No difference. Detta inter nos, paese allo sbando, nessuna differenza.
Sembra difficile da capire, e non tanto sul piano intellettuale, sul piano dialettico, quanto invece sul piano dell’affermazione iconografica: cioè ciò che fotograficamente realmente produci.
Ed eventualmente mostri.
Che differenza c’è tra il ritratto di un operaio e di una star?
Nessuna.
L’unica differenza sei tu, lì con la fotocamera in mano.
Il problema che ogni tanto si affaccia, ed è visibilissimo, è esattamente questo: tu.
Con l’aggravante della fotocamera in mano.
Perché si vede benissimo quanto ti lusinghi ritrarre, fotografare, una star, vera o presunta, e come ti sbatti quando ce l’hai davanti.
E invece quanto sei sciatto quando la star sei tu. Spesso presunta.
Sempre presunta, perché se vuoi sapere la verità, entrambi i ritratti sono davvero banali.
Volgari.
Togli il nome sotto il soggetto, l’uno e l’altro, e vedrai che non ti rimane niente.
Sai perché? No che non lo sai.
Perché se non riconosci te stesso in chi e anche in ciò che hai davanti, non hai alcuna autorità.
Sei nessuno.
La fotografia funziona così.
Ed è così semplice…
Operaio tessile, 1989.
Uno dei due ritratti a operai della Piacenza Cashmere, stabilimento di Pollone, vicino a Biella.
In banco e Polaroid 55.
Entrambi i signori non vollero dirmi il nome.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
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Un ritratto unico davvero e un testo pungente al punto giusto, ma parecchio condivisibile!
il testo, mi permetto di dire, dovrebbe diventare un tattoo in questo caso. perché se no…
grazie Paolo
Un ritratto meraviglioso: del 1989 e invece sembra senza età
grazie Enrico
come sempre, incisivo e magico magister ! ;)
Sia per la foto che per il testo scritto.
grazie Fedreica.
Salve, ho appena scoperto i suoi lavori per puro caso, e ne sono rimasto sorpreso, per l’ autenticità e le qualità che vengono trasmesse da questo mezzo così moderno quasi da rimestare una memoria classica. La mia domanda è dato che vorrei avvicinarmi alla fotografia per una serie di motivi lei cosa mi consiglia di comprare come compatta possibilmente che non abbia rullini, la ringrazio.
sinceramente Stefano? uno smartphone. io ho fatto così.
Ciao Efrem,
come già anticipato su Facebook, sono in linea con il pensiero espresso in questo tuo articolo e, con il tuo permesso, riprendo qui lo scambio di idee iniziato in quel social. Riporto per far capire anche a chi legge in questo blog.
Su Facebook ho commentato: “completamente d’accordo! Fotografare significa raccontare. Un linguaggio che se parla solo di colui che ha l’obiettivo non può restituire una buona fotografia”.
La tua risposta è stata: “se proprio: fotografare è raccontare se stessi. ed è proprio il linguaggio, il nostro, che fa la differenza. il soggetto sei sempre tu con la fotocamera in mano. riconoscere quanto ti rifletti nell’altro che hai in camera. questa dialettica è il punto. ma tu sei al centro. lunga da dire… il mio blog è il luogo per raccontarsela meglio”.
Sono d’accordo sul fatto che fotografare sia raccontare se stessi, ma non credo che il soggetto sia chi fotografa.
O meglio, sono convinto che in ogni foto ci sia sempre una parte di noi, del nostro bagaglio culturale, delle nostre emozioni, che tramite il linguaggio fotografico restituiscono un’immagine con una parte di noi stessi, ma il soggetto principale, a mio modo di vedere, resta chi è dall’altra parte dell’obiettivo.
Penso che una fotografia racconti un qualcosa dal punto di vista del fotografo. Un’interpretazione della realtà se vogliamo definirla così.
Andrea
con cui : “se proprio: “
ciao Andrea. io posso dire solo la mia. che inoltre è solo il prodotto della fotografia che produco. non il contrario, cioè: prima l’icona poi semmai se ne parle e si riflette. con me funziona così. il che non significa quasi nulla ma per me resta importante come premessa.
il soggetto è l’autore per il motivo che è in grado di determinare o meno il percorso. la fotografia, al singolare, quindi quella singola superficie che vediamo, ed è un altro luogo. che prima del tuo intervento non c’era. l’equivoco è dato dal bivio interpretazione – visione. e io sto con la visione. che quanto più è attinente all’autore tanto più è altro.
poi sì, esiste una dialettica, una relazione. ma chi la detta? da dove arriva? e qui si apre il sipario. talvolta il divario. l’unica cosa che resta è la fotografia.
Riconoscere sé stessi in un confronto tutto interiore a cavallo tra arte e psicologia (una grande conquista del ‘900) e capire che l’altro è solo un pretesto, un estraneo “disposto a partecipare a una finzione”, come dice Avedon, della quale crede di essere il protagonista.
“Una delle mie preoccupazioni costanti è capire com’è che esista altra gente, com’è che esistano anime che non sono la mia anima, coscienze estranee alla mia coscienza; la quale, proprio perché è coscienza, mi sembra essere l’unica possibile”: antropocentrico? Di più: egocentrismo.
ma l’egocentrismo può anche escludere l’antropocentrismo vilma. almeno credo.
poi sì, avedon fa un’operazione precisa, quella che molti non riconoscono se non con l’additivo verbale: parte, sempre, dalle sue immagini.
e condivido sulla mia pelle direttamente. proprio non c’è altra soluzione. almeno credo – 2.
“La fotografia funziona così.”
e non solo la fotografia..
vero Daniele. anche altro. ma la fotografia, per me, funziona solo così
Ritratto stupendo! Quanto mi piacciono le tue foto Efrem…
Concetto chiarissimo e lo condivido pienamente. Ciao
grazie Fedigrafa. ciao
“Perché se non riconosci te stesso in chi e anche in ciò che hai davanti, non hai alcuna autorità.
Sei nessuno.”
Mi piace assai