Semplice e basta.

Grazia Casa dicembre 2012 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Non so voi, ma io sono stufo di imbattermi in terrificanti pseudo fotografie che trovano alloggio in buona parte dei magazine.
Mica solo italiani… inutile che si continui a pensare che altrove è meglio e che qui sia concentrata la merda del mondo.
E poi non si fa nulla, ma proprio nulla per cambiare. Ci si piange addosso e basta. E si continua a precipitare nel vuoto assoluto di restyling privi di senso. E le riviste precipitano. Nel gusto ancor prima dei numeri, quelli che dovrebbero servire a tenere in piedi la baracca. Che non scricchiola, sta proprio franando.
Buttare via tutto e ricominciare!
Dicono che non ci sono più inserzioni… le pagine di pubblicità.
E infatti la foliazione è ai minimi storici. Solo che viene il dubbio che la foliazione di prima fosse dopata appunto dalle inserzioni.
Da un bel po’ molti magazine sono puri veicoli del marketing.
Ante web, anche se discutibile, tutto ancora reggeva… ma per quale motivo un’azienda, oggi, dovrebbe investire su un medium brutto e costoso?
Fashion system  a parte, che di fatto usa l’escamotage del redazionale e che evidentemente funziona ancora, tutto il resto non ha ragione di proseguire.
Buttare via tutto e ricominciare!
Ma da dove? Magari da riviste più belle. Fatte cioè meglio. Dirette a un pubblico che si conosce, non che si suppone.
Dirette a un lettore! Non a un affamato di gossip e contorno. Perché anche il contorno, vogliamo parlarne?
All’ennesimo articoletto sul super hotel sette stelle in cima al mondo che ti offre un cocktail al sudore di aquila, o a quello nelle viscere della Transilvania che nel menù ha un consommé di trapollo, un tubero che cresce solo lì, a tre chilometri di profondità, ecco, interessante… ma chi se ne frega!! Il tutto corredato da immagini impossibili da vedere, prese alla rinfusa chissà dove. E impaginate possibilmente peggio.
Un sabato qualunque di un po’ di tempo fa impatto in una cover che mi ha fatto riflettere.
Un crash vero… perché era tutto ciò che più mi disgusta.
Un andazzo che va avanti da un po’. E in effetti è talmente evidente che non ci si accorge. E si pubblica.
Ma è possibile arrivare a utilizzare software davvero fantastici e utili nell’unica versione aberrante?
Alla ricerca del ”famolo strano” sembra un imperativo. Perché?
Sempre in quel sabato che non ricordo, mentre pensavo e scansivo (scannerizzavo o come cazzo si dice) dei miei negativi più o meno datati per un lavoro che avrà a breve luce (TABULARASA), sento urgente un bisogno di semplicità espressiva.
Addirittura sottolineata. Che a guardarla si può persino pensare che io sia ormai altrove.
E forse è vero.
Manco farlo apposta mi telefona Giovanna Calvenzi e mi propone un lavoro per un nuovo progetto che sta seguendo.
Era esattamente la risposta pratica alla mia voglia di mettermi in discussione. Di azzerare le mie certezze.
Il lavoro l’ho fatto, spero veda presto la luce.
Non dipende più da me. Come sempre accade una volta consegnato… poi vedremo cosa eventualmente ne consegue, perché per me rappresenta un bel cambio.
Se guardandosi attorno non ci si riconosce neanche un pochino, forse è il caso di guardare altrove. Non è facile… è come ricominciare.
Ma visto che ultimamente provo soddisfazione quasi unicamente a ritrarre boschi o gatti e solo ogni tanto a ritrarre persone, celebrità per dirla bene (il termine celebrity lo trovo vecchio e presuntuoso, anche se l’ho usato in passato), vediamo se riesco a disintossicarmi un po’. 
E questo servizio che pubblico, per Grazia Casa di dicembre, numero natalizio, è esattamente in questa direzione.
Quattro grandi chef: Enrico Cerea, Carlo Cracco, Robero Okabe, Marco Bianchi… in ordine di pubblicazione.
Tutto molto molto semplice, luce inclusa (ma del resto io uso sempre una luce semplice). Li ho spezzati in due, proprio due scatti diversi. Una roba che ogni tanto mi concedo. E che la redazione ha accettato.
Un vezzo punk in tanto bianco.

