Made in Italy – Exhibition

MADE IN ITALY – Ricominciamo da qui è la mostra inaugurata il 3 ottobre a Como presso il Museo della Seta.
Ideata e curata – molto bene – da Maria Cristina Brandini.
Moda, anzi, proprio Fashion e la fotografia che la esprime: Stefano Babic, Alessio Cocchi, Giovanni Gastel, Daniel Grandolfi, Irina Litvinenko, Fabrizio Mazzoni, Efrem Raimondi, Andrea Varani. Tutti appesi. Anche Laura Morino, fotografata da Giovanni Gastel e da Alessandro Vasapolli.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedEcco… ma io? Quando Maria Cristina Brandini mi ha invitato ho balbettato qualcosa tipo ma… ma io?
Non fotografo più la moda da una trentina d’anni.
Però per un quinquennio l’ho fatta. Davvero.
A modo mio. Per accorgermi poi che non era il modo.
È che le cose cambiano. Il mondo cambia. Io pure.
E quindi la penso come una parentesi formativa. Che mi ha permesso in seguito di relazionarmi comunque con alcune case di moda su altri percorsi non strettamente fashion, per dirla alla fotografese.

Ma evidentemente Maria Cristina qualcosa ha visto. Ne sono felice e per questo la ringrazio.
Questo è ciò che espongo. Su queste pareti, in questo box allestito da Roberto Bernè coadiuvato dalla stessa curatrice.

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Egon von Furstenberg 1987 by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

Egon von Furstenberg, 1987

Dolce & Gabbana, 1988 by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedDolce & Gabbana, 1988

Trussardi, 1996 by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedTrussardi, 1996

Prada, 1992 by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedPrada, 1992

INTERNI magazine, 2005 by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedINTERNI magazine, 2005

Jimmy Choo - VOGUE PELLE magazine, 2005- 30° Anniversary Issue © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJimmy Choo – VOGUE PELLE magazine, 2005- 30° Anniversary Issue

MADE IN ITALY, Ricominciamo da qui – Exhibition
Museo della Seta – Como

Via Castelnuovo, 9. Fino al 30 ottobre.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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NEWWEBSITE – visita guidata

NEWWEBSITE, visita guidata.
Ho pensato che fosse necessario – non so perché – fare un piccolo video di navigazione del nuovo sito: durata 6 minuti.
E l’ho fatto e rifatto e rifatto… non finivo più complice la febbre.
A braccio, no testo a fronte. E tachipiraña a accompagnarmi.

Buona visione
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Bianco e Nero – Una pura formalità, 4

 

Bianco e Nero- Operaio by Efrem Raimondi


Bianco e Nero

Ancora tu, che non esisti.
Ancora tu, umiliato e che però insisti.
Aggrappato al ricordo di quando giocavi da solo.
Tu, il peccato originale dal quale la fotografia dipende.
Insisto io: la matrice alla quale erroneamente deleghiamo la nostra parte nobile.
Poi arriva il maestrino… che ci dice che in natura non c’è né bianco né nero in veste assoluta.
Grazie. E chi se ne frega.
Neanche la fotografia esiste in natura, in qualsiasi veste si presenti.
Neanche l’antibiotico, e metà della popolazione mondiale sarebbe palta. Io compreso.
Quando fotografiamo esercitiamo un arbitrio. E il gesto è unilaterale.
Questo sì che è naturale.
Modulare e concedersi un po’ di tolleranza oltre l’oggettività semantica: per assoluto si intende davvero qualcosa che solo la percezione è in grado di rendere tangibile. Visibile. Un arbitrio appunto.
Ce l’hai questo arbitrio?
O stai incollato al manuale di colorimetria?

Bianco e Nero
Non è una tecnica. Non è una religione…
È un’idea, un concetto.
Più del colore pretende rigore. Perché in una gabbia più stretta. Pena la morte della fotografia che lo ospita.
E se la pellicola, una bella pancromatica, qualche suggerimento te lo dà, e in qualche frangente ti assolve, il digitale è quantomeno allergico. Il grado… tu puoi solo intervenire sul grado di allergia.
”Ma non lo sai che c’è la Leica Monochrom?”
Lo so. Ne ho ordinato un pallet. Che a me dopo ogni shooting piace schiantare la fotocamera per terra. Come gli Who.

