Cara signora Tosoni.

Myriam Tosoni – © Laura De Tomasi. All rights reserved.

Myriam Ada Tosoni… sempre chiamata Myriam. Di Ada io non ne sapevo niente.
Per diversi anni ho avuto il piacere e l’onore di frequentarla, grazie a Laura, mia moglie.
E loro sì che si conoscevano bene malgrado la diversa anagrafe.
A dire il vero io ero un po’ di rimbalzo, ma ci stava… l’importante era esserci. E ascoltare. Perché di cose da raccontare Myriam Tosoni ne aveva parecchie. E non erano cianfrusaglie.
Questa donna è stata la segretaria di redazione della rivista Casabella (f.1928), una delle più prestigiose del mondo, dal 1958 al 1996, anno in cui è andata in pensione.
Sotto la direzione di questi signori: Ernesto Nathan Rogers, Gian Antonio Bernasconi, Alessandro Mendini, Tomas Maldonado, Vittorio Gregotti. Ecco.
Myriam conosceva e si rapportava direttamente con architetti, designers, fotografi, critici, diventando un vero punto di riferimento. Solo che era una delle persone più garbate che abbia mai conosciuto.
Colta, acuta, ironica e anche sarcastica… e anche bella tosta.
E anche un sacco di altre cose…
Gran fumatrice alla faccia di una serie di controindicazioni, aveva una risata esplosiva.
E contagiosa.
In questo momento ho dei flash di casa sua e della prima volta che ci ho messo piede: ricca di sorprese straordinarie e di libri che conoscevo. Solo che non sapevo del suo contributo.
La segretaria di redazione di un certo periodo era una figura centrale. Una sintesi di photo editor-redattrice-traduttrice-organizzatrice… nel suo caso al massimo livello. Senza di lei sarebbe stato lo sbando.
In Electa, la casa editrice, Myriam Tosoni era un’istituzione.
E in ambito design/architettura tutti conoscono il suo nome. Qui e altrove: sto parlando di storia dell’editoria italiana, quella vera.
Mica ciance, smancerie e gridolini entusiasti…
Protagonista di un caso credo unico nella storia dell’editoria: le cartoline che Jacques Gubler, grande storico e critico dell’architettura, le ha inviato dal 1982 al 1996 direttamente a Casabella e che hanno accompagnato la direzione Gregotti.
Tutte con lo stesso attacco: Cara signora Tosoni…
E tutte racolte in un meraviglioso libro edito da Skira, Le cartoline di Casabella. 1982-1996. Cara signora Tosoni.
(http://www.skira.net/le-cartoline-di-casabella-1982-1996.html ).
Proprio così, cara signora Tosoni…
Proprio così, un paio di giorni fa vengo a sapere della sua scomparsa. Mi sono sentito male. Perché era un po’ che non la si vedeva. Colpa mia… sempre rimandato.
La Triennale di Milano le dedica il 21 di questo mese l’evento ”Cara Signora Tosoni”.
(http://www.triennale.it/it/triennale-design-museum/mostre-e-attivita/1298-cara-signora-tosoni-evento-in-ricordo-di-myriam-a-tosoni )
Ho cercato, adesso, sul sito di Casabella… nisba. E certamente sbaglio la ricerca, perché sarebbe molto grave se non ci fosse un ricordo sulle pagine della rivista per la quale ha lavorato, nel suo modo, per trentotto anni.
Ho cercato anche freneticamente una fotografia che so di averle fatto… nisba, non la trovo. Quella che pubblico è di mia moglie. In ricordo di una serata.
Certe cose non tornano e non hanno rimedio… cazzi tuoi Raimondi!
Però mi resta indelebile il suono della sua voce. Che è la cosa più struggente.
Ciao Myriam!

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

P.S. Ho ricevuto la segnalazione della pubblicazione di un articolo da parte di Casabella:

http://casabellaweb.eu/2012/09/15/myriam-a-tosoni

Foto a cazzo.

Ovvero analogico versus digitale.

