Il nome della foto…

 

Tornando a casa,
troverete tante fotografie.
Date loro tutto l’amore di cui disponete, anche una carezza è opportuna…
Ma non un titolo.
Di quelli belli fantasiosi e involontariamente comici.
Una notte insonne – una settimana – un mese – una vita a spremersi il cranio et voilà, il titolo é…
Suggestioni vegetali magari non è il caso se è una pianta, chessò, un platano.
Se è un paracarro, anche se di lamiera e ammaccato, Sbandamenti non è il caso.
Ma non sarebbe meglio limitare il danno a ciò che si vede?
Sono le nostre fotografie, le nostre opere? a implorarlo.
E anche noi.

Siccome non ho né cranio né cranio… io faccio in fretta: creo una serie e poi numero in ordine progressivo + anno:

ORIZZONTALE UNO, by Efrem Raimondi

    Orizzontale UNO, 2006

Oppure l’oggetto del contendere e il numero di scansione o di file originario + anno:

Fiori, by Efrem Raimondi

                 Fiori_238, 2012

Se un ritratto, il nome del soggetto + anno:

PHILIPPE STARCK by Efrem Raimondi

                 Philippe Starck, 1996

Per le fuori serie faccio un’eccezione, ma sto sempre lì:

Sconosciuta by Efrem Raimondi

    Sconosciuta, 2014

Poi ognuno faccia come gli pare.

Breve campionario di ciò che si trova:
Riflessi Pietrificati – Riparliamone – Quiescenza Integrata – Incursioni rurali – Velleità – Ripieni nel vuoto – Stratosferica romantica – Sprovveduto – MelaDai – TelaDo – Sembianze d’autunno – Essere altrove – Prove liberatorie – Forever smiles –
Qui – Là – Su – Giù – Provvedimenti – Pressappoco – Tentazioni infingarde – Visioni preventive – Sospetto – So’ stretto – The sound of their breath fades with the Light –
Salti introspettivi – Introspezione – Livore – Impianto accusatorio – Saremo – Sarò – Sarai… Il resto mettetelo voi.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Condividi/Share

35 thoughts on “Il nome della foto…

  1. Alla fine non ho resistito a questo articolo, sono diversi giorni che ci giro intorno e ora ecco quello che penso:
    amo l’arte in tutte le sue forme e spesso giro per mostre, mi diverte guardare e ascoltare le persone di fronte alle opere. I commenti, la gestualità, il loro sapere o non sapere sull’opera in questione, il loro guardare…. si guardare e troppo spesso in modo superficiale. Di fronte ad un’opera restano pochissimi minuti, hanno letto prima qualcosa sull’autore o girano con odiose audio guide ronzanti che dicono cosa guardare dando qualche riferimento storico e iconografico ma c’è una cosa che fanno tutti o quasi: leggere il titolo. Magari l’opera la sfiorano appena con lo sguardo ma il titolo lo sanno di sicuro e io mi chiedo a cosa serve?
    Nel passato il titolo all’opera incasellava essa in un iconologia e iconografia ben precisa, oggi nell’arte contemporanea non vedo questa necessità. Un tempo le opere erano quasi esclusivamente nelle chiese o nelle grandi e ricche dimore dei Signori, oggi chi va per mostre ci va per interesse personale o per moda. Nel secondo caso non mi esprimo ma se una persona va a vedere una mostra per interesse dovrebbe esser predisposta all’osservazione dell’opera, al soffermarsi a vedere ciò che ha di fronte e non limitarsi a leggere il titolo. Nell’arte contemporanea a volte è molto difficile “capire” le opere se non si conosce l’autore ma comunque sia possono rimandare delle emozioni e osservarle lascia comunque la mente imbrigliata dentro esse, il titolo da una direzione, indica qualcosa e in qualche modo obbliga a pensare a ciò che “racconta”, perchè non lasciare che il fruitore sia libero nell’interpretazione? Duchamp diceva che ogni interpretazione dell’opera è giusta perchè ognuno ha un suo vedere, un proprio bagaglio culturale, una propria conoscenza e allora facciamolo lo sforzo di osservare senza condizioni ciò che andiamo a vedere e sentiamoci liberi di dare mentalmente un titolo senza che l’autore dia il suo. Più che il titolo serve conoscere l’intera opera dell’autore o parte di essa, conoscere il suo pensiero a riguardo del suo operato, cercare di capire i suoi percorsi artistici attraverso ciò che dice o lascia scritto….. ma il titolo lasciamolo bianco, un cartellino bianco in cui ognuno di noi mette il suo dopo aver visto, osservato l’opera. Nelle foto che hai messo qui hai messo un “titolo”, quello della serie se ho ben capito, ma già quello mi da indicazioni. Io vedo la foto osservando luce, composizione, cromie, ecc da una mia lettura estetica e imparando pian piano a conoscere il tuo lavoro, conversando qui con te, leggendo di te, arrivo ad avere un quadro più completo ma resta il fatto che darò sempre una mia interpretazione dettata dalle conoscenze che ho acquisito senza leggere il titolo e scrivo questo dopo esser caduta sempre nell’errore di mettere un titolo a ciò che facevo mentre girando per musei il titolo non lo leggevo.
    Grazie Efrem per le belle foto.