 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Assistente fotografia Giulia Diegoli
Fotocamera Hasselblad H3D II-39 con 50/3,5.
Luce, Flash Elinchrom.

49 thoughts on “Semplice e basta.

  1. “Li ho spezzati in due, proprio due scatti diversi. Una roba che ogni tanto mi concedo…… Un vezzo punk….”
    Bè, tanto vezzo non direi, è una soluzione strumentale allo scopo, la spezzatura dell’immagine, assieme al salto della scala dimensionale, porta in primo piano il piatto, asseconda l’idea che il cuoco avvicini agli occhi dell’osservatore la sua opera mettendola in primo piano. per questo motivo la vediamo più grande.
    Scusa, è una lettura banale?

    • per niente banale vilma. nello specifico anzi è la lettura. solo che sono anni che spezzo in due. talvolta in tre, quattro… ma questo vale più per gruppi o panorami (mi piacciono i panorami… anche i fiorellini).
      in due dicevo, ho spezzato un sacco di persone. e in quel caso non era un escamotage meramente strumentale. qui sì, anche.

      • ‘escamotage meramente strumentale’ è una definizione riduttiva che secondo me non dovresti usare mai, tutte le scelte concorrono a definire un senso, nessuna in sé stessa e tutte in sinergia, per un risultato (gestaltico) diverso dalla somma delle singole scelte. non credi?

        • ma no vilma… è che a volte esagero volutamente con le tinte. però dicevo appunto che NON era…
          infatti concordo. o forse ho capito male?

          • hai capito benissimo, come sempre. in realtà sei una persona che va sempre in profondità, quindi è facile addentarsi anche al di là delle intenzioni in puntualizzazioni forse superflue.

            • curioso il mio lapsus, ho scritto addentarsi anziché addentrarsi, freud ci scriverebbe una pagina, ma ti assicuro, nessuna aggressività nascosta, però oggi sono particolarmente arrabbiata per motivi personali che ovviamente esulano da questo blog….
              un transfert?

            • a d d e n t a m e n t o in un blog! facile per giunta!! roba quasi da bruno vespa… già vedo le poltroncine che fremono.

  2. Da qualche giorno penso e ripenso a cosa posso scrivere su questo articolo. Non sono giunto ad una conclusione perché, semplicemente, occorrerebbe una riflessione ampia, di mesi e mesi, su cos’è la società, l’uomo, la massa, la cultura, l’editoria, tutto. Nella storia, mai come oggi, un quantitativo di immagini e video sono stati presenti e fruibili da tutti. Questo da una parte è un bene, perchè tutti possono dire la loro attraverso il mezzo che preferiscono. Questo, allo stesso tempo, è un male, perché si sono persi (se mai ci sono stati) alcuni elementi necessari: saper ascoltare, osservare. Senza andare a toccare argomenti belli tosti come tutta quella produzione editoriale che serve solo a far sognare alle persone la “bella vita”. L’editoria, anche quella più seria, che ha sempre cercato di raccontare, non ha forse dato il giusto peso al suo compito, non ha saputo dare valore a quanto prodotto. Il risultato è che le riviste sono sempre più sciatte e noiose, con “nuovi” fotografi e “nuove” fotografie che, magari, sono pure nuove negli effetti, ma hanno un difetto terribile. Non raccontano il nuovo che oggi c’è nel mondo. Cosa significa questo? significa che “tutto è stato fotografato”, tutto è stato “girato”, tutto è stato “scritto” , tutto è stato “ideato” è una stronzata pazzesca. La realtà cambia, ogni giorno, nel bene e nel male, e questo andrebbe raccontato. Lasciandosi trasportare emotivamente da questo, ragionando su questo, ritraendo questo. Il che non significa, come molti pensano, che la fotografia dev’essere dunque “pura”, senza effetti di sorta (che poi non lo è mai stata) per raccontare la realtà (la realtà è mai stata in B/N?). Significa che oggi c’è qualcosa di diverso da quel che c’era ieri e occorrerebbe raccontarlo in un qualche modo, ognuno seconda la propria sensibilità. Invece no, il nuovo è concepito come qualcosa di iper ricercato, spesso insignificante ma d’impatto estetico, che magari per un nano secondo ti fa dire: figata questi colori. Ma niente di più. Non rimane nulla delle tonnellate dei pixel vengono usati. Dei giornali vuoti non possono pretendere oggi di vendere, e neanche di ricavarne seriamente qualcosa on line, visto che non hanno un vero valore aggiunto. Tante foto presenti nei giornali non sono migliori da quelle dei fotografi della domenica. Così come molti articoli non sono poi meglio degli status che si trovano sui social. Un ritorno alla semplicità? è una strada come un’altra, se è ciò che si sente. Questo si, questo è qualcosa che manca, respirare un attimo di più, cercare di capire ciò che si sente, agire di conseguenza.