Sto iniziando una collezione di immagini dal titolo Foto a cazzo.
Sono fotografie realizzate senza pensare, puntando dove capita… dove comunque l’occhio ha una minima attrazione. O distrazione. Fotocamera in completo automatismo, autofocus incluso. Prevalentemente con una compatta, col cellulare o con qualsiasi cosa rigorosamente digitale.
Alcune di queste immagini racimolate anche dal passato più o meno recente e ammetto, anche in pellicola.
Quindi  si possono fare comunque delle immagini così come capita, e magari ugualmente a cazzo anche con l’analogico… solo che il fatto di non vederle subito e il costo del processo mi inibiscono. La disinvoltura del digitale è altra roba insomma.
Tutto ciò, ricorda qualcosa?
E qui comincia la faccenda… l’analogico prevede un maggiore rispetto per ciò che si sta facendo e schiacciare un tasto ha a che fare con un processo che si rivelerà un tot dopo, a seguito di un percorso che richiede tempo. Lo scatto resta in tempo reale, ma la sua conferma no. Non solo… è completamente assente il tasto che ti permette eventualmente di riacquistare la verginità perduta: la memoria non si recupera e quella a disposizione coincide col tòcco di pellicola che resta. Dopo di che fine. Dopo di che passi ad altro rullo. Ad altra attesa. Nel frattempo magari rilassi il dito.
Non è lo stesso! Non è meramente un fatto tecnico legato alla diversa tecnologia… è un fatto fondamentalmente culturale!
La percezione analogica richiede maggiore consapevolezza!
E questo plus incide sulla proprietà di linguaggio. Direttamente.
La fotografia è cambiata! Analogico, scansati!
È la parola d’ordine vuota e stupidamente appiattita alle regole di un mercato il cui unico interesse è massificare il consumo.
Certo che la fotografia è cambiata, cambia di continuo. Da sempre.
Ma mai come oggi è offesa. Al punto che varrebbe davvero la pena dichairarla morta.
Solo che è un cadavere non sepolto trasformatosi in zombie.
Non ho preconcetti nei confronti del digitale, lo uso come chiunque altro. Per cui non sono tacciabile di purismo. Puro cosa? Sono lercio e uso qualsiasi strumento mi serve allo scopo.
Solo denuncio la demagogia di una democrazia digitale che permette libero sfogo a chiunque, specialmente se privo di capacità espressiva ma che grazie al mezzo trasforma qualsiasi momento in esibizione. Siamo nel vuoto temporale, quello in balia del trend momentaneo. Dove il valore aggiunto della postproduzione è in molti casi folklore. Quando non devianza ideologica.
Ed è ora di dare una bella stoppata a Photoshop, non al programma, ma a chi lo masturba. Però di questo ne riparleremo.
L’editoria periodica è ridotta a pezzi e gli editori si lamentano… ma le vogliamo guardare ‘ste riviste? Fanno mediamente schifo.
Non è diverso lo stato della comunicazione pubblicitaria e dell’arte: quali sono le mostre che si ricordano?
Non è che magari ha a che fare con la negazione della memoria?
Con la necessità di un totale indistinto che evita accuratamente il linguaggio, cioè la capacità di rendere intelligibile la percezione, la propria, e magari produrre qualcosa di meno volatile di una scorreggia?
Solo apparentemente i due percorsi, l’analogico e il digitale, conducono allo stesso risultato, per cui di che diavolo sto parlando?!
Lascio perdere in questo caso discorsi sul volume e la piattezza e tutte quelle belle cose che sono peculiarità dell’uno e non dell’altro, quello che dico è che ci sono similitudini nel risultato solo in subordine al cranio di chi ne fa uso.
Altrimenti, vista la quantità spaventosa di immagini che rimbalzano da ogni dove, no, non sono per niente la stessa cosa.
Un improvviso azzeramento delle performance digitali in ambito fotografico decreterebbe una caduta verticale della frenesia produttiva di immagini. Ma questo non accadrà.
Ci vorrebbe un trattato sull’argomento, ma questo non è luogo e io non ho la patente.
Foto a cazzo è il mio personale contributo all’album di famiglia, quello della post-fotografia.
Work in progress.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Nota: la fotografia pubblicata non fa parte della collezione.
Fotocamera Leica CM. Film Fuji NPS 160.
Errata corrige: fotocamera Ricoh GR1s.