Ritratto e retorica

Non ho mai capito tutta la retorica del ritratto e tutta quell’enfasi che lo accompagna. Come se stessimo affrontando un luogo altro, una costola della fotografia che chissà poi a cosa darà vita.
E invece a cosa dà vita alla fine? A una fotografia, appunto.
E questo è. Da qui si parte.

L’impressione che mi si è rafforzata nel tempo è che l’equivoco, la distanza, la riduzione del ritratto a genere, siano frutto di un pensiero antropocentrico. Come se la misura dell’uomo, della sua immagine ricondotta a Dio richiedesse un impianto teologico in quanto il soggetto è, dev’essere, oggetto di fede.

Forse non è così cosciente, ma è ciò che materialmente accade.
Quindi lo sforzo prodotto al fine di ottenere anche una sola fottuta immagine è quello di tentare di ricondurre la relazione al piano compatibile, quello umano.

Come se questo bastasse a rendere naturale la condizione meno naturale di tutto il panorama fotografico.
E comunque, cosa c’è di naturale in una fotografia?

Di quale relazione si parla? Al fine di cosa? Abbiamo una nostra immagine ideale di cosa sia un ritratto e di come produrlo al pari di una qualsiasi altra fotografia?
Tutto questo è sul piano del pensiero, della riflessione.

E sarebbe anche opportuno sviscerare ulteriormente.
In ambito didattico lo affrontiamo eccome!
Ha un suo tempo. E non coincide con quello della produzione: quando fotografo non penso. Fotografo.

Andrea by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedQuesto ritratto a Andrea è una delle tre immagini realizzate nel 1990 per una campagna
no profit ANFFAS, a cura dell’agenzia Carmi & Ubertis.
Andrea era sordo, cieco, muto. In grado di muoversi.

Le cose stavano esattamente così.
L’esigenza era di ritrarlo, proprio un posato. In studio.
Per mia scelta, banco ottico incluso. Quindi apparentemente tutto sotto la scure di una staticità non scalfibile. Apparentemente.
Che relazione possiamo attivare?

Qui abbiamo comunicato con la luce. Con una potenza flash in grado di muovere l’aria immediatamente circostante. Me ne sono accorto per caso. Questo ha fatto la differenza. Lui si è girato verso di me e tutto si è mosso.
Nessuna parola, nessun suono, nessun gesto avrebbero potuto essere relazione.
La luce, la sua ”botta” flash, nella circostanza sì.

Ogni persona è diversa, ma noi no. Noi chi siamo?
La fotografia non è un luogo chiuso. Ma un sistema di vasi comunicanti. E i nostri sensi, tutti quanti, sono attivi.
Mica solo la vista.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Cartolina per Fondazione AIRC – Letterature Urbane

Quindi ricevo il Premio Letterature Urbane – Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro.
A Vercelli domenica 24, dalle mani di Anna Bosio che di AIRC è responsabile della struttura organizzativa.
Non conosco esattamente la motivazione: sono certo che Antonio Buonocore che di Letteraure Urbane è il Presidente mi dirà nella circostanza a cosa devo l’onore.
Intanto posso dire che mi fa davvero piacere.

Nell’occasione volevo fare qualcosa di utile a beneficio della Fondazione.
Non la stampa numerata che viene messa all’asta.
Nulla di negativo nei confronti di chi organizza e di chi dona… è solo una mia questione emotiva: le aste mi deprimono.
Allora una serata pubblica di visione e riflessione sulla fotografia, un po’ come le lectio di AFIP International in Triennale a Milano, a ingresso libero.
Mentre questa sarebbe stata a pagamento pro AIRC.

Poi no, meglio una cartolina, stampata in 50 esemplari, al costo di dieci euro devoluti totalmente alla Fondazione.

Qualcosa di materico, qualcosa che fisicamente occupa uno spazio.

Un piccolo spazio. Che però resta. Che puoi anche spedire e allora prende un’altra via.
Che magari si perde. E a sua volta vive una sua vita.
Questa cartolina:

© Efrem Raimondi - Cartolina AIRC - All Rights ReservedRecisi giugno 97, 1997

Perché li ritraggo i fiori, altro che no.
Solo che recisi non li compro. Può succedere che siano un dono, o che li raccolga per strada e allora li ritraggo.

Probabilmente però una chiacchierata informale la faremo, complici Laura Manione e Antonio Buonocore.
Padiglione EX28, viale Garibaldi 96, alle 17,30.

