Al di là di tutte le considerazioni numeriche (molto confortanti) o economiche (l’industrial design soffre come tutti in questo dannato paese senza testa), il Salone Internazionale del Mobile è sempre un grande happening.
E Milano respira.
Io invece una settimana in apnea: dalle 7 alle 5, entrambe AM.
Tralascio il dettaglio e vado al triangolo: Facebook, Twitter, Sito.
Tutto taggato Interni magazine. Da qui si estrapolerà, forse, anche un cartaceo. Data e numero da destinarsi. Che non sarebbe male… giusto per arrivare al quadrato.
A spasso con l’iPhone… non tutto ha funzionato alla perfezione, in ambito Twitter essenzialmente. Mea culpa… frequento da poco e alcuni fondamentali mi mancano.
Per fortuna soccorso dall’ufficio di competenza della Mondadori.
Una prima assoluta in un ambito di questo livello. E assolutamente perfettibile.
Intanto sarebbe opportuno essere in due: io all’icona e l’altro al media. Altrimenti si perde l’attualità, che se per FB e il sito non è poi così importante, per TWT sì. E forse è questa mia scarsa attitudine all’attualità, indifferenza quasi, che me lo rende ostico.
Va be’, semmai se ne riparla alla prossima edizione.
La mira però era iconografica. Che confluiva nell’album appositamente ideato per la pagina Facebook, Interni Photo Diaries. Condiviso con Anastasiia Prybelska.
La premessa che mi riguardava era molto semplice: usare un mezzo elementare come l’iPhone per realizzare delle immagini che fossero fotografie… indiscutibilmente prodotto di uno sguardo che trova nel linguaggio la sua forma. La sua cifra. Applicata all’ambito social.
Non un report di istantanee, più o meno simpatiche, dei luoghi in cronologico parossismo. Perché il rischio del Fuorisalone è quello di rimbalzare qui e là come la biglia di un flipper.
Che ci sta anche… non se devi costruire una galleria il cui soggetto è la percezione, quella restituita dai luoghi: composti di figure molteplici che intendi convogliare sulle pagine di una rivista come Interni. Che sa sperimentare e la fotografia la usa come mezzo espressivo ma l’attenzione alla sbavatura è alta. Un equilibrio complesso insomma.
Certo, il contesto era tale da permettermi anche delle divagazioni sul tema, in fondo il Fuorisalone è per natura social. Nel suo DNA c’è contaminazione e obliquità.
A certe ore anche un po’ di allucinazione… non mi reggevo più in piedi.
In quest’epoca d’immagine diffusa, di liturgia della presenza sgangherata, dell’improvvisazione iconografica, cosa ce ne facevamo di un report di istantanee?
Di fianco avevo, sovente, fotocamere e smartphone che scattavano continuamente.
Ma cosa? Duplicati.
Noi no. L’intento un altro.
Discutibile come sempre… c’è chi ha gradito e chi no.
Ognuno tira le proprie somme. E io le mie. Ma io amo questa rivista.
Giù la clèr.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Ringrazio Michelangelo Giombini per aver creduto nel progetto. E condiviso lo sforzo.
Le immagini qui pubblicate sono un estrapolato.
Realizzate con iPhone 4s.
Grandiosa galleria !!! Scorro senza parole immagini emozionanti, vibranti, complesse, interessanti. I limiti del mezzo elementare scompaiono, sopraffatti da tanta sostanza.
Perfetta dimostrazione del teorema più odiato dalla massa dei fotopraticanti compulsivi e superdotati (di attrezzatura): la fotografia c’entra col mezzo solo quel tanto (poco) che basta. Super complimenti, Efrem !
che dire claudio… grazie!
“di fianco…..fotocamere e smartphone che scattavano continuamente” e puntualizzi “Noi no. L’intento un altro.”
l’inflazione delle immagini, la “liturgia della presenza”, la documentazione del’ “io c’ero”, la frenesia di testimonianza appiattiscono il prodotto su uno standard indifferenziato che si dimena nella banalità del documentarismo, fotografare è diventato troppo facile, troppo immediato, basta un cellulare, così come condividere l’immagine, con tutti, subito, anche con una rapida elaborazione similphotoshop.
con ostinazione, con passione, con coerenza, il linguaggio può continuare ad esistere, nelle pieghe di una massificazione ripetitiva, nel vociar indistinto di un confuso babelismo comunicativo, ricominciando ogni volta da capo, dallo stato basico della fotografia, in sostanza dalla filosofia dell’immagine.
