Parametro Pupo

Ho fotografato Pupo. Lo dico alle lectio appena finita la proiezione del mio lavoro intorno alla figura umana, convenzionalmente detta ritratto.
Tra tutte le persone che ho fotografato, nella circostanza è l’unico nome che cito.
Perché è un parametro perfetto se intendi fare ritratto.
Ci sono cliché e postulati sul ritratto tutti frutto di una serie di equivoci.
Almeno per ciò che mi riguarda.
In primis che sia un ambito chiuso, la cui essenza e cifra espressiva si misurano con la capacità dell’autore di restituire l’anima del soggetto.
Bene…
Tu guardi Pupo. Ma vedi me.
Quindi di che anima stiamo parlando?

Non ho mai pensato di fotografare la persona, qualsiasi persona, con la presunzione tipica del ritratto: non   c a r p i s c o   un cazzo!
Una presunzione pericolosa. Perché più che in ogni altro ambito fotografico riduce la dialettica iconografica entro il recinto del genere. Ed è facile crollare.
Lavoro. Ed è un lavoro che coinvolge tutti i sensi che hai.
Ciò che si vede è solo un abbaglio: è ciò che non si vede, è lì che lavori. Lì che risiede la tua cifra espressiva.
Stiamo facendo Fotografia…
La cui dialettica non ha restrizioni: o è così o per me non è Fotografia. L’unica cosa che mi interessa produrre.
Ci provo. E qualche volta ci riesco.
Sai che mi frega del Ritratto!
Altrimenti in Pupo non mi sarei mai riflesso.
E al massimo avrei potuto restituire una didascalia.

L’ho ritratto nel 2006, in partenza per non ricordo quale posto impronunciabile dell’ex Unione Sovietica: se usassimo la presunzione del ritratto, se usassimo la nostra presunzione estetica, musicale in questo caso, restituiremmo ciò che non ci riguarda.
Invece l’intento è di restituire qualcosa che ci riguarda intimamente.
Detesto chi fa calcoli in fotografia.
E si risparmia perché la persona che sta ritraendo non corrisponde al suo circuito… Culturale? Estetico? Morale?
Quella faccia lì, quella che poi mostriamo, è la nostra!
Porta la nostra firma…
Qualcuno mi dica perché dovremmo certificare così banalmente i nostri limiti espressivi…
Invece la faccenda è molto più semplice. E ha a che fare con la complessità di Pupo.
Ed è qui che ti devi fermare.

Qui, per andare oltre la didascalia di genere.
Qui, disintegrando il paravento della privacy.
Qui, e non hai alibi.

Tutto è possibile. Con chiunque se davvero comunichi.
Una qualità dialettica direttamente proporzionale alla fotografia prodotta.
Anche nella divergenza. Anche quando c’è scontro.
Anche quando ciò che fa il soggetto che ti tocca non ti riguarda.
E anzi, più non ti riguarda più la fotografia che produci deve essere roba tua.
Anche per questo Pupo è perfetto.
Amo l’immagine che ho restituito. Una di quelle che amo di più.
E questo affetto è davvero gratis. Perché a prescindere da qualsiasi aspettativa.
Che poi, altro errore capitale: avere delle aspettative.
Le fotografie si producono facendole.
Non pensandole. Non parlandone.
Nel ritratto è quando hai la persona davanti.
Il prima, con tutte le sue sovrastrutture, e il dopo con tutte le promesse non mantenute, contano zero.
Non conta chi hai ritratto. Non è una questione di tacche e quante più persone famose hai mirato più sei figo. Forse per la vanagloria mediatica, solo per questa, ha un valore.
Ma in Fotografia conta solo il come.
E chi hai davanti in quel momento è tutto.
Io avevo davanti Pupo.
Sei tu.
Sono io.
Sono felice di averlo ritratto.
Dovesse succedere a te, cosa faresti?
Non chiedertelo. Fallo.

Pupo by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

Fiumicino. Hilton Rome Airport Hotel, dicembre 2006.
Quando collaboravo con Grazia magazine.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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27 thoughts on “Parametro Pupo

  1. Puoi svelarmi il mistero del tuo essere sempre così prezioso? o in alternativa, dimmi come faccio a sdebiatrmi con te per i tuoi articoli/consigli/dritte! Top!