NOTA – Acquistabile direttamente nell’occasione, o contattando il promotore di tutto ciò,
Antonio Buonocore: 3406980819.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Se questo è un ritratto

Se questo di Mariangela è un ritratto, ci intendiamo.
E posso procedere.
Se non lo è, procedo comunque. Anche da solo.
Mi chiedo però cosa ci fai qui a questo master…

Sul set tutto è a posto: fondale bianco da metri 2,70; generatore flash e torcia appesa a una giraffa con un diffusore Octa; polistiroli da 3 metri col lato nero a segnare i fianchi.
Esposizione fatta e io al mio posto con la fotocamera in mano.
Tutto come dev’essere per procedere nella direzione che ho prefissato.

Poi succede che guardando in macchina vedo un’altra Mariangela.
Una traccia ineludibile.
Mi avvicino. So che sfuoco, lo vedo. Allora insito: mi avvicino mirando il fuoco minimo raggiungibile, le spalle. Cioè il margine del maglione.
E vedo bene questo splendido ovale arabo. Meglio di prima.
Lei ride e io scatto.
Fine.
Non ho altro da fare, se questo è un ritratto.
Se invece non lo è, idem: non c’è altro che possa fare.

Mariangela Loffredo by me © Efrem Raimomdi - All Rights Reserved

NOTA
Durante il master di ISOZERO Lab. Sul ritratto.
Lei partecipa. Potrei quindi dire che è una mia studente – studentessa…
Così come tutte le persone che partecipano.
Sul piano formale è così.
Però non descrive bene il rapporto, con lei e con tutti.
Perché non conosco altro modo di fare fotografia se non quello di darsi senza riserve: vivo nel presente e dove mi trovo è tutto.
Il resto è altrove. In un altro tempo.
Uguale quando ritraggo uno sconosciuto, quando è un assignment, fosse anche una superstar: succede sempre qualcosa che cambia tutto.
Basta un niente a volte. E tutto parte dalla fotografia che sto facendo. Non so com’è ma davvero è lei a cambiare la relazione.
Per questo riesco a essere sempre molto diretto.
E in questo sono ricambiato.

Se questo è un ritratto…

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Una questione semplice – 1

Il ritratto è una questione semplice.
È come fare una fotografia.
Prendiamo questo, Valentina

Valentina by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved           Valentina, 2010 © Efrem Raimondi – All Rights Reserved

Un fondo nero, di carta.
Una luce flash con una parabola stretta 18 cm e frostata con della carta da lucido;
uno stativo a circa un paio di metri d’altezza e poco meno da lei, che è fermissima al centro e occupa lo spazio. Proprio lo possiede.

Un polistirolo nero per fianco a segnare la luce che mira il viso.
Alti 3 metri, così segnano tutto il fotogramma.
La luce mira il viso.
Io sono a circa settanta centimetri, con un obiettivo equivalente a un 35 mm, poco meno. Un grandangolo medio insomma. Un obiettivo da evitare, dicono. E che invece uso per la stragrande maggioranza dei miei ritratti. Raramente il cosiddetto normale.
Stop, non ho altro. E vale per qualsiasi formato.
Quanto allo sbandierato 85 lo userei solo come fermacarte.

La guardo in macchina… cerco la mia ombra e la trovo.
Le chiedo cortesemente di sbilanciare il peso e di abbassare di un niente il viso.
Lei è così. Solo in questo tempo.
Scatto.
Fine.

Per par condicio ottica, anche questo: Vanessa Beecroft

Vanessa Beecroft by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved           Vanessa Beecroft, 2011 – ©  Efrem Raimondi – All Rights Reserved

Un obiettivo cosiddetto normale, l’equivalente di un 50 mm per capirci.
Una rarità per me… È quando voglio schiacciare leggermente i piani.
A volte con l’ausilio di un tubo di prolunga.
E non so perché, ma con lei, guardandola, non ho pensato a altro.

Esterno, luce ambiente coperta. Ma una direzione ce l’ha.

Ammorbidito il contrasto con un banalissimo pannello circolare bianco, un lastolite a sinistra. E solo perché, sempre cortesemente, le ho chiesto di voltare il viso su di me.
E alzarlo un niente.

In fondo, a pensarci, ricorro spesso al niente. Che è una misura precisa.

Fotocamera su cavalletto a un metro; questo sguardo così in macchina, che a ingrandirlo si coglie perfettamente cosa vede; diaframma moderatamente aperto e la spalla sinistra su un piano altrove.
Ma la pelle la sento. La pelle una cifra imprescindibile.

Lei è così. Solo in questo tempo che è un altro.
Che è una interruzione della norma.
Insomma è una fotografia.
Scatto.
Fine.
Semplice.
Basta avere chiara l’intenzione e assecondarla. Non pensare ossessivamente a cosa si sta facendo.
Il gesto, in fotografia, non sta nel produrre ma nel prodotto.
Come fare un girotondo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Pagherete caro, pagherete tutto.