in questo caso da una esigenza di unicità (sarà felice il fantasma di Benjamin), due fotografi possono scattare la stessa foto (stesso soggetto, stessa macchina, stessi parametri) ma se utilizzano il mosso le due foto saranno certamente diverse.
il primato dell’essere umano.
e anche in questo caso basta un cellulare.
ma si può anche condividere, in fondo era anche il senso di questo percorso… il problema è appunto cosa. e non è neanche più documentarismo, quello aveva (e ha) una sua dignità e un rigore. l’attualità invece è schiacciata sul paradosso dell’istante. che non è neanche più l’attimo. insomma hai ragione: ricominciare ogni volta da capo. con ostinazione dalla filosofia dell’immagine. anche perché, andrebbe sottolineato, la riproducibilità benjaminiana prevedeva comunque una matrice. il babelismo non sa manco cos’è.
Aspetto sempre gli aggiornamenti del tuo blog…. e non rimango mai deluso
grazie!!!
sei sempre molto cortese henry… grazie a te!
La riconferma che non è il mezzo a fare il linguaggio…
L’unica cosa che mi turba è il mescolare delle immagini dei due autori, che sono per altro riconoscibili (salvo alcuni casi, però poi mi istigano alla continua conferma, diventa stressante), alla fine stridono.
ti riferisci all’album di interni… lo spazio condiviso può generare effetti vari. trattandosi però di molte immagini, la diversità di linguaggio dovrebbe, il condizionale è sempre d’obbligo, trovare comunque un equilibrio. in fondo lo scopo era comune: parlare del fuorisalone.
Non ho parole! Una gallery dura e romantica: con un iPhone! E poi in fatto personale: ti ho visto all’opera! Da Prada ma c’era tanta gente e poi tu eri inavvicinabile: sembrava volassi :)
inavvicinabile io?! ma dai diletta! quanto al volare, in effetti rende bene la condizione del momento: un sacco di gente!
Ma noooo! Nel senso che mi sembravi molto concentrato! Ho dovuto forzarmi per non avvicinarti perché la curiosità era tanta!!! E quando mi ricapita di vederti all’opera? Peró il rispetto per Lo Spazio degli altri viene prima di tutto. Sei un grande.
la prossima volta… palesati!
Una gallery fantastica! Ogni tanto andavo sulla pagina di Interni per seguire la cronoligia. Le foto mosse le trovo bellissime e poi rendono l’atmosfera un po’ frenetica del Fuorisalone. Poi anche altre: poesia! Ma scusa la domanda, chi è l’altra fotografa che ha condiviso con te l’album? Non ho trovato molto in rete: curiosità :)
eppure il mosso è sempre sotto osservazione… sembra conciliare poco. tra l’altro io non lo abbino alla frenesia, quanto al distacco… alla percezione vagamente allucinata. però la fruizione non è mai univoca ;)
più che allucinatoria, in questo caso direi onirica, proprio nel senso letterale.
infatti la mostra, vista in un giorno un pò nuvoloso, con visitatori relativamente scarsi, spente le luci artificiali, qualche passaggio nel fango, qualche parte di installazione interattiva mancante per furto, qualche impronta di troppo su pavimenti e pareti….. bè, è molto più bella nelle tue foto.
lì c’è veramente da sognare!
i fotografi sono dei bluff :)
Sempre un grande Efrem, in particolare riconoscibilissimo,la prima di Tom Dixon ne è un esempio.
Un saluto
Claudio
un saluto a te, claudio! tom dixon… un filo strong.
L’esperimento è interessante.
E mi pare anche riuscito.
E poi va a toccare un discorso sempre attuale. Quello del mezzo al servizio del linguaggio.
Si, sono tra chi ha gradito.
(Le foto in interni col mosso mi piacciono moltissimo.)
va messo a punto. quanto al mezzo è sempre la stessa storia: si usa!
certamente il mezzo lo si usa…. ma con la tua proprietà di linguaggio, non è lo smartphone a fare la differenza! 6 sempre tu che ti esprimi a seconda del contesto;-) se usassi il foro stenopeico credo che non ti cambierebbe nulla… belle tutte le foto!
ecco… se anziché di smartphone in versione fotocamera, l’esubero fosse di fori stenopeici, staremmo tutti molto meglio…