Il B/N non è solo bianco e nero… in mezzo c’è tutta la gamma dei grigi. Ed è esattamente qui che si manifesta più fortemente l’allergia digitale. E siccome non si sa bene come affrontarla, succede che molti tendano a disintegrare tutte le informazioni lì in mezzo. Producendo un effetto da pellicola fotomeccanica. A loro insaputa. Terribile…
Per chi non l’avesse mai fatto: acquisti una bella Neopan Fuji, 100 o 400 iso, se no una Ilford qualsiasi – non le conosco – e faccia un rullo standard 36.
Delle normali stampe prodotte da un laboratorio dedicato bastano allo scopo. Cioè vedere la differenza. Che è immediata.
Perché il nero è Nero e il bianco è Bianco.
E in mezzo i grigi. Che non sono una patina omogenea, un velo offuscante… che non servono da paciere tra due contendenti, ma costituiscono la struttura dell’immagine. Il volume.
Un’immagine coi livelli compressi, dal contrasto elevatissimo, è solo una fotografia piatta. Un esercizio grafico.
E non è che l’aggiunta di qualche filtro di provenienza Instagram o qualsiasi altra roba cambi la questione. Semmai la peggiora.
Perché uniforma ulteriormente a un trend. Che è solo una specifica momentanea simile a una scorreggia.

Poi ci sono le eccezioni. Quando davvero l’elemento cromatico è soggetto, cioè in sé definisce il linguaggio e dà senso all’immagine.
Per cui può essere che un nero inchiodato e un bianco quasi bucato siano funzionali. Sapendo bene però che di materia, lì, non ce n’è.
Per intenderci non è roba da ritratto. Per me.

Bianco e Nero ultima spiaggia… un parto digitale. Accade quando si pensa che quella roba un po’ deludente che guardiamo con tutto l’RGB schierato, sia in realtà proprio una ciofeca. Ma chissà per quale motivo la si vuole salvare. E più che un salvagente, più di un canotto, le si lancia addosso la corazzata B/N. E l’affondiamo.
Finalmente! verrebbe da dire. Ma poi ci si ripensa. E si smanetta più o meno boh. Nella stragrande maggioranza dei casi il risultato è deprimente. E lo è tanto più è accattivante.
Perché a furia di sottolineare, il file si strappa. Come una pagina.
Se una fotgrafia è insignificante, resta tale anche a pois verde e rosa. Col nero oltretomba al centro.
La fotografia nasce B/N o colore nella nostra testa. Così si ama dire.
Ed è anche vero. Non sempre…
Può succedere che ci si accorga dopo. È un sentore preciso, perché perforante.
Se sei alla preview, ancora lì con la fotocamera in mano, hai un’altra chance. Grande anche, perché la consapevolezza è una discriminante.
E puoi usarla. Basta chiudere gli occhi e cambiare visione. Quindi ri-scattare.
Questo in digitale.
In pellicola anche.
Perché è vero che la matrice esclude il bianco e nero, ma è ancora più vero che è il tuo cranio a decidere cosa farne della matrice. Come usarla.
E con questa tecnologia e una buona scansione ti basterà ricalcare le intenzioni.
Ecco… magari in ripresa tenderei a essere un filo sovraesposto… mezzo diaframma, uno. Anche due, in subordine al formato e alla circostanza. E ottenere un negativo più denso. Che equivale ad avere maggiori informazioni.

Poi… poi sul digitale d’ordinanza in rete si trovano tutte le dritte per produrre un bianco e nero da un file, passando direttamente da Photoshop o da Lightroom. E ognuno dice la sua.
Personalmente penso che sia sempre meglio avere un file con più informazioni possibili.
Quindi con una estesa gamma dinamica. Come per la pellicola di cui sopra insomma.
Direi uguale… In postproduzione poi se ne riparla.

Ma in assoluto ciò che conta, ciò che determina qualsiasi azione si intenda fare, è l’idea che abbiamo di B/N.
E che idea abbiamo di fotografia.
Entrambe le cose non si improvvisano.
E non è un’astrazione. Non è un alibi per snobbare la tecnica, che tanto non è eludibile e solo conoscendola puoi decidere cosa fare, di lei e di te.
Senza questo preliminare si rischia di pirlare come una trottola. Che gira e rigira sempre sullo stesso punto. Quindi, a fine corsa, affossarsi nel grande limbo mediatico.
Bianco e Nero come concetto significa avere chiarissima la traduzione che il nostro cranio fa del passaggio dalla vista allo sguardo. Che è l’unica cosa che ci appartiene.
E distingue.

Dell’HDR non parlo neanche.

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Bianco e Nero by Efrem RaimondiMago, 2014. iPhone

Bianco e Nero by Efrem RaimondiL’impronta, 2014. Work. iPhone

Bianco e Nero - Giacomo Agostini by Efrem Raimondi

Giacomo Agostini, 2004. Scansione da negativo colore 4,5/6

Bianco e Nero - Giovanna Gentile Ferragamo by Efrem Raimondi

Giovanna Gentile Ferragamo, 1996. Negativo 10/12

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

John Siciliano, 2000. Negativo 6/7

Bianco e Nero - my father by Efrem Raimondi

My father, 1995. Negativo 10/12

Bianco e Nero - self portrait by Efrem Raimondi

Self portarit, 1986. Polaroid 55

Bianco e Nero by Efrem RaimondiDaniele Scarpa, 1999. Negativo 6/7

Bianco e Nero - Elio Carmi by Efrem Raimondi

Elio Carmi, 1992. Polaroid 55

Bianco e Nero - Platinette by Efrem Raimondi

Platinette, 2000. Negativo 4,5/6

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Trussardi monografia, 1996. Milano. Negativo 35mm

