Point of view.
Che sono tre: del mio autoritratto; il mio; di Mariangela e Ginevra Calisti, loro la curatela dell’intera mostra DO NOT DISTURB – ne ho parlato due articoli fa, quindi info eccetera…
Point of view.
Non è un’opinione, ma proprio un arbitrio.
Come sempre. Come tutto ciò che riguarda l’espressione: vogliamo prenderne atto e rivendicarlo?
A partire da questo corridoio.
A partire dalla sproporzione tra il suo volume e la bidimensinalità delle opere esposte – piccole tranne il 100/100 cm dell’autoritratto.
E che contribuisce alla definizione della mostra. Di questa che ho appeso intendo.
Ma vale sempre e per qualsiasi mostra.
Point of view.
Non ha una spiegazione. Non c’è un decodificatore a portata di mano pronto all’occorrenza.
E non c’è nulla da decodificare: ti arriva o no.
Se in qualche modo ti riguarda lo cogli.
All’inaugurazione una gentilissima signora mi ha chiesto delucidazioni.
Ho farfugliato qualcosa… boh.
Certo, possiamo anche parlarne.
Ma è una parola debole: hai quindici anni di tempo?
Che coincide con la produzione di questa serie, Appunti per un viaggio che non ricordo: 1986 – 2001.
Polaroid. Finita lei, finito tutto.
Il luogo dove ho depositato le mie allucinazioni. E i dubbi che mi rendono totalmente ossidabile. Che inossidabile sarai te.
Adesso proseguono altrove. Solo con altri mezzi in modo estemporaneo.
La fotografia per me è un ripostiglio perfetto.
Repositorium… vale per tutti: come potremmo continuare a viaggiare con sempre al fianco tutto e tutti?
Lì! Dentro tutto. Questo è la fotografia. Vale per chiunque intenda esprimersi. Cos’è se non quella roba che chiamiamo genericamente arte?
Mettici la faccia. La tua.
Non siamo al ballo delle debuttanti.
È della tua vita che parli, quindi esponiti.
E fottitene delle conseguenze.
Point of view.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
In una stanza buio pesto, c’è anche un brevissimo video in loop.
Che parte dal lavoro esposto e lo straccia.
Questo caricato su youtube – non pubblico – è la registrazione cruda, lì in mostra.
L’originale è visibile andando a Pavia.
Ringrazio, tanto, Mariangela e Ginevra Calisti perché era ora di tirare fuori questo lavoro in una visione coerente. Lo devo a loro.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
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Ciao Efrem,
questo post mi piace davvero moltissimo e il testo che le accompagna lascia davvero poco spazio ad altre parole.
L’idea della fotografia “ripostiglio” è meravigliosa, altrettanto lo è il concetto di non dover decodificare o spiegare, la fotografia arriva o non arriva.
Il senso arriva sempre dopo, forse.
Bisogna esporsi, metterci la faccia, fregandosene delle conseguenze..libertà di esprimersi.
Leggere quello che scrivi e guardare da qui le tue immagini, trovo che sia un piacevole incontro.
Buona giornata.
Giusi.
sull’idea di ripostiglio: http://blog.efremraimondi.it/tempo-e-luogo/
grazie Giusi. buona notte, vista l’ora.
“REPOSITORIUM…..un luogo fisico. Reale. Dove depositare oggetti anche preziosi….Anche sé stessi. Noi. L’archivio della tua vita.”
Andy Warhol fin da bambino comincia a raccogliere con scadenza mensile gli oggetti più disparati che gli passano per le mani quotidianamente (foto, ritagli, cartoline, articoli di giornale, racconti sulla sua infanzia a Pittsburgh, pezzi di pellicola, fatture, scontrini, cataloghi, appunti), legati a momenti di vita apparentemente insignificanti.
Si stima che in 30 anni ne abbia raccolti circa 500.000, divisi in 680 scatole di cartone tutte uguali che lui chiamava time capsule e che si è portato dietro tutta la vita nei suoi vari traslochi, il suo personale repositorium.
A differenza del tuo, il suo è un ‘luogo’ reale, e pure ingombrante (circa 230 metricubi), ma forse riflette la stessa esigenza?
non saprei dire vilma se riflette la stessa esigenza. però è reale anche il mio. solo volumetricamente meno ingombrante su un certo piano. ma su un altro…
per me è anche il coinsiglio per chi produce fotografia, coincide, e tutto sembrerebbe essere a posto. invece no. perché se non sai in qualche modo staccarti da certi demoni finisce che soccombi.
insomma una mera questione di sopravvivenza. non so se mi sono spiegato…
“La fotografia per me è un ripostiglio perfetto. Repositorium…”
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Ciao Efrem, concordo con la tua affermazione.
