Ci sei o ci fai

Mio padre e io, 1962 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Io faccio il fotografo. Se lo sono o meno non mi riguarda.
Sembra esserci una distinzione sottilissima, o addirittura zero… invece il solco è profondo.
E ampio, perché distingue un atteggiamento.
C’è chi fotografo si sente. E lo dichiara. Ma non lo è.
Produrre dei file non significa niente… non qualifica nessuno.
Non fa mestiere. Perché fare il fotografo ha anche a che fare col mestiere.
E non solo col gesto.
Ed anzi il gesto è tanto più incisivo quando non si limita all’episodio.
Il gesto in sé può anche essere grande ma se non ha supporto, non ha continuità espressiva, è isolato. E tale resta.
E questo vale anche se ci si appiccica l’etichetta Artista… che poi mica ho mai capito la differenza. Spesso anzi mi induce un sospetto.
California Dreamin’ è canzone immortale: sono cinquant’anni che scorrazza sulle frequenze radio di tutto il mondo.
Ma qualcuno ricorda cos’altro hanno inciso i Mamas and Papas?
Gli è andata di culo. Tutto qui. Forse in molti farebbero cambio… di gran culo, quindi.
Oliviero Toscani, mi sembra, poneva una domanda: ma fai o sei fotografo?
Sottintendendo che esserlo vale molto più che farlo. Sottintendendo che esserlo è in qualche modo attributo nobile, a differenza dei manovali della fotografia, quelli cioè che dichiarano semplicemente di farlo. E che in tal modo non fanno coincidere la propria intimità col proprio lavoro (quasi una parolaccia), che resta separato.
Mi pare recitasse più o meno così il salmo.
Io non riconosco il bivio. Non mi frega niente della distinzione.
E il livello di nobiltà lo misuro non attraverso un titolo o una dichiarazione d’intenti ma per ciò che vedo. Sia della persona che del prodotto.
In quest’epoca zeppa d’immagini simili a pallottole a salve, cos’è che davvero va a segno?Cos’è che si può fare? In che modo un’immagine, basta vederla, si dichiara tua?
L’altra sera, presentando (ancora, sorry…) TABULARASA, il libro su Vasco Rossi, Toni Thorimbert rispondeva a una domanda (cazzo mi ha anticipato! ma io coincido) dicendo ”Io faccio sempre la stessa foto”.
Questa è la differenza. Questo è ciò che pensa e produce chi fa il fotografo. E che non si preoccupa di trend e di posizionamento, e comunque mai a scapito della fotografia che gli appartiene.
Che è una perché ha a che fare con una matrice facilmente individuabile: te stesso. E qui sì che le cose coincidono.
Perciò se fotografi, fotografa! Non interroghiamoci continuamente sul senso di ciò che facciamo, fotogramma per fotogramma: il linguaggio si misura su una frequenza più lunga e ampia della singola immagine.
Se fai lo scrittore, scrivi! Non puoi su ogni riga impiantarti alla ricerca di qualcosa che non trovi. O che ti pare migliorabile. Alla fine si vedrà. E si vede sempre.
Facendo il fotografo e non preoccupandomi dei quarti di nobiltà, non trovo di per sé distintiva neanche la rivista per la quale lavoro, o il cliente in genere: quello che mi frega davvero è che le immagini vengano rispettate. Che non subiscano traumi tali da renderle innocue… scariche… a salve insomma.
Come avere sempre un bel muro bianco davanti, al quale attaccare il proprio racconto.

Romano Ragazzi, 1985 © All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

33 thoughts on “Ci sei o ci fai

  1. Credo la distinzione sia semplice: uno fa un mestiere, come il falegname, il vetraio, e quando maneggia abbastanza le tecniche può permettersi di produrre sculture lignee o vetri soffiati e opere d’arte.
    E’ un mestiere il fotografo, semplicemente sai farlo o no. Giacomelli era tipografo, e usava la macchina fotografica per esprimere che era un genio.
    Una volta fotografando un vetraio, soffiatore, da otto generazioni, che stava soffiando un preservativo di vetro per l’opera Mao? di Ru Xiao Fan:

    https://dl.dropbox.com/u/47262222/08.jpg

    siamo scoppiati a ridere quando mi ha detto (in dialetto, se serve traduco): “Questa la xe arte! Mi che soffio goldoni (preservativi) e ti che te me fotografi”.