C’è questa tendenza a pensare che i fotografi che non fanno reportage – quello maiuscolo, colto, incline alla lacrima – o aderenti a questa iperbole della fotografia sociale, siano dei fighetti.
Mi spiace deludere, non è così.

La fotografia è un luogo intimo. E si vede.
Coincide nella migliore delle ipotesi con la visione che hai del mondo.
Con te.
Qualsiasi cosa tu faccia.
Soprattutto se è chiaro chi è il soggetto: tu! E la tua fotocamera che ti asseconda. Sempre.
Senza un attimo di tregua. Nemmeno se stai ritraendo Dio.
È davvero così.

Pagherete caro, pagherete tutto.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedRitratto a questa vacca, Trentino 2014

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedAcquario, Lombardia 2016

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedFiorellini, non ricordo dove 2017

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedDolomiti, Pinzolo 2015

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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NO DIFFERENCE

No difference. Detta inter nos, paese allo sbando, nessuna differenza.
Sembra difficile da capire, e non tanto sul piano intellettuale, sul piano dialettico, quanto invece sul piano dell’affermazione iconografica: cioè ciò che fotograficamente realmente produci.

Ed eventualmente mostri.

Che differenza c’è tra il ritratto di un operaio e di una star?
Nessuna.
L’unica differenza sei tu, lì con la fotocamera in mano.
Il problema che ogni tanto si affaccia, ed è visibilissimo, è esattamente questo: tu.
Con l’aggravante della fotocamera in mano.
Perché si vede benissimo quanto ti lusinghi ritrarre, fotografare, una star, vera o presunta, e come ti sbatti quando ce l’hai davanti.

E invece quanto sei sciatto quando la star sei tu. Spesso presunta.
Sempre presunta, perché se vuoi sapere la verità, entrambi i ritratti sono davvero banali.
Volgari.
Togli il nome sotto il soggetto, l’uno e l’altro, e vedrai che non ti rimane niente.

Sai perché? No che non lo sai.
Perché se non riconosci te stesso in chi e anche in ciò che hai davanti, non hai alcuna autorità.
Sei nessuno.

La fotografia funziona così.
Ed è così semplice…

OPERAIO TESSILE by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedOperaio tessile, 1989.
Uno dei due ritratti a operai della Piacenza Cashmere, stabilimento di Pollone, vicino a Biella.
In banco e Polaroid 55.
Entrambi i signori non vollero dirmi il nome.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Oggi…

Oggi ho sessant’anni.
Non si dovrebbe nascere in un mese così.
Chiunque ad agosto, sa perché.
Una ricorrenza in apnea dal tempo delle elementari.
Nascosta il più possibile: d
etesto le ricorrenze.

Non me ne frega un cazzo del mio compleanno!
Oggi però ho sessant’anni…
Non ci credo.

Non ho mai considerato il tempo, il suo trascorrere, un problema.
Non un motivo di discussione.
Non ci ho mai pensato. Non l’ho mai scandito.
La relazione l’ho regolata centrifugando fotografia.

E finora tutto sommato m’è andata bene.

Stabilire unilateralmente che fermare qualsiasi moto è possibile.
Almeno sospendere, rimbalzando in una realtà parallela.

Quasi parallela. Perché invece procede per fatti propri.
E a un certo punto si allontana.
Un patto per sopravvivere a tutto.
Un’illusione meravigliosa.

Già…
Di anni invece ne ho tre.
Sempre quei tre fermi alla visione folgorante di mio padre che si toglie un guanto e mi saluta agitando la mano.
È così che ho iniziato a vedere.
E quell’anello… quel rubino che mi ha accecato nella neve di quel dannato Natale, adesso è mio. Da un po’.

Da trentotto fotografo pensando a me stesso, che me ne faccio del compleanno?

Nota
INVISIBLE è il video che precede alcuni miei incontri pubblici.
Un pot-pourri, una centrifuga. Tolte le quattro o cinque che segnano un momento preciso, le altre immagini le ho letteralmente pescate qui e là, trasversalmente e con leggerezza.
Non ho pensato, altrimenti non sarei stato in grado e tanto valeva rimanere come un coglione davanti allo specchio.

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IDEA e IDEE

Ci sono due fotografi, mica di più.
E per fotografo intendo una persona che usa coscientemente la fotografia.
Indipendentemente dalla destinazione d’uso.

Uno che produce idee… che su queste lavora e ne elabora di continuo.
Un ventaglio. E le idee sparse a rinfrescare.
Un altro che ne ha una sola.