  2. “Le fotografie si producono facendole”. Ho la tendenza a estrapolare frasi da uno scritto che ne rimarchino l’essenza. Questa frase é oltremodo ispirante, Efrem. Leggerti é sempre una lieta esperienza.
    Grazie.

  3. con questi tuoi pensieri caro Efrem, stai affrontando anche il tema della realtà in fotografia, quello che si dice, la fotografia non mente perché rappresenta la realtà, e non è vero a mio avviso perché come tu nei ritratti proietti il tuo sedimento culturale di anni, anche nel prendere un millimetro più a destra a sinistra o in basso si espande la propia versione della realtà che si ha di fronte, il nostro pensiero sul presente maturato da anni di esperienze. O almeno così mi sento quando sono davanti all’oculare. Sarà caso, ma questa tua foto un senso di sovietico me lo fa percepire, forse per l’ambiente, la tristezza rassegnata, non so.

    • non so Roberto se c’è un ombra di soviet, forse anche sì. ma non vedo tristezza rassegnata.
      però appunto la fotografia, come ogni linguaggio iconografico, è una relazione anche per chi la guarda. che non necessita coincidenza.

  4. Scrive Jacques Derrida (“Memoires d’aveugle. L’autoportrait et autres ruines”): “l’ambizione dell’occhio umano non è tanto vedere un altro occhio, ma incrociare uno sguardo. L’occhio, da cui si proietta lo sguardo, vuole incontrarne un altro – non un altro occhio, ma un altro sguardo – ed essere incontrato da esso”.
    Tu, Efrem, hai mai incrociato quello sguardo? Hai mai avuto la sensazione di essere entrato nella testa o nel cuore di qualcuno (penso per esempio alle foto di Giovanni Picchi) e, per effetto di una strana alchimia, di essertici ritrovato?
    Ciò non esclude il fatto che come fotografo tu non possa che restituire qualcosa che ti riguarda intimamente, perché ciascuno ha dentro un suo mondo di cose diverso da quello di tutti gli altri e non può dirci nulla che non sia già in lui. “Je est un autre” dice Rimbaud, sabotatore del confine tra identità e alterità, rivendicando la possibilità (e il privilegio) di non sentirsi proprietari del proprio io.
    Figuriamo di quello di un altro.
    Ma esiste l’empatia, quella sorta di irrazionale contagio emotivo, esclusivo della razza umana, che ci permette di con-fonderci con l’altro (“Sei tu. Sono io”) e farci credere che l’identificazione sia una possibilità, o una probabilità, o un equivoco, o un’illusione.
    “Tu guardi Pupo. Ma vedi me. Quindi di che anima stiamo parlando?” della sua o della mia? [……..] Quella faccia lì, quella che poi mostriamo, è la nostra!”, certo, è la tua faccia quella che mostri, e questo accade proprio perché ti stai confrontando con un ALTRO, e proprio con QUELL’altro.
    La foto è molto distante dallo stereotipo del cantante di musica leggera che ha scelto di chiamarsi Pupo e canta “Gelato al cioccolato”, è la foto un po’ cupa, ambigua, quasi minacciosa di una persona arrivata alla resa dei conti (con sé stesso o col mondo): è lui ad essere diverso da quello che ci siamo sempre immaginati? sei tu che hai evocato un nascosto lato oscuro? tu o lui non fa differenza, così come tu non potresti restituire ciò che non ti appartiene, così lui non potrebbe darti quello che non ha.
    Tu non cerchi, però trovi.

    ps: com’è andata ieri?

    • ieri è andata bene vilma.
      dunque, pupo… ordinatamente:
      sì, mi è capitato più di una volta di fondere lo sguardo. anzi spesso direi. è una condizione che si percepisce chiaramente. ed è un bivio. per entrambi. perché dopo, appena dopo, c’è il precipizio. e la fotografia è perfetta in questo percorso di sottrazione e sintesi: tutto ridotto a uno. solo che essendo fotografia, paradossalmente il punto debole è l’osservatore. soprattutto quello contemporaneo.

      ma certamente! così come io non potrei, anhe il soggetto non può restituire ciò che non lo riguarda. se ci tenta risulta macro artificiale… una stonatura in pieno don giovanni. e si coglie subito.

      quanto all’empatia, però vilma, non è esclusiva dell’uomo. mi è capitato, mi capita, di percepirla con altri animali. e non necessariamente solo gatti. anche se coi gatti, non so perché, capita più spesso. e ti assicuro che colgo reciprocità. giuro

  5. Ieri parlavo con una mia ex allieva che manifestava delusione per tutto ciò che sente sulla Fotografia…
    Gli ho passato l’articolo:
    Sottolineando due frasi:
    “Non ci capisco un cazzo”
    E “Fallo!”