    • verissimo roberto… pensare che tutto sia stato fatto è solo una giustificazione per non fare.
      non credo però esistano giornali, o magazine, più deputati di altri a essere fatti bene… se si va a sfogliare la “vecchia” editoria si scopre che anche quella leggera era onesta. credo che ci siano ancora dei margini. non è facile. essere semplici non credo sia una strada equivalente a altre… è la più complessa (non complicata, complessa) ma l’unica percorribile. dal mio punto di vista che è assolutamente discutibile ovviamente. questo è per me quello che tu chiami agire di conseguenza. al gran casino, alla confusione, la risposta credo sia “sottrazione”. non so se mi son spiegato…

      • Mi son espresso male, non intendevo dire che ci sono giornali che sono più deputati di altri, ma che pure quelli che, per antonomasia, puntano ad un livello “maggiore”, stanno proponendo poco o nulla. Riguardo la semplicità: be, anche io la prediligo, in un certo senso. Ma è pur sempre il mio (e il tuo) modo di vedere le cose. Mi chiedo quanti di quelli che perseguono la “ricercatezza” ad ogni costo, abbiano nel dna quel modo di vedere le cose. Perché spesso sa tutto di innaturale.

        • chiarissimo roberto… poco o nulla… sarebbe meglio nulla, mi vien da dire. magari ci si accorgerebbe di cosa c’è bisogno. come necessità essenziale del linguaggio intendo. che è un fatto modulabile, ma comunque un fatto e non un tentativo via l’altro. e hai ragione, dovrebbero essere quelli che presumibilmente sarebbero di taglio alto. qui tutto ‘sto condizionale è d’obbligo…
          certo che è il tuo e il mio punto di vista, e magari anche quello di qualcun’altro, la semplicità: e per questo bisogno insistere. cercando di essere coerenti.
          ma che poi, la differnza tra chi pastrocchia e chi no, si vede!

      • Less is more, diceva Mies, per un risultato che non sia povero, ma essenziale. L’arte contemporanea si è interrogata molto su questa breve frase, alla ricerca di una forma espressiva che non produca (più o solo) godimento estetico, ma miri ad avviare nell’osservatore un processo di riflessione sull’identità iconografica dell’immagine, sui suoi rapporti con la realtà e con il sistema del contesto nel quale si colloca. La fotografia, come è logico e inevitabile, si muove sugli stessi sentieri e perché non diventi una obsoleta testimonianza del già detto e del già visto due minuti dopo lo scatto, bisogna, come dice Roberto, che riesca a raccontare non la realtà, ma il mutamento della realtà nel momento in cui avviene. Anche questa è un’aspirazione che l’arte contemporanea ha già rincorso (hai presente Pollock?), sconfinando nel concettualismo dove l’immagine coincide con l’analisi di un linguaggio non più intuitivo, attraverso il quale comunicare un concetto, al di fuori di ogni referenzialismo. La forma di riferimento non ha più significato, e come nel viaggio che non ricordi, dove oggetti, forme, cose e persone sono irriconoscibili nella sfocatura a cui le sottopone la memoria, strumento ingannevole e imperfetto, quello che conta è viaggiare, qualunque sia la meta, anche in assenza di ogni meta. La voglia di sottrarre particolari alla riconoscibilità del soggetto coincide con quella di astrarre solo ciò che conta davvero (come fa l’astrattismo pittorico), ma non sono affatto convinta che ciò significhi un ritorno alla semplicità, semmai il contrario.