  2. mah, a me la questione pare – sarò banale – di una semplicità disarmante.
    Tanti titoli danneggiano la fotografia , nel senso che cercano di rafforzare ciò che non ha spessore, o peggio ancora l’ammazzano, togliendole anche quel minimo di ambiguità e/o di poesia che potevano sprigionare.
    Ciò non toglie che a volte il titolo (ma anche la didascalia, o addirittura la spiegazione) siano il giusto complemento dell’immagine. In tal caso non va considerata l’opera più il titolo, come se fosse un allegato, ma va valutato l’insieme, così come è presentato.
    Alla fine si tratta di distinguere ciò che stride da ciò che vibra.

  3. Davide, citi esempi di opere pittoriche, forse la fotografia, che elimina il concetto di unicità sostituendolo con quello di riproducibilità (con tutto quello che si tira dietro, l’aura, benjamin e quant’altro) per sua stessa natura non esige che la ‘rosa’ abbia anche un nome.
    Questo concetto è alla base dell’inflazionato “senza titolo” o “untitled” che molti pittori moderni, specie dell’espressionismo astratto, utilizzano per i loro quadri, una provocazione per dire che un’immagine non ha bisogno di alcun titolo, è autosufficiente.

  4. Riflessione azzeccatissima. Credo che molti “fotografi” hanno più fantasia come scrittori che come fotografi. Ma il bello, oggi, sta proprio in questo, lo stupore io lo provo più a leggere il titolo che a vedere lo scatto.

  5. Non so se il titolo fu dato da che eseguì l’opera o successivamente.
    Ma se uno nomina I girasoli,Les demoiselles d’Avignon,o Gli iris immediatamente si associa il quadro. Si certo qualcuno si spinge un po’ oltre.
    La busta di plastica era una battuta.

    • Davide – il fatto è che un pensionato in quanto pensionato difficilmente lo impacchetteri nel pluriball. mentre starck…
      vero, se dici les demoiselles d’avignon pensi a una sola roba. ed è un’opera. se invece non citi preventivamente van gogh, ciao tutti fiori.
      però tu non cambiarmi il titolo nel giro di mezza giornata… che già faccio fatica a memorizzare, figuarati a ri-memorizzare

  6. Mi piace questa citazione che rimanda alle dolci parole di Papa Giovanni XXIII, in fondo ogni fotografia potrebbe essere, perchè no, un nostro pargolo cui dedicare le giuste attenzioni e carezze. Esilarante la serie di titoli che hai scovato (a me piace molto adottare dei titoli, ho una certa attitudine, ma credo tu abbia ragione nel contestare questa pratica).

  7. Siamo solo “piccoli cosi” che tentano di mostrarsi grandi … e ci si sbaglia sempre in ciò …. però …. Tentazioni infingarde devo vederla …..

  8. Temevo una mia citazione….. La lezione di Sergio Magni su questo e’ stata sempre molto istruttiva è netta: luogo è anno.

    • Pietro – luogo e anno. modulando anche soggetto e anno. solo che: se ne stampi/pubblichi/esponi/ più di una dello stesso soggetto nello stesso anno?

  9. “stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus (“la rosa, che era, [ora] esiste solo nel nome, noi possediamo soltanto nudi nomi”), almeno così era nel XII secolo.
    E se togliamo anche quelli, cosa resta della rosa?
    Fortunatamente, da che è stata inventata la fotografia, la rosa continua ad esistere nella sua immagine, che non ha bisogno di parole.
    Non dobbiamo chiederci se è possibile spiegarla, ma se è necessario.
    Dopo di che, “ognuno faccia come gli pare”.

  10. “limitare il danno a cio che si vede”…..non riesco a fermare il sogghigno. Ci sono anche gli insicuri, quelli che avrebbero messo titoli tipo, vecchi difronte al lago, fiori ,alcuni vivi altri no, testa rossa di spalle e cosi via….fa bene leggerti.

    • Claudio – inizialmente anch’io l’avevo denominata testa rossa – e basta. e secondo me ci stava. poco dannoso. poi però ho pensato… non si vede, non so chi sia…

  11. Chissà forse si pensa che il titolo sia taumaturgico dell’ansia da prestazione che assilla tutti coloro che producono fotografie (o che almeno ci provano!).Forse si teme che a lasciar parlare la foto emergano ingovernabili profili di inconsistenza .

  12. Devo dire la verità, ho smesso. Si i titoli sono l’oppio dei foto amatori. Tuttavia l’insicurezza di una cattiva interpretazione da parte di chi osserva, il bisogno di dare importanza al gesto e spessore all’immagine, porta a non classificarle semplicemente ma a dargli un “nome”. Ho smesso perché, dopo un po’ mi sono annoiato della cosa, tuttavia non posso negare che fosse estremamente divertente anche se autoreferenziale.

    • Donato – ed è esattamente questo il fatto: il nome no può essere autoreferenziale. più che a te serve agli altri per collegare te a un’opera. o semplicemente l’opera. qualsiasi essa sia.

  13. A noi poveri mortali che fotografiamo per diletto acconsenti di aggiungere un titolo spesso del cavolo , ci fa sembrare le foto più belle.
    Personalmente riesco a trovarle più velocemente , anche sul lavoro trovo i documenti in base ad un nome con cui l’ho archiviato piuttosto che uno sterile numero d’ordine.
    Per me Philip Stark (se fosse un anonimo pensionato )sarebbe “la busta della spesa”.
    Solo così potrei trovarlo in archivio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *