Bianco e Nero – Una pura formalità, 4

 

Bianco e Nero- Operaio by Efrem Raimondi


Bianco e Nero

Ancora tu, che non esisti.
Ancora tu, umiliato e che però insisti.
Aggrappato al ricordo di quando giocavi da solo.
Tu, il peccato originale dal quale la fotografia dipende.
Insisto io: la matrice alla quale erroneamente deleghiamo la nostra parte nobile.
Poi arriva il maestrino… che ci dice che in natura non c’è né bianco né nero in veste assoluta.
Grazie. E chi se ne frega.
Neanche la fotografia esiste in natura, in qualsiasi veste si presenti.
Neanche l’antibiotico, e metà della popolazione mondiale sarebbe palta. Io compreso.
Quando fotografiamo esercitiamo un arbitrio. E il gesto è unilaterale.
Questo sì che è naturale.
Modulare e concedersi un po’ di tolleranza oltre l’oggettività semantica: per assoluto si intende davvero qualcosa che solo la percezione è in grado di rendere tangibile. Visibile. Un arbitrio appunto.
Ce l’hai questo arbitrio?
O stai incollato al manuale di colorimetria?

Bianco e Nero
Non è una tecnica. Non è una religione…
È un’idea, un concetto.
Più del colore pretende rigore. Perché in una gabbia più stretta. Pena la morte della fotografia che lo ospita.
E se la pellicola, una bella pancromatica, qualche suggerimento te lo dà, e in qualche frangente ti assolve, il digitale è quantomeno allergico. Il grado… tu puoi solo intervenire sul grado di allergia.
”Ma non lo sai che c’è la Leica Monochrom?”
Lo so. Ne ho ordinato un pallet. Che a me dopo ogni shooting piace schiantare la fotocamera per terra. Come gli Who.

Il B/N non è solo bianco e nero… in mezzo c’è tutta la gamma dei grigi. Ed è esattamente qui che si manifesta più fortemente l’allergia digitale. E siccome non si sa bene come affrontarla, succede che molti tendano a disintegrare tutte le informazioni lì in mezzo. Producendo un effetto da pellicola fotomeccanica. A loro insaputa. Terribile…
Per chi non l’avesse mai fatto: acquisti una bella Neopan Fuji, 100 o 400 iso, se no una Ilford qualsiasi – non le conosco – e faccia un rullo standard 36.
Delle normali stampe prodotte da un laboratorio dedicato bastano allo scopo. Cioè vedere la differenza. Che è immediata.
Perché il nero è Nero e il bianco è Bianco.
E in mezzo i grigi. Che non sono una patina omogenea, un velo offuscante… che non servono da paciere tra due contendenti, ma costituiscono la struttura dell’immagine. Il volume.
Un’immagine coi livelli compressi, dal contrasto elevatissimo, è solo una fotografia piatta. Un esercizio grafico.
E non è che l’aggiunta di qualche filtro di provenienza Instagram o qualsiasi altra roba cambi la questione. Semmai la peggiora.
Perché uniforma ulteriormente a un trend. Che è solo una specifica momentanea simile a una scorreggia.

Poi ci sono le eccezioni. Quando davvero l’elemento cromatico è soggetto, cioè in sé definisce il linguaggio e dà senso all’immagine.
Per cui può essere che un nero inchiodato e un bianco quasi bucato siano funzionali. Sapendo bene però che di materia, lì, non ce n’è.
Per intenderci non è roba da ritratto. Per me.

