INTERNI magazine – confronti generazionali

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

 

INTERNI magazine, dicembre 2015: confronti generazionali.
Alias tre ritratti per ciò che mi riguarda: Aldo e Matteo Cibic, Paolo e Carmine Deganello, Alberto e Francesco Meda.
Ogni ritratto è composto da due singole immagini… una roba che faccio da una ventina d’anni.
Che non è semplicemente utile, ma proprio spinge la prospettiva restituendo spazio – e persone – in forma leggermente alterata.
A volte fortemente alterata.
La continuità viene interrotta, e lo stato delle cose non è più quello originario.
Mi piace creare un po’ di disordine in certe circostanze.
Una minima inquietudine visiva in questo lavoro… in altri per nulla minima.
Un fastidio, un prurito a un mondo sempre più ortogonale che esercita sempre meno la vista. Altro che balle.
E questo sì che è utile.

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

INTERNI non a caso: è uno dei pochi luoghi dove si fa fotografia. Almeno mi sembra.
Per me è una questione di legame affettivo anche… ci collaboro dal 1985.

Le interviste sono di Cristina Morozzi e Maddalena Padovani.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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10 thoughts on “INTERNI magazine – confronti generazionali

  1. Concordo con Manuela Camprini, se intendo correttamente il suo commento, le immagini sezionate suscitano un’esperienza di spiazzamento forzando le visioni oggettive del corpo, le estremizzano, le destabilizzano, e come scrive Maddalena Colombo (‘Arti performative, nuovo orizzonte per l’intercultura’) “….si apre allora una ricerca interpersonale che mira a costruire visioni di sé e dell’altro non lineari, non etichettate, …. bensì visioni fluide, in movimento…. ci si apre alle sfumature contenute nella molteplicità degli spazi e dei piani in cui può essere ‘letto’ un corpo, non in un unico spazio ma in spazi multipli “.
    L’immediatezza del ‘sentire di pancia’ introduce un elemento dinamico, evidenzia fattori apparentemente non intenzionali, esalta la contingenza ed introduce anche in questo lavoro un fattore di incertezza e di dubbio che percorre come un filo rosso tutta la produzione di Efrem.
    Che non so se sia d’accordo in questa mia lettura.

  2. Man a mano che conoscerò la tua opera fotografica nella sua complessità e nei suoi percorsi sarà un pò più semplice capire le cifre stilistiche e comunque in questa nicchia, come tu stesso affermi, è abbastanza identificabile. Per il resto, molto “di pancia” e quindi emozionale, foto molto belle e interessanti. Un abbraccio e grazie per la risposta

  3. L’impatto immediato è quello di un “disturbo”, qualcosa che non è al suo posto, così ho osservato meglio e ho capito…ma forse preferivo non capire per il semplice fatto che sarei rimasta ancora un pò nel limbo di quella sensazione/emozione.
    A livello puramente estetico mi piace questa sorta di “deformazione anatomica” dei corpi, due parti che non collimano e danno origine mentalmente a due corpi invece di uno soltanto. Oserei dire una cifra stilistica tua del ritratto (non conosco bene tutto il tuo lavoro e per questo metto quell’ “oserei”, mi limito a ciò che hai scritto), ogni artista ha le sue, in passato i grandi distorcevano i corpi per ottenere ciò che volevano all’interno dell’opera e queste distorsioni anatomiche, a volte visibili altre molto meno, erano poi riconoscibili in ogni loro dipinto e per questo divenivano cifra estetica riconoscitiva. Inoltre lo spazio si percepisce diviso, sdoppiato e con esso un tempo diverso. Il ritmo stesso della foto ritratto risulta interrotto e forse, almeno per me, è proprio l’elemento che mi lascia ferma ad osservare per capire cosa non funziona ed è ciò che a livello emotivo mi tocca e attraversa. Personalmente, recepisco questa trasgressione come appunto per ricordarmi che oltre a ciò che si vede, ovvero l’istante dello scatto, c’è ben altro, ci sono le persone ritratte con le loro vite e le loro tante sfaccettature Una “distonia emotiva” che rapisce lo sguardo di chi osserva e lo porta in spazi ben più ampi della fotografia stessa.

    • Manuela – dunque dunque… questo percorso sulla doppia immagine è nata subito come esigenza una ventina d’anni fa: non mi ci stava tutto in una sola ripresa. banale. ma così. solo che immediatamente ho pensato alla dilatazione dello spazio. all’alterazione. alla frattura sottolineata. indipendentemente da ciò che rappresentavo.
      però è una nicchia del mio percorso. e non penso essere la cifra espressiva che più mi riguarda. sicuramente, concordo, è abbastanza identificabile. e forse più sul ritratto che sul resto. però vallo a capire… boh.

  4. Ecco: l’uovo di Colombo, anzi l’invenzione geniale di chi non si accontenta di guardare, e allora fa il fotografo. Chapeau, come sempre, ciao Efrem !

    • claudio – in effetti fu circa vent’anni, con una polaroid, perché sentivo il bisogno di sfondare i piani. poi ho proseguito.
      grazie claudio!

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