    Thanks Efrem it’s important! ;-)

    • Vanessa! più che “non ci capisco” è “non carpisco un cazzo”. anche perché capire, capisco benissimo cosa sta succedendo. e cosa succede a una giovane che si avvicina alla fotografia.

      e cos’ha fatto la tua ex allieva?

  6. Efrem il ritratto a me piace molto classica luce naturale e ottimo feeling con il soggetto
    ma lo sai che mi fa venire in mente un’altra foto questa volta è opera di un’altro grande fotografo Alfred Eisenstaedt che come te era riuscito a cogliere quello sguardo inquietante il personaggio ovviamente è Goebbels ribadisco che non c’è e ci mancherebbe sul fatto che lui è un coautore del nazismo mentre il nostro grande Enzo Ghinazzi in arte Pupo è coautore della nostra musica italiana
    li ovviamente Eisenstaedt doveva fotografare il nazista dopo un intervista per la grande rivista Life certo in quello sguardo c’era una sorta di odio misto a sufficienza e goliardia naturalmente Efrem sempre a mio parere così mi è venuta in mente quella grande foto così come la posa del soggetto tu che ne pensi Efrem?
    Ciao

    • la fotografia alla quale fai riferimento Giorgio, ha più piani di lettura. e come sempre va presa tutta. compreso il braccio che tiene il foglio di carta.
      al quale goebbels è totalmente indifferente – almeno credo tu faccia riferimento a questa fotografia. e anche questo è un elemento. tutta quella immagine è potente.
      in modalità diversa anche questa di pupo ha un suo perché. a volte scattano delle affinità. indipendentemente dal fatto che ci siano o meno. né tantomeno che ci sia intenzionalità da parte dell’autore – ma a volte sì. vai a capire cosa scatta nella nostra memoria, nel nostro immaginario quando guardiamo una foto… perché a volte qualcosa scatta. quale il percorso, non lo so

  7. Quindi, non sempre ciò che ci è affine si riesce, talvolta, a rappresentarlo con intensità?Si finisce per rappresentare ciò che ci riguarda con una dialettica che a noi può sembrare comprensibile e invece è troppo complessa per gli altri?

    • la fotografia Marco, quella vera, è puro arbitrio. è questo ciò che conta. quindi è del nostro arbitrio che dobbiamo occuparci. non dell’universalità.

  8. Parole nero su bianco..che mi hanno fatto vedere tutti i colori di questa fotografia in bianco e nero.. dopo un po che ti seguo non so se sia più affiscinata dai tuoi scatti o dalla tua dialettica. Forse è propria questa la grandezza della fotografia..catturare l’attenzione degli occhi , per poi portare le persone a ragionare o sentire tutto il resto

    • Rossana grazie… scrivo come fotografo. almeno è questo che mi piace pensare. ma l’origine è la fotografia. da lì modulo tutto. senza sarei muto.
      quindi dulcis in fundo, boh :)

  9. Che meraviglia leggerti e vederti nei tuoi scatti Efrem . Per menti fragili e incerte ( e giovani …ehm) come la mia, avere queste perle scritte su un calepino , un Efrem-Bignami , prima di scattare , sarebbe utile. Quindi o ci fai il favore di radunare tutto in uno scritto o mi obblighi a dover trascrivere il tutto … Che è faticoso . ;-) . Grazie E.

    • c’è un trucco claudio: guarda la fotografia. leggila. è immediato a quel punto. le parole vengono dopo.
      però al tuo posto aspetterei a trascrivere tutto ;)
      ciao!

  10. Una vera dimostrazione di forza: illuminante!
    Aiutata dal fatto che Pupo così non si è mai visto ma lo dici Efrem! Lo dici come ci arrivi. Eccome se ci arrivi! Ma tu, da dove arrivi?

    • di forza? da dove arrivo Fedigrafa? non è così importante credo. forse è più importante come ci stai nei luoghi dove arrivi.
      mi vengono in mente cochi e renato: ma dove arrivi se parti?

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