  2. “E il livello di nobiltà lo misuro non attraverso un titolo o una dichiarazione d’intenti ma per ciò che vedo. Sia della persona che del prodotto.”
    Che bello se la pensassero tutti così. E non solo per quanto riguarda la fotografia. Saremmo profondamente diversi.
    E l’esortazione a fotografare senza interrogarsi di continuo!?!?!? Grazie! Sembra tu stia parlando di me! Hi hi hi!!!
    Bellissimo post Efrem. Uno dei più migliori. ;)

  3. è bellissimo questo post e c’è poco da aggiungere. mi viene in mente una frase di Giacomelli che suona più o meno così (cito a memoria): “non sono un fotografo, sono uno che usa la macchina fotografica”.
    ”Io faccio sempre la stessa foto”: è questo il vero tema, una sintesi perfetta.
    “immagini simili a pallottole a salve”: che espressione efficace! sarà perché ormai le macchine fotografiche non si caricano più? :)))
    infine, bella la foto di te e tuo padre: ci siete e ti insegna ad esserci.

  4. fin dalla prima occhiata la foto colpisce molto, non saprei dire esattamente perché. Una domanda (stupida) che mi sono fatta è stata “chi l’ha scattata?”. Bè, persino io nella mia ignoranza so che esiste l’autoscatto, ma il momento fermato mi è apparso così intimo e così saturo di emozione che mi sembrava impossibile non fosse mediato da una presenza umana.
    Il testo, secco e ruvido come di solito, genera un salto logico, la foto è impeccabile, equilibrata, una posa perfetta, tuttavia implicitamente ci dici che il meglio viene fuori quando non si calcola e non si pensa, non ci si chiede nè si vuol dimostrare se ci sei o ci fai……..
    e “questo stato, in cui non si pensa, non ci si propone, non si persegue, non si desidera …..che non tende verso nessuna particolare direzione …… ma che sa di essere capace del possibile come dell’impossibile” (alzi la mano chi non ha avuto la pazienza di leggersi ‘lo zen e il tiro con l’arco’), quel te stesso in cui “le cose coincidono”, in cui si sovrappone “la propria intimità col proprio lavoro”, in cui colpo, arco, freccia, bersaglio e soggetto coincidono perchè il bersaglio è lo stesso arciere…….. è molto vicino alla perfezione, fare sempre la stessa foto, un unico gesto, “un colpo, una vita”.
    La propria.

    • applausi sinceri!
      in effetti il pensiero c’è. è il pensare che manca. che deve mancare. e il voler dimostrare quasi immancabilmente appesantisce come una didascalia. crolla tutto. anche la persona… che in genere insegue affannata credito.
      la fotografia l’ha scattata mia madre, con fotocamera preimpostata da mio padre… però lo sguardo di questa foto non può essere che di mia madre.
      anche se devo dire che gli autoscatti un tempo erano molto affascinanti… e mio padre ne ha fatti diversi. tra gite urbane e extra… qualcosa ho in giro.
      rinnovo l’applauso.

    • Complimenti e applausi anche da parte mia, in particolare con l’interpretazione dello zen e il tiro con l’arco, letto da parte mia dopo aver scoperto che è stato il libro preferito di HBC… ma con sentimenti risultanti diversi più legati all’incoscio tecnologico, questa particolarità che fin ora ho trovato solamente nella macchina fotografica.

      • personalmente sono molto critica nei confronti del concetto di ‘inconscio tecnologico’ limitato alla fotografia, ogni linguaggio in ogni campo compie una sua strutturazione dell’immagine in nuovi termini, se Leonardo non avesse adottato il colore ad olio, pur sempre una tecnica a quei tempi inedita, non avrebbe fatto la monna Lisa, con tutte le implicazioni concettuali che lo sfumato introduce.
        A me pare che bastasse il concetto di inconscio ottico formulato da Benjamin, peraltro efficacemente esteso all’arte visiva da Rosalind Krauss. Per non dire della cristallina visione di Wittgenstein nel suo Tractatus, quando afferma che “l’immagine rappresenta ciò che rappresenta indipendentemente dalla propria verità o falsità, mediante la forma della raffigurazione”, bypassando ogni dibattito sulla modalità adottata.
        E a questo punto, anche se non c’entra niente, mi viene in mente un aneddoto su Picasso, il quale, ad un uomo che gli mostrava la foto della moglie dicendo “vede, questa è la foto di mia moglie, è un’immagine molto fedele, lei è proprio così” rispose “vedo che sua moglie  è molto sottile ed alta 10 cm …..”. Analisi basica, senza alcuna sovrapposizione culturale.