Bianco e Nero ultima spiaggia… un parto digitale. Accade quando si pensa che quella roba un po’ deludente che guardiamo con tutto l’RGB schierato, sia in realtà proprio una ciofeca. Ma chissà per quale motivo la si vuole salvare. E più che un salvagente, più di un canotto, le si lancia addosso la corazzata B/N. E l’affondiamo.
Finalmente! verrebbe da dire. Ma poi ci si ripensa. E si smanetta più o meno boh. Nella stragrande maggioranza dei casi il risultato è deprimente. E lo è tanto più è accattivante.
Perché a furia di sottolineare, il file si strappa. Come una pagina.
Se una fotgrafia è insignificante, resta tale anche a pois verde e rosa. Col nero oltretomba al centro.
La fotografia nasce B/N o colore nella nostra testa. Così si ama dire.
Ed è anche vero. Non sempre…
Può succedere che ci si accorga dopo. È un sentore preciso, perché perforante.
Se sei alla preview, ancora lì con la fotocamera in mano, hai un’altra chance. Grande anche, perché la consapevolezza è una discriminante.
E puoi usarla. Basta chiudere gli occhi e cambiare visione. Quindi ri-scattare.
Questo in digitale.
In pellicola anche.
Perché è vero che la matrice esclude il bianco e nero, ma è ancora più vero che è il tuo cranio a decidere cosa farne della matrice. Come usarla.
E con questa tecnologia e una buona scansione ti basterà ricalcare le intenzioni.
Ecco… magari in ripresa tenderei a essere un filo sovraesposto… mezzo diaframma, uno. Anche due, in subordine al formato e alla circostanza. E ottenere un negativo più denso. Che equivale ad avere maggiori informazioni.

Poi… poi sul digitale d’ordinanza in rete si trovano tutte le dritte per produrre un bianco e nero da un file, passando direttamente da Photoshop o da Lightroom. E ognuno dice la sua.
Personalmente penso che sia sempre meglio avere un file con più informazioni possibili.
Quindi con una estesa gamma dinamica. Come per la pellicola di cui sopra insomma.
Direi uguale… In postproduzione poi se ne riparla.

Ma in assoluto ciò che conta, ciò che determina qualsiasi azione si intenda fare, è l’idea che abbiamo di B/N.
E che idea abbiamo di fotografia.
Entrambe le cose non si improvvisano.
E non è un’astrazione. Non è un alibi per snobbare la tecnica, che tanto non è eludibile e solo conoscendola puoi decidere cosa fare, di lei e di te.
Senza questo preliminare si rischia di pirlare come una trottola. Che gira e rigira sempre sullo stesso punto. Quindi, a fine corsa, affossarsi nel grande limbo mediatico.
Bianco e Nero come concetto significa avere chiarissima la traduzione che il nostro cranio fa del passaggio dalla vista allo sguardo. Che è l’unica cosa che ci appartiene.
E distingue.

Dell’HDR non parlo neanche.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Bianco e Nero by Efrem RaimondiMago, 2014. iPhone

Bianco e Nero by Efrem RaimondiL’impronta, 2014. Work. iPhone

Bianco e Nero - Giacomo Agostini by Efrem Raimondi

Giacomo Agostini, 2004. Scansione da negativo colore 4,5/6

Bianco e Nero - Giovanna Gentile Ferragamo by Efrem Raimondi

Giovanna Gentile Ferragamo, 1996. Negativo 10/12

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

John Siciliano, 2000. Negativo 6/7

Bianco e Nero - my father by Efrem Raimondi

My father, 1995. Negativo 10/12

Bianco e Nero - self portrait by Efrem Raimondi

Self portarit, 1986. Polaroid 55

Bianco e Nero by Efrem RaimondiDaniele Scarpa, 1999. Negativo 6/7

Bianco e Nero - Elio Carmi by Efrem Raimondi

Elio Carmi, 1992. Polaroid 55

Bianco e Nero - Platinette by Efrem Raimondi

Platinette, 2000. Negativo 4,5/6

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Trussardi monografia, 1996. Milano. Negativo 35mm

Bianco e Nero - Tulipano Nero by Efrem Raimondi

Tulipano Nero, 1992. Polaroid 55

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Promenade des anglais, 1998. Nice. Polaroid 600

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Gatto nero, 1999. Polaroid 600

Bianco e Nero- Operaio by Efrem Raimondi

Operaio, 1989. Polaroid 55

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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Il Fotografo magazine – Cover

Il Fotografo - Efrem Raimondi


Il Fotografo
ha una nuova direzione. Quella di Denis Curti.
Quindi sarà una nuova rivista.
Bene: in bocca al lupo!
Sono molto affezionato a questo magazine, perché è stato il primo a pubblicare un mio lavoro. Un reportage sui portatori di handicap… secco dal taglio intimista.
Ne ho già parlato.
Nel corso del tempo l’ho perso di vista… come un po’ tutte le riviste di fotografia.
Mi riaffaccio. Trentadue anni dopo.