        • chiarissimo… la semplicità però che intendo è pregnissima. e poco concettuale in realtà. anzi credo che sia opportuno in questo momento allontanarsi da certo concettuale.
          solo la mia opinione vilma.

          • semplicità poco o niente concettuale, il concettuale è morto (o si è suicidato) perdendosi nelle elucubrazioni di un percorso sfociato nel nichilismo.
            ma fortemente ‘astrattiva’, questo sì, che può fare a meno del tutto ma che non vive senza quel poco di esseziale.
            che ognuno può scovare dove vuole, “God is in the details”, tanto per citare ancora Mies.

            • infatti! il concettuale che apprezzavo non si specchiava. all’infinito. pena come dici il suicidio. se se ne fossero accorti, perché c’è chi invece insiste… contento lui. io sul quel poco di essenziale che dici mi ci aggrappo appena posso… lì mi alimento. ergo, concordo.
              insomma continuo a concordare… non mi riconosco più :)

            • Vilma, io per poco non mettevo alcun commento all’articolo, perché mi pare che spesso le parole in rete siano inutili. Il tuo argomentare mi ha convinto del contrario e lo sottoscrivo in quasi la sua totalità….

            • Roberto, ti ringrazio per essere quasi totalmente d’accordo, in particolare mi piace quel ‘quasi’, una promessa di dialogo. Guai ad essere tutti d’accordo, si può discutere su ogni argomento, fortunatamente siamo tutti diversi!

  3. Caro Efrem,

    si bene che la penso come te in tutto e per tutto.
    Pubblicità, non pubblicità. Idee nuove o non nuove.
    Sembra che la carta stampata non funzioni più, tranne per noi appassionati del vecchio. Non so più quale possa essere la soluzione, forse non dovrei neanche spongermi troppo, visto che campo grazie all’editoria (campo appunto), ma da come la vedo io, da quel che vivo io, ti posso dire che niente cambierà se non ci sarà fiducia nella sperimentazione. Che non è PHOTOSHOP.
    Osare, dovrebbe essere il termine magico.
    Ma come sai io sono una sottoposta, anzi un progetto (co.co.pro forever).
    Ormai eseguo ordini, sono un computer la cui creatività è stata abbondantemente privata almeno per otto ore al giorno. Photoeditor? direi che ormai è solo sulla carta (colophon) e in rete (sul mio blog). Di fatto non è così.
    Perchè? la colpa la do agli editori. Ma per elencare le loro colpe perderei la giornata di sabato. E aihmè mi aspettano le pulizie domestiche.

    Una cosa è certa: ho ancora un vecchio numero dell’Internazionale. Dove a parlare era il Direttore del Guardian (il loro sito è il migliore, a mio avviso, fra quelli del settore della stampa), ho inenzione di rileggere bene l’articolo.
    Perché se riescono loro possono riuscirci tutti.

    Il resto è menzogna.

