione, intendiamoci. Intanto non c’era la Stratocaster. E io non avevo alcuna fotocamera con me. Mentre la proiezione richiedeva entrambe.
Quasi quasi gioco in anticipo penso… Mi faccio coraggio, saluto e mi faccio avanti.
Mi rivolgo a una fanciulla che mi sembra sovrintendere e infatti è dell’ufficio stampa della casa discografica. Insomma, per farla breve, coi miei assistenti  predisponiamo un set in 10 minuti.
Esattamente lì. E per come ho visto la scena. Più o meno.
A volte funziona così. Molto raramente. Anzi mai.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Assistenti: Pietro Bomba e Fabio Zaccaro

Fotocamera: Pentax 645 N con 75/2,8.
Luce: Profoto flash.
Film: Agfapan APX 100.

30 thoughts on “Mark Knopfler… a proposito di Fender.

  1. L’uso dello spazio vuoto e la ricerca dell’imperfezione del reale trovo che siano le chiavi di lettura di questo scatto, più del fascino che emanano la rockstar ed il grand hotel. Foto intensa, ambigua, concentrazione di potere (musicale) e fragilità (umana). Per questo, poetica…

      • hai ragione su quasi tutto e mi dispiace di contraddirti su 1 cosa…. io non ero presente quella volta con te e ancora me ne rammarico! mi avevi fatto ingelosire quando mi avevi raccontato il servizio. probabilmente ero affan..lo in francia a seguire un altro fotografo. peccato perchè è uno dei cantautori preferiti mio e di mio fratello.

        • urca, la mia memoria annaspa! eppure ricordo bene te e pietro insieme… però se ci penso ricordo una pola di pietro con knopfler. e tu nisba, ergo…

  2. Tra l’altro, non so se qualcun’altro l’ha notato, ma sul tuo sito c’è nè un’altra di fotografia di Knopfler, molto più intimista a mio avviso.
    A margine una domanda, che non c’entra molto, però se non ho letto male, tu hai iniziato a fotografare nel 1980, ma nel tuo sito non si vedono fotografie che vanno dal 1980 al 1990 e anche qui sul blog, se non prendo un abbaglio, hai parlato solo delle prime foto, 1980, appunto.

    • il mio sito va cambiato. è fermo. ci stiamo lavorando.
      con tanto di p.iva e cioè organicamente ho iniziato nell’83. in qualche biografia (roba che odio) infatti compare quella di data.che alterno, vero, con l’80. sul sito la prima è datata 1984. e fino al’90 ce ne sono sei… non sei attento stefano! e mi fai fare anche gli straordinari: ahi ahi ahi… e anche sul blog: 1980! ahi ahi ahi… ahi.

  3. sembra che il punto di vista corrisponda al racconto, cioè ad un’immagine presa “sbirciando” – anche se poi non è stato così, ma sembra fatta come era stata vista inizialmente. Bella.

  4. bhe le tre donne prima di me hanno espresso grosso modo quello che avevo pensato anche io:
    – urca, giusto un giaciglio in via del corso
    – molto spazio, ma è paradossalmente un togliere
    – la tristezza del musicista
    Invece una cosa che mi ha colpito sono stati alcuni commenti su fb, ovvero vogliamo fare tutti gli assistenti di Efrem Raimondi. Ti pongo invece una domanda diversa: lavori mai con art director? cioè qualcuno che vai li e di dice cosa devi fare e tu ti devi semplicemente occupare degli aspetti tecnici? Perchè se proprio volessi imparare qualcosa da te, ti vorrei come art director, non farti da assistente (oddio poi probabilmente pagherei per entrambe le cose). Noto che nei tuoi post sul blog organizzi sempre tu la fotografia.

    • non so stefano se la solitudine debba coincidere necessariamente con la tristezza…
      quanto agli art director, in editoria al massimo si raccomandano di fare attenzione alla dimensione della pagina, soprattutto se si pensa a un’apertura. o a maggior ragione a una copertina. in pubblicità invece il peso dell’art è molto maggiore. se hai a che fare con un layout la gabbia è più stretta. ma mai si traduce in mera tecnica della riproduzione… mai. almeno a me non è mai capitato.
      in che senso io organizzo sul blog la fotografia?

      • Perdona la domanda indiscreta, immaginavo che un’autore “pesante” come te avesse poche indicazioni in merito… :)
        Mentre “organizzi tu la fotografia” intendevo dire che ne sei l’autore, appunto…

        • in adv se hai un layout lo devi rispettare eccome. a te la capacità di interpretarlo e renderlo. poi può succedere che strada facendo qualcosa intervenga sul percorso. ma il concetto è fisso. comunque io non è che ne faccia tanta di pubblicità… ogni tanto.

  5. Grand Hotel, grandi musicisti ecc: bella la vita del fotografo! Ma se tu non avessi fatto il fotografo cosa avresti fatto? Ti invidio e lo devo ammettere. Anche se riconosco il tuo talento e che io non ne ho. Però non lo so, c’è qualcosa che mi urta in questo post e non è certo lafoto che è bellissima. Non lo so Efrem, sono sincera. Perdonami.

    • non lo so valeria cosa avrei fatto. so che ho fatto questo: il fotografo. che non ha a che fare con gli agi borghesi, il riconoscimento e il successo. ma con la necessità di raccontare se stessi. a volte ci si riesce, a volte no. non c’è nulla da perdonare… scherzi vero? piuttosto mi spiace che tu sia a disagio. ti assicuro che l’intento non era sventolare la bella vita dei fotografi… anche perché non è proprio così.
      né certo fare il figone. proprio non mi appartiene.