È stato lo stesso Denis Curti a chiedermi di selezionare alcune mie immagine di Vasco Rossi.
Eh… sembra facile. Non lo è. Anche perché TABULARASA, il libro fatto con Toni Thorimbert, è lì da vedere. E per una volta mi permetto anche di aggiungere che di roba ce n’è tanta.
Comunque, Denis Curti e io, insieme, ce l’abbiamo fatta. E tre sono inedite.
Approfitto della circostanza per dire due cose sulla fotografia che faccio con Vasco Rossi.
È una fotografia semplice. Molto semplice.
Non è una fotografia facile.
Non è per niente dissimile da quella che faccio abitualmente: perché dovrei alterare qualcosa? A parte il fatto che non ne sarei capace…
E questo è il primo punto, quello che ha segnato sin dall’inizio il nostro rapporto: per me il soggetto è l’immagine che si ha davanti.
Tutto il rettangolo, non solo dove c’è lui.
Anzi a volte quasi non c’è.
A volte ci si nasconde. Entrambi.
E più credi di vederlo bene, perché ce l’hai proprio davanti a occupare tutto il fotogramma, più si gioca altrove.
Sono le sfumature, i dettagli, a contare.
Le imperfezioni… le ombre… le distonie e anche qualche – raro – eccesso iconico: tutto ma proprio tutto finisce per convergere e trovare equilibrio.
Magari precario, ma chi se ne frega… noi lo congeliamo esattamente nell’istante che ci accomuna. E con ciò, è per sempre. O almeno per il tempo che ci riguarda. Che è già qualcosa.
Uso il plurale. Perché per farlo da quattordici anni, occorre sintonia.
Che non è una coincidenza piatta, ma un percorso realmente condiviso. Anche nella contraddizione.
Con lui ma anche coi suoi collaboratori più stretti, in primis Tania Sachs e Floriano Fini. Che sono stati sempre presenti a tutti i miei shooting.

Non ho mai ritratto nessuno dicendogli Fai quello che vuoi.
Né tantomeno lo direi a Vasco. Perché se ne andrebbe.
Chi è davanti all’obiettivo si aspetta che sia tu a dire qualcosa.
Anche le rockstar, anche le attrici, anche i designer.
Anche la mamma.
Poi si interagisce.
Nell’intervista di Denis Curti, Vasco dice Considerando che farmi fotografare m’innervosisce e mi indispone, è necessario che il fotografo riesca a coinvolgermi, sia molto sveglio, svelto e abbia le idee chiare.
Ecco… forse ciò che soprattutto mi riguarda è che si fa coinvolgere.
Altrimenti le fotografie sotto la doccia, quelle sì del 2004 – perché le due pubblicate di Castellaneta in realtà sono del 2014… un refuso, succede – non ci sarebbero state.
Quanto alle idee chiare, davvero a me si schiariscono strada facendo.
All’inizio mi guardo attorno e basta. Ma non c’è affanno.
L’affanno è inutile. Pericoloso e virale…
Qualcosa si troverà.
Perché non è tanto nello specifico di uno shooting e in una ideona triccheballacche che risiede la cifra di un lavoro.
Ma in una idea più ampia di fotografia e la sua modulabilità.
Questo vale per tutti. Non è una prerogativa ad personam.
E poi c’è il fatto che a me piace fotografare le persone complesse.
E Vasco lo è. Complesso, non complicato…
E questo è un agio.
Perché ci permette a volte di attaccarci a un dettaglio apparentemente marginale.
E invece lì c’è tutto.
Per esempio le due pubblicate, di Pieve di Cento anno 2013: Vasco era risorto rispetto a quando l’avevo visto un anno prima, che stava davvero male.
S’era lasciato tutto alle spalle.
E quando ho visto le frange di quella giacca nera mi è stato subito chiaro cosa fare.
Ho costruito una sequenza… in realtà a me bastava questo dittico.