    • questa carta stampata non funziona più, sara emma. e non funzionerebbe neanche sul web… risparmierebbero dei costi, punto. ma il vuoto non cambia.
      e poi tutto relativo a mags e libri neri. perché per i libri illustrati il discorso cambia. e la carta non ha alternativa al momento.
      profumo di inchiostro incluso.
      le colpe… sono da suddividere credo. certo a percentuali diverse. ma nessuno può ritenersi innocente.
      so chi sono i meno colpevoli (solo meno, mica assolvibili)… i fotografi.
      comunque sia io, nel mio angolo, voto per il ripristino della centralità della fotografia prodotta. sai quanta postproduzione c’è nelle immagini qui pubblicate: circa un quarto d’ora a testa.

      e se hai piacere e guardi il video “appunti per un viaggio che non ricordo”, articolo sopra, la post è zero.

  4. ho comprato la rivista. Lo dico non per piaggeria, credimi, le tue pagine erano le migliori: pulite, “leggibili”, godibili. Con il tempo e lo spazio per far circolare sguardo e pensieri.
    Purtroppo il resto l’ho trovato molto caotico, un voler mettere insieme troppe cose in dimensioni troppo piccole, cose anche molto interessanti (es. l’articolo su Arabeschi di latte), ma che alla fine viste così mi hanno lasciato un senso di caos. Non c’è racconto, se non in quei ritratti a tutta pagina.
    Dal mio punto di vista ovviamente, di consumatrice di riviste da lungo tempo.

    • secondo me, incrociando le dita e qualsiasi cosa possibile, qualcuno sta pensando di cambiare. processo lento… spero con qualche sussulto positivo.
      giusto anche per rimettere a posto le posizioni. anche fiscali

  5. Mi piace sempre molto vedere e leggere quello che pubblichi.
    Mi piace vedere che esiste ancora uno spazio per la fotografia vera, senza effetti speciali usati per coprire il nulla, e che ci sia gente che l’apprezza.
    Condivido ogni parola di questo tuo post. Personalmente trovo affascinante la reazione di molti magazine a una fase obiettivamente difficile: calano le copie vendute, calano gli inserzionisti, quindi si riducono i costi sacrificando i contenuti e limitandosi a pubblicare copie di copie di copie, sempre più sbiadite, di qualcosa che una volta, da qualche parte, ha (forse) funzionato, in un loop la cui fine mi pare piuttosto chiara.
    Così si punta al web come salvagente. Ma invece di considerarlo un’opportunità per sperimentare, lo si usa come un modo per guadagnare qualcosa a costo zero, reiterando lo stesso meccanismo, peggiorato dalla facilità con cui è possibile recuperare contenuti che una volta, da qualche parte, hanno funzionato.
    Eppure, proprio per la situazione attuale, puntare su contenuti originali non costerebbe più di quanto già si spende e darebbe almeno una speranza di rompere questo circolo.
    Quindi grazie a te per dimostrare che c’e’ qualcuno che lo capisce e ci sta provando: è un grande incoraggiamento.

    • quando la situazione sembra irrimediabilmente compromessa credo si debba evitare di fissarsi sulle scelte tampone. che non tamponano niente.
      l’impressione, la mia almeno, è che la fotografia venga sempre più usata come illustrazione. un po’ come in certe case si acquista il pezzo d’arredo non importa quale. purché grande e colorato. che poi si può anche sostituire volendo. come nei magazine si fa con le foto-illustrazioni. le non fotografie
      eppure è vero: fare le cose bene costa meno! solo che ci vogliono persone in grado di farlo. ci sono? e se sì, dove sono?

  6. un modo conforme a un altro contenitore che è youtube. fatto al volo tra l’altro…
    che tu sia contenta invece mi fa molto piacere diletta, guarda!

  7. Caro Efrem da lettore e appassionato di fotografia condivido completamente ciò che hai scritto. E sul perché di questa situazione si potrebbe parlare per ore: fine dell’era della carta stampata, mancanza di pubblicità, interessi più grandi, strapotere dei mercati, ecc. ecc. ecc. Tutto vero, ma è anche vero che oggi se ha un’idea alla fine riesci a veicolarla: questo blog ne è un esempio, ed è per questo che lo apprezzo e lo frequento. Ma purtroppo non trovo molti altri spazi come questo (magari anche per mia ignoranza o disattenzione). Allora mi chiedo: non è che mancano le idee? non è che chi dovrebbe tirare sù il livello non è in grado di farlo? Non credo che tutto sia stato fatto e sperimentato: anzi viviamo in un mondo nuovo che aspetta solo di essere compreso, interpretato e raccontato.