  6. Bellissima fotografia a un grandissimo chitarrista e per questo tanti complimenti! Trovo molto nteressante come la casualità a volte sia una complice positiva ma la cosa che volevo chiederti è questa: potevi scegliere una inquadratura in cui lui si vedeva meglio e cioè andargli più vicino e non lasciare tutto questo spazio ma tu hai scelto così: perché? Ho notato che lo fai spesso e quindi è chiaro che ha un significato per te. A me piace anche se c’è del vuoto solo che è strana la sensazione che mi lascia.

    • grazie per i complimenti diletta… un po’ come notava vilma. e come a lei detto: avvicinarsi e riempire non è detto che aiuti a conoscere di più. magari hai più informazioni. e più pori da contare. ma chissà…
      che ti lasci una sensazione strana lo comprendo… è la ricerca di un nuovo equilibrio.

      • Hai ragione Efrem: La ricerca di un nuovo equilibrio! Forse l’abitudine a volere sapere tutto e avere il maggior numero di informazioni di una persona celebre che non capita sicuramente di incontrare per strada o al supermercato fa perdere di vista il senso vero e profondo di certe immagini che vediamo. Mentre è molto importante rifletterci.

  7. Lo spazio bianco, negativo, attivo o passivo, spazio ‘visivo’, proiezione dell’emisfero cerebrale sinistro, differente dallo spazio ‘acustico’ elaborato dall’emisfero destro: lo spazio in un’immagine, specie se vuoto, dice molto, soprattutto sull’autore.
    Contrario dell’horror vacui, lo spazio vuoto è soprattutto un atteggiamento psicologico e culturale, in occidente rappresenta il nulla, la povertà, la mancanza, in oriente è il principio di tutto, la serenità, la pace.
    Lo spazio vuoto della parte superiore della fotografia è un tema abbastanza ricorrente nei tuoi scatti, utilizzato sempre con risultati espressivi precisi (non so se rigorosamente coscienti e voluti), a me personalmente evoca un senso di solitudine, ‘risuona’ di domande non fatte e di risposte non date, è come se tu lasciassi il soggetto libero di esprimersi senza posa, senza condizionamenti che perseguano un risultato estetico in qualche modo guidato (o forzato) e al tempo stesso invitassi l’osservatore a riempire quello spazio con le sue personali sensazioni, qualunque esse siano.
    In mancanza di elementi per una lettura guidata della foto e opportune ‘istruzioni per l’uso’, ti esponi al rischio del fraintendimento, ma credo che la sfida ti piaccia.
    Un uomo serio, pensoso, calato sul fondo di uno spazio disadorno, pare cercare nella sua chitarra risposte esistenziali che non può dargli, in un ambiente vagamente retrò, povero, anche se si tratta di un grand hotel …… nel silenzio, il vuoto delle parole.
    ‘Ognuno sta solo ….’ il cuore della terra batte lontano.

    • in questo sono molto orientale. sempre stato vilma. e lo spazio vuoto per me non è mai vuoto. non c’è assenza. per questo non so dirti se rigorosamente cosciente, ma certamente voluto.
      e certo è un fatto anche estetico, ma io il peso del vuoto lo sento e lo amministro. e hai ragione sul tema della solitudine. ma credo, dico credo, sia anche una sottolineatura della necessità del dubbio, della ricerca dell’io. che è poi un io dialettico… non c’è apologia dell’eremitaggio. certo che la sfida mi piace! chapeau!

      • Il tema del vuoto, come si vede dai commenti, è sempre ambiguo e portatore di una sottile vena di angoscia, può urtare, produrre sensazioni strane, lasciare un senso di incompiutezza, ricordiamoci della grande tela tutta bianca di Robert Rauschenberg o dell’imbarazzante brano di John Cage, 4’33”, quattro minuti di silenzio seduto al pianoforte davanti ad una sbigottita platea. Per ciò che mi riguarda, devo dire che sono probabilmente aiutata perché, architetto, con il vuoto ci ho lavorato tutta la vita, fare architettura non vuol dire costruire dei muri, ma creare il vuoto che essi racchiudono.
        Come diceva Mies van der Rohe, “God is in the details”, e allora, visto che la foto si connota su una serie di pochi e incisivi dettagli, perché la porta inclinata sulla destra? è un errore (ha un nome che mi sfugge, di parallasse?), se sì, è voluto e volutamente conservato?

        • col fatto che l’architettura è tridimensionale, qualsiasi vuoto delinei non se ne ha una percezione così ammutolente come su una superficie bidiemnsionale. non che non lo sia, ma la percezione genera forse un rimbalzo emotivo immediato. o non mediabile. e il silenzio uguale. e certamente hai ragione tu vilma, in occidente il vuoto si percepisce come assenza. quanto alla fotografia credo sia, come ogni linguaggio che sia tale, cioè espressione, semplicemente imperfetta. quindi non errore. ma elemento coerente del racconto. più banalmente quella porta poteva non essere già di suo perfettamente diritta. ma l’avere certamente inclinato la fotocamera alla ricerca di maggiore vuoto l’ha ulteriormente disassata. ma trovo che aumenti il senso di incertezza e faccia bene a una scena piuttosto spoglia tutto sommato. diritta non sarebbe stato lo stesso. storta è quasi tutto. solo la mia opinione ovviamente.

          • perfettamente d’ccordo (o imperfettamente, per stare in tema), l’imperfezione, intesa non come mancanza di controllo sul risultato, ma come irruzione della casualità della vita nel risultato, è ciò che rende unici, sia gli uomini che quello che fanno, anche la tua foto.
            Elogio dell’imperfezione!

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