Sempre quella.
Sempre lo stesso arbitrio e il linguaggio al centro.

Lapidario. Ma davvero non c’è altro.
E si vede.

Vasco Rossi by EfremRaimondi - All Rights ReservedVasco Rossi, 22 maggio 2013 – 19:30

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Parametro Pupo

Ho fotografato Pupo. Lo dico alle lectio appena finita la proiezione del mio lavoro intorno alla figura umana, convenzionalmente detta ritratto.
Tra tutte le persone che ho fotografato, nella circostanza è l’unico nome che cito.
Perché è un parametro perfetto se intendi fare ritratto.
Ci sono cliché e postulati sul ritratto tutti frutto di una serie di equivoci.
Almeno per ciò che mi riguarda.
In primis che sia un ambito chiuso, la cui essenza e cifra espressiva si misurano con la capacità dell’autore di restituire l’anima del soggetto.
Bene…
Tu guardi Pupo. Ma vedi me.
Quindi di che anima stiamo parlando?

Non ho mai pensato di fotografare la persona, qualsiasi persona, con la presunzione tipica del ritratto: non   c a r p i s c o   un cazzo!
Una presunzione pericolosa. Perché più che in ogni altro ambito fotografico riduce la dialettica iconografica entro il recinto del genere. Ed è facile crollare.
Lavoro. Ed è un lavoro che coinvolge tutti i sensi che hai.
Ciò che si vede è solo un abbaglio: è ciò che non si vede, è lì che lavori. Lì che risiede la tua cifra espressiva.
Stiamo facendo Fotografia…
La cui dialettica non ha restrizioni: o è così o per me non è Fotografia. L’unica cosa che mi interessa produrre.
Ci provo. E qualche volta ci riesco.
Sai che mi frega del Ritratto!
Altrimenti in Pupo non mi sarei mai riflesso.
E al massimo avrei potuto restituire una didascalia.

L’ho ritratto nel 2006, in partenza per non ricordo quale posto impronunciabile dell’ex Unione Sovietica: se usassimo la presunzione del ritratto, se usassimo la nostra presunzione estetica, musicale in questo caso, restituiremmo ciò che non ci riguarda.
Invece l’intento è di restituire qualcosa che ci riguarda intimamente.
Detesto chi fa calcoli in fotografia.
E si risparmia perché la persona che sta ritraendo non corrisponde al suo circuito… Culturale? Estetico? Morale?
Quella faccia lì, quella che poi mostriamo, è la nostra!
Porta la nostra firma…
Qualcuno mi dica perché dovremmo certificare così banalmente i nostri limiti espressivi…
Invece la faccenda è molto più semplice. E ha a che fare con la complessità di Pupo.
Ed è qui che ti devi fermare.

Qui, per andare oltre la didascalia di genere.
Qui, disintegrando il paravento della privacy.
Qui, e non hai alibi.

Tutto è possibile. Con chiunque se davvero comunichi.
Una qualità dialettica direttamente proporzionale alla fotografia prodotta.
Anche nella divergenza. Anche quando c’è scontro.
Anche quando ciò che fa il soggetto che ti tocca non ti riguarda.
E anzi, più non ti riguarda più la fotografia che produci deve essere roba tua.
Anche per questo Pupo è perfetto.
Amo l’immagine che ho restituito. Una di quelle che amo di più.
E questo affetto è davvero gratis. Perché a prescindere da qualsiasi aspettativa.
Che poi, altro errore capitale: avere delle aspettative.
Le fotografie si producono facendole.
Non pensandole. Non parlandone.
Nel ritratto è quando hai la persona davanti.
Il prima, con tutte le sue sovrastrutture, e il dopo con tutte le promesse non mantenute, contano zero.
Non conta chi hai ritratto. Non è una questione di tacche e quante più persone famose hai mirato più sei figo. Forse per la vanagloria mediatica, solo per questa, ha un valore.
Ma in Fotografia conta solo il come.
E chi hai davanti in quel momento è tutto.
Io avevo davanti Pupo.
Sei tu.
Sono io.
Sono felice di averlo ritratto.
Dovesse succedere a te, cosa faresti?
Non chiedertelo. Fallo.

Pupo by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

Fiumicino. Hilton Rome Airport Hotel, dicembre 2006.
Quando collaboravo con Grazia magazine.

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Body only Body


Body only body…
Una serie iniziata nel 2004.
Che devo assolutamente riprendere.

Ne ho ritratti altri, così.
E ne ritrarrò ancora.
Così.
Solo di donne body only…

 

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved

Body Uno, 2004

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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