    • ti ringrazio giancarlo per la tua manifestazione di stima. ma ci sono altri spazi… questo, vero, nasce con un intento un po’ diverso.
      e concordo sul fatto che non è vero che sia stato già fatto tutto. il linguaggio non è statico!

  8. Adoro Marco Bianchi! Non capisco bene cosa c’entri con gli altri tre, che sono dei grandi premetto ma Marco Bianchi non è solo uno chef: è uno studioso del cibo, è vegano e dimostra come poi con l’arte della cucina si possa comunque allietare il palato.
    Ma tu spezzi in due a caso?

    • non esattamente vegano valeria… che io sappia è vegetariano. usa alcuni formaggi e anche il pesce talvolta. almeno credo…
      vero che non è solo un chef, ma un ricercatore.

      forse sì, spezzo a caso… un po’ random: a chi tocca tocca ;)

      • Tanto mi piace il design e anche la fotografia tanto non capisco questa nuova mania della cucina! Forse perché al cibo non do tanta importanza e i cuochi non mi sono simpatici. Ecco perché mi piace che tu li abbia “spezzati”:)))
        Vero come dice Valeria: tu spezzi un po’ spesso!

  9. oh che bello, quanto perle in questo discorso!!! che si fottano con la foliazione :D

    no vabeh, mi son fatta prendere da questo entusiasmo rivoluzionario e poco politicamente corretto!

    • mai stato politicamente corretto… lo sai giulia. questo perbenismo ipocrita che distrugge intelligenza e lavoro… generalmente di altri.
      rivoluzionario? ma va’! a paris photo ormai gli occhi erano solo per lavori datati. ultra datati in certi casi.o comunque a loro riferenti.
      solo che in molti magazine non sanno neanche di cosa si sta parlando…
      un giorno ti dirò dei miei test sulle polaroid… sul mostrarle.

          • annunciazione! e anticipazione: un anno fa circa fui convocato (è il termine giusto) da un importante art director statunitense (oh, americano!) di una molto molto importante casa editrice. chiaro che ci vado.
            carico un video, questo http://www.youtube.com/watch?v=IzHUnw26fXA perché è di percorsi polaroid che voglio parlargli. bene, lancio il video, se lo guarda tre volte, zitto. alla fine approva (evito i soliti commenti enfatici) ma per come parla capisco perfettamente che crede siano recentissime, dell’altro ieri al massimo. ho evitato di dire come stavano esattamente le cose. questo dà un idea credo.

            • Se non ho capito male, e’ circa il mio pensiero scritto sotto riguardo le lomo…

            • ma questo video è una bomba!! ma dev’essere proiettato in triennale, o in qualche spazio del genere!!! questa è arte, fanculo la foliazione!

  10. una domanda sorge spontanea, qual’è la cover che ti ha fatto cortocircuitare? e la seconda viene di seguito, non ho capito la frase “Ma è possibile arrivare a utilizzare software davvero fantastici e utili nell’unica versione aberrante?”
    Mentre concordo con l’idea che il web ha rovinato un po’ i giochi alle riviste, onestamente cosa me ne frega di comprare la tal rivista piena di pubblicità per approfondire un argomento di cui so praticamente tutto se non direttamente da google, addirittura da facebook (a meno che la rivista non mi proponga davvero dei contenuti interessanti che non trovo altrove)? Lo stesso dicasi però per il web, si parla di web 2.0, 3.0, tutta roba molto figa da programmare e che riempe la bocca, ma i contenuti? Per finire con le aziende dove è passata l’idea di fare pubblicità a gratis su internet, o comunque spendendo poco, per fare il sito, per fare i contenuti, foto e testi.
    Oggi son finite le riviste che fanno davvero tendenza, ricordo quando avevo 20 anni, quindi circa 20 anni fa, si comprava la tal rivista per leggere roba interessante e guardare foto davvero fighe, oggi le foto davvero fighe son considerate quelle fatte con ifone o la lomo, un po’ effettate ma molto trendy, molto hipster, visto che pare di capire sia la moda di oggi…