Credo sia la sua missione, la sua essenza primordiale, il significato che questa sicuramente manterrà, anche dopo aver espletato le sue funzioni di “comunicazione”.
Noi siamo “fatti” di ricordi; questi ci condizionano, ci consigliano, ci emozionano, ci consolano, ci educano, ci rendono unici.
se riusciamo a destinare i ricordi – anche i ricordi – a un luogo che se ne sta o viaggia per fatti propri, noi ci guadagnamo in salute mentale.
a questo proposito Gio, se hai voglia c’è questo, che è proprio preciso: http://blog.efremraimondi.it/tempo-e-luogo/
ciao!
“più che DO NOT, è assolutamente DISTURB”, vengono in mente gli artisti del Gruppo T, “si prega di toccare” scrivevano accanto alle loro opere.
Ce lo avevi già anticipato in un post precedente quel corridoio misterioso e quasi inquietante, quella figura di donna che sembra uscita da un quadro di Hopper, l’ombra gigantesca proiettata sul muro, un susseguirsi di quinte rosse, quel nero compatto in primo piano…. Bello il contrasto tra la leggerezza (la bidimensionalità) delle foto che sembrano voler fuggire per librarsi in aria e la solidità dell’involucro che, in qualche modo, le obbliga a restare.
Sul fondo c’è un sipario, pure lui rosso? Chissà cosa nasconde……
in effetti lavorare sulla sproporzione è stata una intuizione delle curatrici. alla quale ho immediatamente aderito.
quanto al fondo, no, nessun sipario. è la verniciatura del muro e la luce confonde un po’. da vicino o fosse più grande questa fotografia si capisce bene. ciao, vilma.
ma le sbavature sul battiscopa sono inaccettabili………
Scusa Efem, leggo che questa mostra fa parte della serie Appunti per un viaggio che non ricordo (bel titolo) potresti farmi capire meglio? Grazie
è una serie iniziata più o meno nel 1986 e finita nel 2001 per mancanza di polaroid, visto che l’azienda aveva chiuso i battenti.
un percorso che nasce dal desiderio di staccare dal banco ottico, che in quel periodo usavo molto, anzi sempre. come rompere una certa staticità… avevo bisogno di leggerezza.
e di lavorare su quelle che erano le mie allucinazioni. tra mosso e sfuocato, perdita di definizione e sospensione, spesso, dei toni intermedi, ho definito l’intero percorso.
la polaroid era il supporto perfetto. finita lei, finito il percorso. in questa mostra ne sono esposte undici. spero di essermi spiegato. ciao Nino.
Chiarissimo Efrem. Grazie
quindi ci mettiamo la faccia andiamo avanti e ce ne freghiamo
più o meno lubi. perché poi non possiamo comunque trascurare una serie di inevitabili relazioni. e conseguenze. restando indubbiamente al centro ciò che produciamo. che una volta esposto – in qualsiasi forma – prende la sua strada. e mica detto che coincida con la nostra.
Bellissima mostra sia la tua che tutta. L’idea del corridoio è geniale e il video una vera chicca: è come assistere a una disintegrazione dalla quale nasce altro. Certo che le tue polaroid sono talmente altro da lasciare un’impressio indelebile. Complimenti vivissimi. Andrea
il video in effetti è un’altra cosa. proprio a sé stante. grazie Andrea.
Premesso che vado a vedere la mostra (che così già mi sembra bellissima) perché dimensioni diverse, c’è un motivo Efrem? Grazie.
è una scelta curatoriale che ho totalmente condiviso. e ha a che fare anche con lo spazio espositivo. quel corridoio l’ho amato subito. è però un luogo complesso. e in qualche modo si trattava di sottolineare ulteriormente la sproporzione.
fossimo stati in una classica galleria pareti bianche e tutto regolare, forse si sarebbe optato per un’altra scelta. qui, il corridoio, partecipa a sua volta al percorso espressivo. non so se mi sono spiegato Laudomia… spero di sì. grazie a te.
magari dopo averla vista dimmi cosa ne pensi.
Mettici la faccia. La tua.
Non siamo al ballo delle debuttanti.
È della tua vita che parli, quindi esponiti.
E fottitene delle conseguenze.
Point of view.
ecco
ecco sì. ma quindi lubi?
Grandissimo, mi permetto sempre di usare alcune cose che dici (scrivi) come citazioni che mi risistemano le giornate :-)
senza immagine è una parola muta ;)
dipende, le immagini, dalle parole, ce le creiamo anche con la mente …
per me funziona così: visione – produzione – riflessione. quindi l’immagine è la matrice. le parole la conseguenza. poi non escludo che possa funzionare diversamente :)
Efrem :)