Vasco Rossi by Efrem Raimondi

E avrei anche smesso di fotografare.
E avrei sbagliato. Perché un po’ dopo ho fatto quella del fondale e lui dietro.
Solo mani, cappello, stivali. Vasco anche così.
Per me almeno. E anche per lui credo.
Poi si tratta di verificare per chi altro…
Sono molto affezionato a questa immagine.
Fatta di niente.
Sempre recenti le due inedite di Castellaneta, settembre 2014. Cinque mesi fa.
Un Vasco così sdraiato e il primo piano della copertina.
Ognuno tragga le sue conclusioni.
Le mie sono che questa fotografia è sempre più divergente dal gusto di certi magazine. Che infatti non la usano.
Ma non è una colpa, semplicemente facciamo due cose diverse.
Io continuo a fare fotografia. Loro la evitano.
Sono fermi lì, Vasco Victim… Io no, io lo ritraggo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Il Fotografo - Efrem Raimondi

Il Fotografo - Efrem RaimondiIl Fotografo - Efrem Raimondi

Il Fotografo - Efrem Raimondi

Adesso in edicola.
Un grazie speciale a Tania Sachs e a Floriano Fini, compagni di questo viaggio.

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A parte

Succede molto raramente perché se è di un personaggio che si tratta, in genere fotografo prima o dopo. Ma sempre un altro giorno.
In studio o in location è lo stesso, è comunque di ritratto che parlo.
Le pochissime volte che è capitata una contemporanea fotografia-intervista, mi sono sempre divertito molto.
E siccome in questo caso lo shooting viene prima, essenzialmente per una questione di… tempo? freschezza del soggetto? comunque sia dopo assisto all’intervista. Sempre che la/il giornalista sia d’accordo, perché potrebbe benissimo non esserlo e allora nisba.
Del resto capisco: sul mio set il soggetto è mio, e non gradisco presenze estranee al percorso fotografico. Quindi uguale.
Sta di fatto che né io sono mai stato messo alla porta né ho mai messo alla porta qualcuno.
Sarà che nella circostanza data diventiamo come un sol uomo…
Basta che fotografo e giornalista avvertano con chiarezza che stanno lavorando per un magazine, e che quindi immagini e testo hanno lo stesso peso. E che la riuscita di un redazionale così composto dipende dalla qualità di entrambi i contributi.
Perché a me non piace fare un buon lavoro e trovarmi un testo fiacco. Suppongo valga anche per chi scrive: avere un buon testo e fotografie insipide indebolisce.
Ma ce l’avranno? Lo stesso peso dico…
Il ritratto nei magazine ha avuto fortune alterne.
Oggi non mi sembra essere nel punto più alto della curva.

GIULIO ANDREOTTI by Efrem Raimondi

Giulio Andreotti, 2006. Grazia mag. Intervista di Alessia Ercolini

Quindi assisto all’intervista. E con me tengo una macchinetta.
Prima una compatta analogica, adesso digitale.
Me ne sto seduto in assoluto silenzio, il mio lavoro l’ho già fatto.
Ed è molto interessante ascoltare, anche perché è un ascolto provvisto di gestualità, espressioni, toni vocali.
Come un video. Ma meglio. Perché non c’è nessuno a riprendere e in qualche modo il soggetto è più rilassato… non ha nessuna fotogenia da difendere. Che il video è una brutta bestia.
Sto lì e ogni tanto inquadro.
A volte scatto, a volte no.
A volte one shot. E mi basta. Come per Giulio Andreotti.
A volte faccio una sequenza. In genere della gestualità… quindi le mani diventano il soggetto. Come per Giorgio Rocca.

GIORGIO ROCCA by Efrem Raimondi

Giorgio Rocca, 2007. Sport Week mag. Intervista di Raffaele Panizza

Non è grande fotografia, lo so… diciamo un souvenir per me.
Però è un ottimo esercizio: ci sei ma è come se non ci fossi.
Quasi non si deve neanche sentire il suono dell’otturatore… per cui è d’obbligo evitare le pause, quello spazio totalmente muto, dove il click diventa un gong. E si rischia il tilt.
Ecco… sei come carta da parati.
Poi succede, il novembre scorso, che Interni magazine mi chiede se ho voglia di fotografare un’intervista.