    • non so perché ma immaginavo che qualcuno mi avrebbe chiesto della cover… è una in particolare. ma se peschi nel mucchio vai quasi sul sicuro. sono poche quelle che mi fanno soffermare. positivamente intendo.
      c’è grande paura nell’editoria periodica. che mi sembra annebbiare le menti. non a caso le riviste di cui tu, stefano, parli, quelle di un tot di tempo fa, si facevano molto diversamente.
      e questo ci porta al software: gli strumenti che ps mette a disposizione sono davvero tanti. e puoi inventarti di tutto. solo che prima di muoverli, sono fermi! sono cioè inermi. e neutri nel momento in cui li attivi.
      quindi il problema in questo caso non è COSA attivi, ma COME. la corsa all’irreale ha raggiunto il paradosso. che non è più digeribile. pena la morte. cioè ciò che sta accadendo.
      la lomo? ma se non sanno neanche di che cazzo si sta parlando! tra applicazioni e giocattoli c’è da perdersi. e c’è chi si perde. convinto di essere finalmente davvero creativo.
      creatività… ma che diavolo significa??

      • Spero di non andare troppo fuori tema, però anche la macchina fotografica è ferma e inerme, fino a quando non la porti in un luogo, la accendi e premi il fatidico bottoncino…
        E’ verissimo, però che pochi strumenti danno più lavoro all’immaginazione, mentre oggi ci sono centinaia di possibilità con il software, per ricreare nuove realtà (volendo si può sconfinare nella realtà virtuale), però nella mia misera esperienza fotografica ho notato che i software tendono ad esagerare, le ultime versioni di ps hanno il 3D, una roba che è fuori da ogni logica per la fotografia. A dirla tutta, a mio avviso, dalla versione 3 in avanti hanno solamente aggiunto accesori poco utili.
        La lomo, come tutto quello che ci sta attorno, è sicuramente un ottimo esempio di quello che non dovrebbe essere la fotografia, tre anni fa quando è nata in me la passione per la fotografia non esistevano praticamente più le macchine a pellicola, lomo a parte e avrei voluto iniziare a fotografare a pellicola, per tutta una serie di motivi, per fortuna (inteso proprio come culo…) ho avuto la longimiranza di non farmi tentare da queste macchinette, anche perchè, in due minuti, col digitale, ottieni gli stessi risultati.
        Come è vero, ricollegandomi a quando avete scritto tu e Giulia, che la fotografia è a un punto particolare della sua storia, ora non so se aveva ragione Ando Gilardi quando diceva che con il digitale la fotografia è a una svolta, quello che ho capito però, è che è già stato tutto fotografato, è già stato sperimentato tutto, di conseguenza è molto facile incorrere nel già visto. Le “due” volte che ho avuto l’idea del secolo, ho fatto un giretto su internet ed ho scoperto che l’avevano già avuta altri e così mi son messo a studiare, con il risultato che probabilmente oggi è la semplicità, forse, l’unica strada da percorrere. Come giustamente insegni tu…

        • giusto stefano, anche la fotocamera è inerme. e hai ragione… il concetto è lo stesso. solo che senza i famosi software molte non solo sarebbero mute, ma proprio non ci sarebbero. e se non altro il danno sarebbe limitato.