        • Vero, dimenticavo l’inconscio ottico, che tutto sommato, come giustamente affermi, si avvicina di più alla fotografia.
          Però facendo un brutto lavoro, ovvero riparando impianti industriali, non ho mai trovato, comunque l’inconscio tecnologico nelle macchine, tranne nella macchina fotografica.
          Per l’esempio di Picasso, è vero, si possono fare moltissime congetture sulla fotografia…

        • non conoscevo il legame tra HCB e il libro di Herrigel e devo dire che sono molto stupita e impressionata dalla coincidenza …………
          Mi sono documentata, da ciò che ho letto mi sentirei di dire che lui e (modestamente) io siamo su due posizioni antitetiche, il suo è un arrivo, la mia una partenza.
          Del resto io parlo del modo di fotografare di Efrem, che è l’opposto di quello di HCB. O no?

  5. una curiosità, sostieni di fare il fotografo, però sei fotografo, lo si legge nelle tue fotografie e lo si percepisce da cosa hai scritto, perchè?

      • chiarissimo, però (e poi giuro non faccio altre domande) c’è ancora una definizione che non mi è completamente chiara e che non utilizzi solo tu, ma che altri tuoi colleghi utilizzano senza far capire del tutto: il mestiere di fotografo, cosa intendi per mestiere?

        • arti & mestieri…
          il mestiere è quella roba, quel bacino fatto di esperienza derivata dal lavoro, dalla conoscenza dei percorsi pratici e intellettuali che ti permettono di avvicinarti al risultato prefissato. l’arte te lo fa centrare. rimbalzandolo dove non sai predeterminare. può esserci mestiere senz’arte. e di ottima fattura. ma non c’è arte senza mestiere.

          • e qui potremmo approfondire il discorso sul valore artistico delle fotografie, ma so che è un tema molto strano e fumoso.
            In effetti hai ragione, però, ogni artista (nel senso più generale del termine, pittori, scultori…) prima di tutto conosce il proprio mestiere, mi vengono in mente così a caso picasso e michelangelo

  6. le scorciatoie si pagano allo specchio è magnifica, posso rubartela?
    questo scritto è bellissimo. C’è sostanza e trasparenza al tempo stesso.
    Specchiato, appunto. Grazie.

  7. Io faccio il fotografo, mi pagano, ci vivo discretamente con la mia famiglia…. Eppure ancora non so se ci sono o ci faccio.

  8. Mamas & Papas a parte mi piace pensare che più si parla delle cose meno si fanno. Più ci si interessa dell’aspetto mediatico meno si producono suggestioni. Alla fine come dici si vede sempre.

  9. i Mamas & Papas hanno fatto anche Monday Monday! scherzo, il punto è che come dici tu la qualità e lo spessore si misurano nel tempo, e in una società dell’immagine che fagocità piccoli fenomeni alla velocità della luce si fa prima a etichettarsi fotografi o artisti che a diventarlo o esserlo davvero

  10. io ci faccio, così di primo acchito, leggendo le tue belle parole, che però vanno rilettute con calma, assimilite e poi risposte.
    ci faccio perchè circa tre anni fa è riaffiorata la voglia di fotografia, tralascio il passato, compro la reflex e mi sento fotografo.
    poi giro su internet per trovare spunti, confronti, idee.
    mi imbatto in ando gilardi, mi crolla il mondo addosso
    mi imbatto in settimio benedusi, mi ri crolla il mondo addosso
    mi imbatto in jacopo benassi, come sopra
    insomma capisco che la fotografia è qualcosa di più, mi metto a comprare libri su libri, ne avrò un centinaio oggi e continuo a comprare e a leggere.
    ho le idee un po’ più chiare, ma non tanto, poi incontro un fotografo come efrem che mi apre nuove strade, nuove idee, grazie.
    però una cosa la sto capendo, ogniuno ha un suo modo di prendere le fotografie, e son sempre quelle.

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