Francesca Molteni, Ron Gilad - by Efrem Raimondi

Francesca Molteni e Ron Gilad, 2014. INTERNI mag. Intervista di Valentina Croci

Il soggetto è proprio l’intervista… a Ron Gilad, designer, e Francesca Molteni, creatrice di progetti multimediali. Una roba che non avevo mai ponderato.
Ma se le ho fatte per mio diletto, anche se come souvenir, perché mai non dovrei farla per davvero?
E infatti l’ho fatta.
Pensando solo a una sequenza. Leggera.
Credo ci voglia sempre una grande umiltà.
Si impara molto.
Vale per tutti.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Ponchielli – 10 anni

Ponchielli - Efrem Raimondi blog

 

Il premio Ponchielli ha 10 anni…
Voluto nel 2004 dal GRIN – Gruppo Redattori Iconografici Nazionale – per ricordare Amilcare Ponchielli, il primo photo editor italiano.
Mi ricordo bene Amilcare… l’ho incrociato e ci ho chiacchierato diverse volte in Rizzoli, ad Amica. Anche se credo di avere collaborato con lui solo a un paio di redazionali. Un po’ di tempo fa…
L’ho conosciuto tardi, e mi spiace moltissimo. Perché mi piaceva davvero: persona di poche parole, ma precise e dirette.

Lo sanno tutti, è un premio prestigioso: un premio per un progetto fotografico adatto alla pubblicazione su un periodico oppure online.
Come si legge nella prefazione di 10 Fotografi 10 Storie 10 Anni, il libro che appunto festeggia il decimo anno del premio.
Sì, c’è anche del reportage… ma anche no.
Mi viene da dire che c’è semplicemente della fotografia.
Semplice e complessa… fotografia insomma.
Complessa, non complicata…
Cioè prodotto di talento e capacità espressiva.
E siamo sempre qui: il fulcro è il linguaggio, come lo moduli è affar tuo.

Dieci anni undici autori: Alessandro Scotti – 2004, Giorgia Fiorio -2005, Massimo Siragusa – 2006, Lorenzo Cicconi Massi – 2007, Paolo Woods – 2008, Martina Bacigalupo – 2009, Andrea Di Martino – 2010, Guia Besana – 2011, Tommaso Bonaventura e Alessandro Imbriaco – 2012, Fabio Bucciarelli – 2013.

Diversi e tutti molto autorevoli gli interventi scritti.
Ma io cito solo Mariuccia Stiffoni Ponchielli perché dice questo: Tutti i progetti che hanno vinto il Premio Ponchielli o che sono stati segnalati rappresentano la speranza che parole e immagini ripartano da un punto zero verso un pensiero attivo, una coscienza critica, una capacità di giudizio libera.
Bellissimo!
Mi piacerebbe che i magazine lo stampassero in cima al colophon.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ponchielli - Efrem Raimondi blogAlessandro Scotti, 2004

Ponchielli - Efrem Raimondi blogGiorgia Fiorio, 2005

Ponchielli - Efrem Raimondi blogMassimo Siragusa, 2006

Ponchielli - Efrem Raimondi blogLorenzo Cicconi Massi, 2007

Ponchielli - Efrem Raimondi blogPaolo Woods, 2008

Ponchielli - Efrem Raimondi blogMartina Bacigalupo, 2009

Ponchielli - Efrem Raimondi blogAndrea Di Martino, 2010

Ponchielli - Efrem Raimondi blogGuia Besana, 2011

Ponchielli - Efrem Raimondi blogTommaso Bonaventura e Alessandro Imbriaco, 2012

Ponchielli - Efrem Raimondi blogFabio Bucciarelli, 2013

Ponchielli - Efrem Raimondi blog

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10 Fotografi 10 Storie 10 Anni – Premio Ponchielli 2004-2014.
Contrasto, 2014.
224 pagine, illustrato, rilegato, 21×19 cm.
€ 24,90.

Inoltre il GRIN sta preparando una mostra a riguardo, che si terrà alla Galleria San Fedele di Milano il prossimo mese di marzo.
Diverse le possibilità di adesione. Qui il link con tutte le info:

MOSTRA

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