Bianco e Nero - Tulipano Nero by Efrem Raimondi

Tulipano Nero, 1992. Polaroid 55

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Promenade des anglais, 1998. Nice. Polaroid 600

Bianco e Nero by Efrem Raimondi

Gatto nero, 1999. Polaroid 600

Bianco e Nero- Operaio by Efrem Raimondi

Operaio, 1989. Polaroid 55

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Trussardi – Monografia mossa

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Se non si muove nulla, allora muoviti tu.
Se il movimento è incerto, allora sii deciso… corri.
Se la frenesia è altrui, allora stai fermo.
E tutto ciò per fare cosa?
Fotografia. Mossa.
Perché il mosso di cui parlo si fa quando si scatta.
Non dopo.
Che poi, diciamolo chiaro: si vede la differenza!
Ma perché mai si dovrebbe omologare una fotografia così?
Non ne ho idea. Né me la pongo.
Per questo all’occorrenza pratico.
E al Futurismo non ho mai pensato. Neanche per sbaglio.
Neanche la prima volta, che credo sia stato più o meno quando ho preso la fotocamera in mano.
Solo che appunto, poco dopo averla presa in mano ho passato i dieci anni successivi in banco ottico. Scorrazzando in lungo e in largo. Un grande amore. Di quelli per sempre.
Ogni tanto mi sono concesso un break.
E con la macchinetta in mano godevo del dinamismo ritrovato.
Quello realmente fisico.
È come passare dall’affresco e il trabattello, alla bomboletta e il fianco del metrò.
Ma non è mai stato un caso. Qualche volta un gesto isolato, vero, ma per essere davvero efficace e liberatorio serve un percorso.
Uno spazio ampio: argini alti che ne garantiscano il fluire e diano un ordine.
Perché altrimenti il mosso è solo un’ubriacatura… che poi passa e non ti rimane niente. Non ne ricordi nemmeno il motivo e fatichi a trovarne il senso.
Il mosso non è lo sfuocato, che non prevede alcuna dinamica: fermo lì a smanettare l’obiettivo e cambiare le sembianze, che accentuano  la matrice bidimensionale.
Il mosso è invece penetrazione della materia, sfondamento dello spazio, illusione percepibile di un volume.
Patteggiamento col tempo, che deformi a tuo piacimento.
Come un funambolo, così mi sento… appeso a un filo col baratro ovunque. Perché è un attimo finire di sotto. O di lato.
Attraversi il vuoto in uno stato di allucinazione, che è la condizione per raggiungere la sponda. E ritrovare la gravità. Quella che ti riguarda.

Questo lavoro è stato concepito così. Ne avevo bisogno.
Era morto da poco mio padre. Volevo spaccare il cielo.
Tutto questo a Nicola Trussardi non l’ho detto.
Anche se ne avevamo chiacchierato in due occasioni di questo progetto.
Né l’ho detto a Christoph Radl, suo il progetto grafico.
Non credo proprio potesse interessare. Erano solo fatti miei in fondo.
A entrambi loro, giustamente, interessava vedere cosa sarebbe emerso.
A fine settembre 1996 ho realizzato la prima parte, ci siamo visti, e a quel punto mi è stato chiesto di realizzare anche la parte che avrebbe riguardato l’inaugurazione di Palazzo Marino Alla Scala.
Questo lavoro, questo mosso, costituisce la struttura iconografica del libro Trussardi, Marino Alla Scala.
Ci sono altre immagini, di Mark Borthwick, Riccardo Bianchi, Santi Caleca, Massimo Montagnoli – caro amico scomparso prematuramente – e Mario Testino.
Ma la struttura, la cifra, appartiene a questo mosso.
Il cui soggetto è Milano.
Piaccia o meno, è proprio così.
Una monografia… Un libro. Che richiedeva esplicitamente uno sguardo.
Ricordo molto bene l’espressione di Nicola Trussardi quando guardava le stampe dell’intero lavoro: gliene sarò per sempre grato.
Questo non è un amarcord. Questo è un punto.

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Trussardi, Marino Alla Scala
118 pagine – Rilegato a spirale, 24 x 30 cm
Contenuto in scatola 28 x 32 cm
Progetto grafico Christoph Radl/R+W
Stampato da Nava Web
Milano, marzo 1997.

Le immagini qui pubblicate sono solo una selezione dell’intero lavoro.
Fotocamere Nikon FE e FE2
Obiettivi Nikkor: 20/3,5 – 50/1,8 – 105/2,5 in un’unica immagine.
Film: Agfapan 100 e 400 ISO

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