  11. Ciao Efrem,
    non credo basti dire basta: io mi sono fermato. La cultura è piombata a picco e l’estetica l’ha seguita. Tu sei più bravo e probabilmente più fortunato che riesci ad avere la forza di affrontare tutto questo, io sinceramente mi sono stancato di dover giocare a battaglia navale con gli f-24, per poi dover lesinare i pagamenti da un mondo in crisi d’isteria collettiva, nel declino della nostra società.
    Belloschifo e Pezzodimerda hanno preso il sopravvento, e finché gli reggeranno il palco saranno loro a dettare legge. Essere semplici è la cosa più difficile, da sempre: perchè hai usato due luci? Non ne bastava una con un pannello?
    Tornerò quando avrò finito di scherzare.
    Ciao!

    f.

    • ciao fabiano, capisco bene lo sconforto. e l’immagine della tua battaglia navale rende eccome. se vogliamo è anche peggio: gli aerei sono invisibili.
      certi errori riguardano i magazine, ma altri riguardano i fotografi. che hanno assecondato il declino. sperando di non esserne coinvolti: sbagliato!
      è difficile ma non so quale altra strada si possa percorrere se non quella della coerenza espressiva. pensando che il linguaggio resta comunque il motivo per cui abbiamo tutti iniziato a fotografare. e il resto si fotta (che è esattamente ciò che sta accadendo).

      i punti luce sono due, distribuiti su quattro torce, in questo modo avevo una luce più omogenea. ed essendo in bianco, più alta proprio in zona fondo.
      tieni conto anche che non si tratta di una fotografia tagliata in post, ma proprio di due scatti separati e montati poi in un’unica immagine.
      quindi cera da tenere conto anche dello sviluppo verticale della luce.
      ma certamente anche l’ipotesi del pannello riflesso è una soluzione. con un esito ampiamente positivo.
      però sono uno sprecone :)

      • Ciao Efrem,
        concordo sulle colpe dei fotografi, o presunti tali, anche se basta avere una macchina professionale per esserlo ora, e leccare un paio di culi. Purtroppo quello che vedo non è più il bisogno di dire qualcosa, solo usare gli strumenti (inclusi i soggetti) per dire sempre la stessa cosa: autopormozione o quant’altro, che bravo, che sensibile, che esteta/artista che sono etc. Trovo l’eco di molti ormai insopportabile, come fosse l’unica cosa da dire, in salsa photoshop. Chi finisce il mantra cerca la ribalta provocando, in maniera più o meno puerile, o tacendo: chissà quali cose avrà da dire dalla sua torre di carta. In questo teatrino pochi hanno il coraggio di fermarsi e di riconoscere il vuoto nelle loro foto. O forse non hanno paura del vuoto perchè ne sono parte. E questo è il problema: il nulla avanza Atreyu, anche nei giornali.
        Bella luce, la planeità in altezza ce l’hai così o con una gabbia di pannelli! Una volta un mio assistente smontando il set mi ha detto che non aveva mai visto nulla di simile: una luce…e sedici stativi con pannelli/pannellini.
        Una luce: è semplice! :D

        • ciao fabiano,
          eh… la salsa photoshop è fortemente indigesta. perché è quasi tutta melassa mediatica. comunque tra chi urla o sbatte un enorme strass al centro (che di pezzettini, dico pezzettini di diamante neanche l’ombra) e chi tace io preferisco chi tace. mi viene in mente moretti in “ecce bombo”… ma mi si nota di più se vengo o non vengo?
          però io vedo ogni tanto cose davvero interessanti, soprattutto di ragazzi. e quelle poche lo sono molto. come dire… la specie umana mi fa schifo, ma qualche esemplare merita sostegno.
          urca, 16 stativi?! mi piace! come chiudere in gabbia… mi piace.

          • Ciao Efrem,
            dai, anche se abbiamo delle appendici strane dotate di dita, peli, o forme poco aerodinamiche, direi che nella specie umana c’è qualche opera d’arte! Non buttiamo tutto! :) Poi se vogliamo vedere nella scatola cranica, oggi, ci basta un’ipstagram (con o senza aposotrofo?). Una gabbia piena di riflessi, se poi ci attacchi la corrente succede un botto! Hahaha!

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